Based on a comprehensive literature analysis, a review on factors that control water cycle and water use in Mediterranean forest ecosystems is presented, including environmental variables and silvicultural treatments. This important issue is considered in the perspective of sustainable forest management of Mediterranean forests, with special regard to crucial environmental hazards such as forest fires and desertification risks related to climate change.
L’interazione tra bosco e ciclo dell’acqua si manifesta in modo differente nei diversi ambienti forestali, è funzione del contesto climatico e dipende dalla scala spaziale e temporale di analisi dei fenomeni. Tali relazioni possono essere valutate, infatti, nella dimensione spaziale, a livello di popolamento e a scala di bacino, e in quella temporale per singoli eventi o su base stagionale o annua in funzione delle modificazioni conseguenti a cause naturali (eventi calamitosi) o antropiche (incendi, pascolo,interventi selvicolturali).
I processi attraverso i quali il bosco interviene sul ciclo dell’acqua riguardano l’intercettazione della pioggia che si manifesta a livello di soprassuolo, l’infiltrazione, che si sviluppa a livello del suolo e l’evapotraspirazione che coinvolge entrambi.
L’equazione del bilancio idrologico esprime tali processi che determinano le variazioni di acqua nel sistema.
Essa rappresenta il filo conduttore per valutare gli effetti del bosco sui processi idrici.
L’equazione è espressa dalla formula (eqn. 1):
D= P - (It +Evt +\Delta s)
dove D rappresenta il deflusso, P indica le precipitazioni quale forma di immissione idrica nell’ecosistema (di cui va considerata non solo la quantità, ma anche la distribuzione), I t è la quantità di acqua che viene intercettata dalle chiome e da queste rievaporata. Essa corrisponde a quella percentuale di acqua che non riesce a raggiungere il suolo attraversando le chiome o scorrendo lungo i fusti, e pertanto può essere quantificata risolvendo l’equazione: It = P - (Thf + Stf), dove P è la precipitazione totale, Thf è la precipitazione sottochioma (throughfall) e Stf è la precipitazione giunta al suolo per scorrimento lungo i tronchi (stemflow). L’intercettazione rappresenta una perdita del sistema. Evt rappresenta l’evapotraspirazione, cioè la somma dell’evaporazione dal suolo e della traspirazione; il differente peso che i due termini parziali hanno sul termine globale dipende dal tipo di copertura del suolo. L’entità del fenomeno evapotraspirativo è direttamente legata al deficit di saturazione del vapore acqueo dell’atmosfera ed alla radiazione solare. Δs indica l’ammontare della variazione dei volumi di acqua presenti nel suolo.
I termini dell’equazione del bilancio idrologico presentano una variabilità legata sia ai differenti contesti pedoclimatici che alle caratteristiche fisionomiche e strutturali dei popolamenti.
Intercettazione e stemflow
L’intercettazione è una componente significativa del bilancio idrologico e rappresenta una frazione variabile delle piogge incidenti. Il processo è stato descritto sin dagli inizi di questo secolo da Horton (1919) e successivamente dimostrato da Grah & Wilson (1944).
L’analisi del fenomeno mostra che all’inizio di una pioggia la maggior parte delle gocce di acqua sono intercettate dalla vegetazione e si accumulano fino a quando le forze di tensione superficiale sono superate dalla forza di gravità. Zinke (1967) rappresenta il fenomeno con una curva di tipo iperbolico.
La quantità di acqua intercettata dalla copertura forestale dipende dalle caratteristiche strutturali dei popolamenti (composizione specifica, età, densità, profilo verticale, grado di copertura) e da quelle della pioggia (intensità e durata).
L’entità del fenomeno è stata messa in evidenza per i differenti tipi di bosco da numerose ricerche condotte in diversi Paesi. In base alla composizione, i boschi di latifoglie hanno una minore capacità di intercettazione, su base annua, di quella delle conifere. Ad esempio, i valori medi annuali nelle peccete variano dal 23 al 59% degli apporti idrometeorici; nelle faggete dal 14% al 33%. Aussenac (1969) per quattro tipi di bosco situati nella foresta demaniale di Amance ha riscontrato i seguenti valori di intercettazione netta annua: abete di Vancouver (Abies grandis Dougl. Lindt) 40%, abete rosso 34%, pino silvestre 31%, bosco misto di faggio e carpino bianco 17%. Inoltre, tale capacità varia nei boschi di latifoglie nel corso dell’anno: Aussenac & Boulangeat (1980) per il faggio hanno osservato valori pari al 6% in inverno e al 21% in estate; Nizinski & Saugier (1989) per la rovere riportano valori del 22% in inverno e del 34% in estate. In cedui di cerro dell’Appennino viterbese l’intercettazione è risultata tra 6% e 9% in estate e quasi nulla in inverno (Scarascia Mugnozza et al. 1988). Gli stessi autori mettono in evidenza come tali boschi assicurino un buon approvvigionamento idrico del suolo anche nel periodo estivo, per la ridotta capacità di intercettazione di tale specie rispetto ad altre. In un ceduo composto e in un ceduo matricinato di roverella e farnetto il maggiore potere di intercettazione nel primo rispetto al secondo (23.6% contro il 15.2%), è stato attribuito da Iovino et al. (1998) alla presenza di matricine appartenenti alla III e IV classe cronologica.
La capacità di intercettazione varia anche tra le conifere in relazione all’architettura ed allo sviluppo delle chiome: essa risulta maggiore nei boschi di pino domestico rispetto a quella riscontrata in boschi di abete rosso, per lo sviluppo orizzontale della chioma nel primo caso e verticale nel secondo. Età e densità influenzano la capacità di intercettazione. Essa aumenta con l’età tendendo ad un valore limite.
Il fenomeno, inoltre, varia anche in funzione delle fasi fenologiche. In boschi di cerro e in boschi di faggio nell’Appennino Meridionale, Guidi & Manetti (1994) hanno valutato come l’entità della pioggia intercettata varia dal 7% delle precipitazioni nel periodo di rigonfiamento delle gemme al 33% in quello di massima espansione della lamina fogliare al 15% di caduta delle foglie.
L’intercettazione è anche legata alla densità dei popolamenti e subisce variazioni in relazione a questo parametro, in modo non proporzionale (Rutter 1963, Aussenac et al. 1982, Stogsdill et al. 1989, Breda et al. 1995). In una piantagione di douglasia, Aussenac et al. (1982) hanno osservato una diminuzione dell’intercettazione del 13% a seguito della riduzione di area basimetrica di circa il 50% (da 39 a 20 m2/ha).
Teklehaimanot et al. (1991) in piantagioni di Picea sitchensis, passando da densità di 3000 piante (1.8x1.8 m) ad ettaro a 625 (4x4 m), 277 (6x6 m) e 156 (8x8 m) all’età di 19 anni, su un quantitativo di precipitazioni per l’intero periodo di osservazione di 441.78 mm, l’intercettazione è stata rispettivamente del 28%, 22%, 13% e 9%.
Baumler & Zech (1997) hanno riscontrato, con l’eliminazione del 40% del volume cormometrico, una diminuzione della capacità di intercettazione dell’8.5% in un popolamento di Picea abies. Una riduzione di intercettazione dell’8% è stata osservata in rimboschimenti di pino laricio a seguito di un diradamento con l’eliminazione del 50% del numero delle piante, pari al 30% di area basimetrica (Iovino et al. 2001). Veracion & Lopez (1976) hanno osservato che, un anno dopo la rimozione del 50% di area basimetrica, la diminuzione dell’intercettazione è stata del 2.5%; Aussenac et al. (1982) del 13% e Crockford & Richardson (1990) del 8.7%; Breda et al. (1995), un anno dopo il taglio con rimozione del 35% di area basimetrica, hanno riscontrato una diminuzione dell’intercettazione del 7%, mentre a due anni dal taglio non è risultata alcuna differenza.
Questi ultimi risultati, unitamente ad altri, sono riportati nella Tab. 1, ripresa da Aboal et al. (2000).
Sulla non proporzionalità tra la diminuzione di intercettazione e la diminuzione di densità di un popolamento forestale, sulla base dei dati sintetizzati in tabella, gli stessi Autori forniscono le seguenti motivazioni:
il taglio può determinare una maggiore bagnatura della copertura, aumentando proporzionalmente la capacità di immagazzinamento della copertura stessa;
il taglio incrementa la ventilazione turbolenta, tipica di una copertura rugosa, favorendo un aumento della capacità di intercettazione dei singoli alberi rimasti, sebbene non dell’intero popolamento;
il taglio determina un aumento della radiazione solare incidente e quindi dell’evaporazione;
il taglio determina un aumento dell’intercettazione della nebbia;
l’intervallo di tempo tra le misure delle precipitazioni sottochioma e il taglio sono determinanti ai fini della comprensione del fenomeno;
In merito alla relazione tra intercettazione e caratteristiche delle precipitazioni sono indicativi i risultati di una serie di esperienze condotte anche in Italia, dalle quali è evidente che l’intercettazione è maggiore per piogge di breve durata e di lieve entità e può essere nulla per piogge intense della durata di qualche ora. Borghetti (1992) attribuisce ciò ai processi evaporativi che rigenerano il potere di intercettazione delle chiome a seguito di precipitazioni intermittenti. Per i cedui di faggio Giacomin & Trucchi (1992) riportano valori di intercettazione del 10% per precipitazioni comprese tra 50 e 100 mm e del 65% della pioggia incidente per eventi di lieve entità e di breve durata.
In rimboschimenti di pino laricio Callegari et al. (2001a) hanno valutato il comportamento in funzione dell’intensità massima oraria di pioggia sia in popolamenti diradati che non, raggruppando gli eventi in quattro classi: <5mm/h, 6-10 mm/h; 11-20 mm; >20 mm. È risultato che il potere di intercettazione diminuisce lievemente all’aumentare dell’intensità massima oraria di pioggia. Crockford & Richardson (1990) hanno osservato che, per piccoli eventi di pioggia, la diminuzione dell’intercettazione, a un anno dopo la rimozione del 50% di area basimetrica, è stata del 50%; mentre, per eventi più grossi (>15 mm), la diminuzione è stata del 30%.
L’acqua intercettata viene evaporata dalle chiome e rappresenta un termine spesso rilevante nel bilancio idrologico dei bacini forestali. In passato si tendeva a considerare la traspirazione come responsabile della maggiore perdita di vapore d’acqua, sottovalutando l’evaporazione dell’acqua intercettata (Baumgartner 1970, Miller 1976). Anzi, il verificarsi di tale perdita si considerava limitante il processo traspirativo. Numerose ricerche svolte in Gran Bretagna, America e Nuova Zelanda hanno rivalutato le perdite per intercettazione sulla base di risultanze scientifiche che hanno dimostrato come, mentre in molte comunità erbacee l’evaporazione dell’acqua intercettata non supera quella traspirata, nei popolamenti arborei, invece, l’evaporazione è da 3 a 5-6 volte superiore alla traspirazione (Rutter 1963).
La frazione di pioggia non trattenuta dalla copertura forestale arriva al suolo direttamente o scorrendo lungo i rami e i fusti (stemflow).
Questa rappresenta una frazione molto variabile della precipitazione e dipende dall’età del bosco, nonché dall’architettura delle chiome e dal tipo di corteccia del fusto. È maggiore in relazione alla scabrosità della corteccia e in popolamenti giovani per effetto dell’angolo di inserzione dei rami sul fusto. Lo stemflow è nullo in caso di precipitazioni di scarsa entità che bagnano solamente le chiome e nel caso in cui i tronchi siano coperti da epifite. Il significato ecologico dello stemflow va ricercato nel fatto che l’acqua raggiunge il suolo con minore energia e lentamente rispetto a quella del flusso sottochioma, riuscendo a rimanere a disposizione delle piante per effetto della ridotta evaporazione cui è soggetta. Questi effetti possono, però, risultare negativi in zone ad elevato tasso di inquinamento atmosferico per l’accumulo al piede delle piante di ioni tossici e, su superfici acclivi, erosione del suolo. Significativi a riguardo sono i risultati di uno studio condotto da Certini et al. (2000) nella foresta di Vallombrosa, nella quale a valle della base del tronco dell’abete bianco si ha perdita di suolo per effetto dello stemflow. Questo è risultato circa il 20% della pioggia per consistenti precipitazioni incidenti, e, a causa della morfologia levigata della corteccia dell’abete, l’acqua arriva a terra con notevole velocità.
Lo stemflow tende ad aumentare con la densità del popolamento risultando più alta la proporzione di rami inseriti ad angolo acuto e più ridotte le dimensioni della chioma. Kimmins (1987), in impianti artificiali coetanei di douglasia di differente densità ha trovato valori di stemflow pari al 3% in bosco rado (730 piante/ha) e del 44% in bosco con elevata densità (10000 piante/ha).
Evapotraspirazione
L’evapotraspirazione è il flusso di acqua che ritorna all’atmosfera dalla vegetazione sotto forma di vapore. La stima dell’evapotraspirazione rappresenta un aspetto importante nella stima degli effetti sul bilancio idrologico di bacino imputabili a modificazioni di uso del suolo e all’esecuzione di trattamenti selvicolturali; più in generale, costituisce un tassello cruciale nella modellazione degli scambi di materia ed energia fra biosfera e atmosfera (Brooks et al. 1997, Borghetti & Magnani 2009).
I tassi di evapotraspirazione sono legati ai processi di assimilazione del carbonio a scala sia di foglia sia di copertura. Il rapporto fra assimilazione e traspirazione varia grandemente in funzione delle strategie di conservazione dell’acqua messe in atto attraverso i meccanismi di regolazione delle resistenze fogliari e, di fatto, l’evapotraspirazione viene a rappresentare il legame fra processi biologici e idrologici a scala di sistema (Waring & Running 1998).
L’evapotraspirazione dipende dalle caratteristiche del clima e della vegetazione: i suoi fattori di controllo sono rappresentati dall’energia disponibile, dal deficit di saturazione del vapor d’acqua in aria, dalla turbolenza dell’aria in prossimità della superficie traspirante, dallo stato fisiologico della vegetazione in rapporto alle regolazione fisiologica degli scambi gassosi, dalla consistenza della copertura in termini di indice di area fogliare. Il modello combinato di Penman-Monteith (sensuMonteith 1965) è quello più largamente utilizzato, nell’ambito dei modelli di trasferimento dell’acqua, dal suolo all’atmosfera attraverso la vegetazione, per rappresentare quantitativamente gli effetti di queste variabili; è espresso dalla seguente equazione (eqn. 2):
dove E è l’evapotraspirazione, espressa come flusso di calore latente, Rn è la radiazione netta, G è il flusso di calore nel suolo, D è il deficit di saturazione del vapor d’acqua in aria, ρ è la densità dell’aria, cp è il calore specifico dell’aria, Δ è la pendenza della relazione fra il deficit di saturazione del vapore e la temperatura, γ è la costante piscrometrica e rs e ra sono, rispettivamente, la resistenza superficiale (di copertura) e la resistenza aerodinamica.
Nel caso delle foreste, la notevole rugosità aerodinamica delle chiome rende assai efficace il meccanismo di trasporto turbolento e fa sì che l’evapotraspirazione sia fortemente controllata dalla resistenza di copertura e dal deficit di saturazione del vapor d’acqua in aria. In questo caso, l’evapotraspirazione (detta “imposta” Eim) può essere approssimata dalla seguente espressione (eqn. 3):
La traspirazione è, invece, sostanzialmente di equilibrio Eeq quando il trasporto turbolento è poco efficace, alta è la resistenza aerodinamica e il processo traspirativo risulta largamente guidato dalla disponibilità di energia a livello superficiale; è il caso delle coperture di bassa taglia, come praterie e colture erbacee, ma anche dello strato vegetale rappresentato dal sottobosco che, a differenza del piano forestale superiore, è caratterizzato da uno scarso accoppiamento aerodinamico con l’atmosfera. L’evapotraspirazione di equilibrio può essere stimata approssimata nel modo seguente (eqn. 4):
E_{eq} = \frac{sR}{s+\gamma}
L’equilibrio fra le due componenti della traspirazione (imposta e di equilibrio) può essere quantificato attraverso l’uso di un coefficiente di “disaccoppiamento” (fattore omega Ω), che varia fra 0 (superfici perfettamente accoppiate) e 1 (superfici totalmente disaccoppiate - McNaughton & Jarvis 1983), secondo la seguente espressione (eqn. 5):
E = \Omega\cdot E_{eq}+E_{imp}\cdot (1-\Omega)
dove il fattore di disaccoppiamento omega è (eqn. 6):
A causa della maggior rugosità aerodinamica e del più elevato indice di area fogliare, le foreste sono caratterizzate, in generale, da tassi di evapotraspirazione superiori a quelli delle colture agricole e di altre superfici vegetate (Fritschen & Simpson 1985).
Secondo un’ipotesi avanzata oltre 25 anni fa da Roberts (1983), sulla base di un’ampia rassegna di dati relativi a numerose foreste delle zone temperate, l’evapotraspirazione degli ecosistemi forestali sarebbe un processo “conservato”, cioè sottoposto a un buon grado di omeostasi, grazie al diverso tipo di controllo ambientale della traspirazione del piano forestale dominante e di quello del sottobosco, e a vari processi di compensazione (feed-back negativi) che si attuerebbero a scala di sistema. In una recente rassegna sui fattori di controllo dell’uso idrico nei sistemi forestali (Borghetti & Magnani 2009) vengono analizzati risultati sperimentali che tendono in effetti a confermare tale ipotesi.
Infiltrazione
Si definisce infiltrazione il processo di penetrazione di acqua nel suolo che è alla base dei meccanismi che regolano l’efficacia regimante ed antierosiva del bosco.
Essa influenza le variazioni dei volumi di acqua presenti nel suolo (Δs) e per i suoli forestali rappresenta un parametro idrologico la cui importanza è per lo meno uguale a quella della piovosità e dell’evapotraspirazione (Ward 1967).
L’acqua infiltrata (F) si ripartisce in vari modi: una percentuale evapora, un’altra viene utilizzata dalle piante ed un’altra ancora va ad alimentare le falde idriche sotterranee.
La frazione di acqua che alimenta la falda si definisce infiltrazione efficace. Viene definita capacità di infiltrazione, espressa in mm/h, la quantità massima di acqua che un suolo può assorbire nell’unità di tempo. Questa è generalmente elevata all’inizio delle precipitazioni, ma poi decresce rapidamente secondo una curva esponenziale fino a divenire costante. Il coefficiente di infiltrazione (Cf) rappresenta la quantità di acqua, espressa come percentuale di precipitazione, che si infiltra nel suolo (eqn. 7):
Cf = \frac{F}{P} \cdot 100
con F e P espressi in millimetri.
La quantità totale di acqua che riesce ad infiltrarsi nel suolo dipende essenzialmente dai seguenti fattori:
permeabilità e porosità del suolo: l’acqua infiltrata aumenta con la permeabilità e con la porosità del suolo:
umidità iniziale del suolo: più acqua contiene il suolo all’inizio di una precipitazione, minore è l’infiltrazione;
durata ed intensità delle precipitazioni: l’acqua assorbita aumenta con la durata e l’intensità delle precipitazioni se questa non supera la capacità di infiltrazione del suolo. Tuttavia, durante eventi piovosi eccezionali e violenti, generalmente di breve durata, l’acqua tende a scorrere in superficie piuttosto che ad infiltrarsi nel suolo.
morfologia del versante: a parità di altre condizioni l’infiltrazione è agevolata quando la superficie del suolo è pianeggiante o lievemente inclinata;
vegetazione: la copertura forestale con l’apporto di sostanza organica al suolo ne determina un miglioramento delle condizioni strutturali con effetti positivi sulla permeabilità e porosità.
I suoli forestali, dotati generalmente di elevata porosità e notevole stabilità di struttura, favoriscono l’infiltrazione per le caratteristiche che gli derivano dall’attività biologica delle piante e di tutti gli organismi vegetali e animali che sono parte integrante dell’ecosistema.
I risultati riportati in letteratura e relativi a formazioni forestali ricadenti in contesti climatici differenti forniscono un’idea delle capacità che i suoli forestali hanno di assorbire grandi quantità di acqua. Già Coille (1940, in De Philippis 1970), in popolamenti di Pinus taeda, aveva riscontrato valori di infiltrazione crescenti con l’età del soprassuolo: 15 mm/h a 10 anni, 53 mm/h a 20 anni, 77 mm/h a 70 anni e Arend (1942, in Susmel 1968), nel Minnesota, valori pari a 60 mm/h in una foresta indisturbata; di 40 mm/h in un bosco bruciato periodicamente; di 24 mm/h in un pascolo. Susmel (1968) indica una velocità di infiltrazione a deflusso costante da 3 a 20 mm/min in boschi efficienti e di 0.5-2 mm/min in boschi più o meno degradati. All’inizio di un evento piovoso, con suolo ancora asciutto, tali valori salgono rispettivamente a 15-175 e 2-6 mm/min. Hover (1967, in De Philippis 1970) riporta l’esempio di un suolo forestale della Carolina del Sud capace di assorbire e trattenere, senza dare luogo a scorrimento, piogge anche superiori a 100 mm/h. Nelle stesse condizioni in aree nelle quali il bosco era stato eliminato ed il suolo più o meno eroso, l’autore rileva scorrimento superficiale già con piogge di 25 mm/h, nonostante la ricostituzione artificiale di una copertura arborea. Risultati di esperienze più recenti confermano la variabilità dei dati che, comunque, si attestano su valori elevati e, anche se non generalizzabili, testimoniano come il comportamento idrologico dei suoli forestali sia sostanzialmente diverso da quello dei suoli coltivati (Cosandey et al. 2005).
In uno studio condotto, mediante simulazione di pioggia, in tre siti sperimentali caratterizzati, rispettivamente, dalla foresta pluviale (Ande, Ecuador), dalla foresta con latifoglie miste con pini e prateria (Sud degli Appalachi, USA) e dalla foresta tropicale (montagne di Luquillo, Puerto Rico), i valori di infiltrazione ottenuti variano da 6 a 206 mm/h nel primo sito, da 16 a 117 mm/h nel secondo sito e da 0-106 mm/h nel terzo. Le differenze riscontrate vengono attribuite alle variazioni topografiche ed alla variabilità spaziale della vegetazione (Harden & Scruggs Delmas 2003).
Deflusso
I processi prima descritti, direttamente e indirettamente, regolano i volumi di acqua presenti nel suolo a cui sono legate le modalità di generazione dei deflussi. I sistemi forestali intervengono sulla regimazione idrica attraverso una riduzione del deflusso superficiale e un aumento dei tempi di corrivazione e della capacità di laminazione dei bacini (Negishi et al. 2006). Strettamente legata a questi processi è la diminuzione dell’erosione superficiale, che si ripercuote sul trasporto solido dei corsi d’acqua. Nei territori montani, come è noto, l’idrologia dei versanti diventa predominante rispetto a quella dei collettori (Colpi & Fattorelli 1982) nei quali i volumi di acqua scorrono in un insieme di canali inizialmente effimeri ed intermittenti che costituiscono la rete drenante. Il bosco in questi settori riveste quindi una notevole importanza e il suo ruolo deve essere analizzato sia per confronto con altre modalità di uso del suolo che in relazione agli effetti che la gestione forestale determina sulla generazione dei deflussi, con le dovute differenze nell’analisi degli andamenti annui e dei singoli eventi di piena. Tali aspetti sono stati dettagliatamente analizzati in una recente rassegna di studi eseguita da Eisenbies et al. (2007) nella regione Appalachiana nella costa orientale degli Stati Uniti. Inoltre, diventa importante valutare l’impatto degli incendi boschivi per le dimensioni che il fenomeno ha assunto negli ultimi decenni.
Un’ampia e documentata attività di ricerca contribuisce a chiarire tali aspetti che, pur essendo stati studiati in diversi contesti pedoclimatici e vegetazionali, conducono ad analoghe considerazioni.
Modalità di uso del suolo e deflusso
I sistemi forestali devono essere considerati parte di un sistema articolato di fattori, regolatori dei processi idrologici. L’entità della superficie boscata di un bacino e lo stato di efficienza dei boschi esprimono il livello di efficacia sulla conservazione del suolo. Tanto più le condizioni strutturali dei boschi sono efficienti e l’incidenza in termini di superficie nel contesto del bacino idrografico è elevata, maggiore risulta l’influenza positiva sulla dinamica dei processi idrologici a scala di versante e sull’erosione dei suoli (Ciancio & Iovino 1995).
Per quanto concerne l’efficacia del bosco sulla formazione dei deflussi rispetto ad altre modalità d’uso del suolo, non si può non menzionare, per la serie storica dei dati utilizzati, lo studio condotto a partire dall’inizio dello scorso secolo in due bacini dell’Emmenthal svizzero (Spelbergraben e Rappengraben) simili per morfologia, clima e substrato e differenti nell’uso del suolo (Engler 1919). Il primo, caratterizzato dalla presenza di una fustaia mista di conifere, il secondo interessato prevalentemente da pascoli, prati e campi e in misura minore dal bosco. Il deflusso ha rappresentato il 50% della pioggia incidente nel bacino boscato e il 62% in quello non boscato. Inoltre, nel primo l’effetto della copertura forestale è evidenziato dalla riduzione del rapporto tra la componente superficiale e quella profonda del deflusso nonché dalla riduzione dei massimi stagionali. Nel bacino poco boscato sono stati osservati invece deflussi massimi più alti del 30-50%.
Analoghi risultati sono stati ottenuti in tre bacini delle Alpi Giudicarie Inferiori, di cui due a bosco e uno a prateria. È stato evidenziato come il diverso comportamento idrologico dipenda dal fattore vegetazione e da quello geologico strutturale. In particolare, per quanto attiene alla vegetazione, nel bacino con prateria i volumi di deflusso, sia medi che al colmo, sono risultati sempre maggiori rispetto agli altri due bacini (Fattorelli 1976, Fattorelli 1982).
In tre microbacini sperimentali della Calabria su formazioni argillose, dei quali due interessati da cedui di eucalitto e uno da una forma frammentaria e degradata di prateria a Lygeum spartum, i dati di misure idrologiche ed erosive riferiti a momenti cronologicamente differenti, hanno evidenziato come i valori di deflusso siano generalmente inferiori in entrambi i bacini boscati rispetto al bacino privo di copertura arborea (Iovino & Puglisi 1990, Cantore et al. 1994, Callegari et al. 2001b).
In bacini del sud-est dell’Australia è stato differenziato il comportamento idrologico di bacini boscati e di bacini con aree a pascolo. Nei primi, quando il contenuto di acqua nel suolo antecedente all’evento è al di sotto del 60% della capacità di campo, si registrano piccoli volumi di deflusso; nei secondi si generano invece alti picchi di piena e grossi volumi di portata (Burch et al. 1987).
In un bacino della regione francese di Cevennes, Cognard-Plancq et al. (2001) riportano l’effetto della copertura forestale nella generazione dei volumi di piena, che risultano ridotti del 10% rispetto a quello non boscato.
I risultati di uno studio relativo a 94 bacini sperimentali, riportati da Hewlett & Hibbert (1967) e Bosch & Hewlett (1982), mettono in evidenza sia l’efficacia del bosco rispetto ad altre forme di uso del suolo che l’influenza degli interventi selvicolturali. In popolamenti di pino ed eucalitto una modificazione del 10% di densità ha determinato una variazione media annuale di deflusso di segno contrario pari a 40 mm rispetto ai bacini a pascolo. In questi, aumentando del 10% la superficie con boschi di latifoglie il deflusso medio annuale si è ridotto da 25 a 10 mm.
Modalità di gestione dei boschi e deflusso
Le diverse modalità di gestione determinano variazioni più o meno significative nelle componenti del bilancio idrologico che si ripercuotono sulla trasformazione degli afflussi in deflussi (Sidle et al. 2006). I risultati di seguito riportati si riferiscono in particolare agli effetti dei diradamenti, della ceduazione e del trattamento a raso sui deflussi sia negli andamenti annuali che nei singoli eventi di piena. Le esperienze analizzate evidenziano tutte un incremento dei valori di deflusso in relazione al tipo e all’entità dell’intervento.
In merito ai diradamenti la riduzione della copertura dal 55% al 22% e dell’area basimetrica da 35 a 11 m2/ha, in un piccolo bacino interessato da eucalitti, ha determinato un aumento della riserva idrica nel suolo e un incremento dei deflussi pari a 33mm/anno (Stoneman 1993). In un popolamento di Pinus radiata di 16 anni in Sud Africa è stato stimato un incremento del 50% dei deflussi annuali a seguito della riduzione del 33% del numero di piante. Tale incremento, che persiste per tre anni dopo l’intervento, è stato attribuito alla riduzione dell’evapotraspirazione dovuta alla diminuzione di copertura (Van der Zel 1970).
In un bacino sperimentale della Calabria di 139 ettari monitorato sin dal 1986 (Iovino & Puglisi 1989) è stato studiato il comportamento idrologico prima e dopo un diradamento che ha interessato i popolamenti di pino laricio (l’80% dell’intera superficie del bacino) con una intensità tale da eliminare in media il 50% del numero delle piante, pari al 30% di area basimetrica.
Il coefficiente di deflusso medio annuo ha subito un incremento poiché nel periodo antecedente l’intervento selvicolturale (1986-1993) è risultato di 0.185, in quello successivo al trattamento (1994-2000) di 0.347. Tale incremento, dall’analisi stagionale dei coefficienti di deflusso, è risultato però particolarmente evidente nella stagione primaverile-estiva; infatti mentre in quest’ultima è passato da 0.16 a 0.41, nella stagione autunno invernale da 0.21 a 0.29 e l’incremento non corrisponde ad un aumento delle precipitazioni mensili estive (Fig. 1 - Veltri et al. 2001, Ferrari et al. 2002). Tale comportamento viene attribuito alle modificazioni subite dai processi di intercettazione e di traspirazione a seguito dell’intervento selvicolturale (Lagergren et al. 2008, Simonin et al. 2007, Borghetti & Magnani 2009). Infatti, la riduzione di densità e quindi di copertura provoca diminuzioni dell’entità di intercettazione e delle perdite di traspirazione che determinano una risposta idrologica del bacino differente nei due periodi stagionali. Durante il periodo autunno-invernale la riduzione dell’intercettazione provoca un aumento delle precipitazioni al suolo che non modifica sostanzialmente l’entità dei deflussi. Ciò perché, anche in popolamenti di pino laricio non diradati, la capacità di intercettazione stimata, comunque non supera 40 mm (Iovino et al. 1998). La riduzione di traspirazione favorendo, invece, una maggiore disponibilità di acqua nel suolo durante il periodo primaverile-estivo è causa di un sensibile aumento dei deflussi ipodermici (Compostella & Iovino 1999).
In merito agli effetti degli interventi selvicolturali sui singoli eventi di piena sono significativi i risultati acquisiti sempre nello stesso bacino sperimentale. L’analisi condotta su ben 73 eventi di piena registrati da gennaio del 1986 a ottobre 2000, consente di mettere in luce alcuni aspetti peculiari:
la risposta idrologica, a parità di precipitazione, dipende in misura considerevole dalla condizione di umidità del suolo antecedente l’evento pluviometrico, come è risultato in modo chiaro dal confronto tra due eventi invernali riportati in Fig. 2, per i quali si hanno coefficienti di afflusso (D/A) nettamente diversi: 0.158 e 0.053.
gli idrogrammi di piena osservati nei periodi estivi risultano, invece, legati essenzialmente alla forma del pluviogramma, che spesso si concentra in pochi intervalli di pioggia caratterizzati da intensità notevoli.
i coefficienti di afflusso dei singoli eventi di piena sono mediamente molto bassi, variando da 0.001 a 0.173.
il coefficiente di afflusso medio degli gli eventi registrati prima dell’intervento selvicolturale è pari a 0.021; quello successivo all’intervento risulta 0.048.
la portata al colmo varia da 0.082 a 0.097 (m3/s)/km2 rispettivamente prima e dopo l’intervento.
Gli effetti prodotti dal diradamento sugli eventi di piena sono stati evidenziati anche attraverso analisi di regressione tra precipitazione e massima portata al colmo su 43 eventi prima del taglio e 30 dopo. Da questa è risultata una tendenza all’incremento della risposta idrologica del bacino passando dal periodo precedente al taglio al periodo successivo (Fig. 3). Questa tendenza sembra evidenziarsi più nettamente con riferimento alla ripartizione stagionale degli eventi nei periodi autunno-inverno (Fig. 3a) e primavera-estate (Fig. 3b), in coerenza con quanto riportato in letteratura.
Con riferimento ai soli valori di portata al colmo osservati negli eventi di piena, l’incremento rilevato tra prima e dopo il taglio, pari mediamente a 0.015 (m3/s)/km2, rappresenta qualche unità percento dei valori medi dei massimi annuali di portate al colmo per unità di superficie osservati in Calabria. Tale aumento non sembra costituire motivo di pericolosità indotto dalla variazione di copertura forestale (Ferrari et al. 2002).
Sempre sui singoli eventi di piena Robinson et al. (2003) riportano i risultati ottenuti in 28 bacini europei. In tale rassegna vengono esaminati situazioni differenti per tipologia forestale, condizioni climatiche e pedoclimatiche e riscontrate significative variazioni nei picchi di portata in relazione all’intervento selvicolturale.
In merito alla ceduazione l’impatto sull’idrologia e sull’erosione assume evidenza soprattutto al momento del taglio finale e nei primi anni di sviluppo del nuovo soprassuolo. Va comunque osservato che il drastico aumento di acqua nel suolo provocato dal taglio del bosco non favorisce l’erosione qualora gli orizzonti organici rimangano indisturbati e si attenua notevolmente già nei primi anni anche per l’insediamento di vegetazione erbacea ed arbustiva che segue il taglio, come già dimostrato da Swank (1988). A conferma di tali considerazioni sono i risultati di ricerche svolte in Italia in ambienti e su formazioni completamente differenti. In cedui di faggio dell’Appennino Pistoiese sono stati osservati bruschi aumenti di deflusso superficiale per i primi due - tre anni dal taglio e un’attenuazione progressiva con il passare del tempo (Falciai et al. 2001). Analogamente in cedui di eucalitto del Crotonese il taglio non ha comportato sostanziali variazioni nella trasformazione degli afflussi in deflussi, tranne nei primi due anni successivi. Tale effetti risultano attenuati se si provvede al rilascio dei residui di lavorazione sul suolo (Cantore et al. 1994). In uno studio sui processi idrici ed erosivi in cedui composti e matricinati di roverella e farnetto, Iovino et al. (1998) hanno attribuito alla maggiore densità delle ceppaie nel ceduo matricinato e all’insediamento della vegetazione erbacea ed arbustiva, a seguito del taglio del soprassuolo, i ridotti deflussi superficiali.
Per valutare l’influenza delle ceduazioni sull’idrologia e sull’erosione dei suoli non si può prescindere, però, dalla scala spaziale a cui si considerano i fenomeni. Gli impatti relativi ad una singola tagliata vanno inquadrati in un contesto territoriale più vasto che è quello del bacino idrografico. Di conseguenza diventa fondamentale esaminare l’entità della superficie complessivamente utilizzata ogni anno e la distribuzione spaziale delle utilizzazioni (Iovino 2005).
Nell’ambito di queste problematiche è stato svolto uno studio riguardante il rischio di erosione in un bacino boscato in Calabria (Garfì et al. 2006), dove l’utilizzazione dei cedui di castagno è un’attività ancora ricorrente. Particolare attenzione è stata rivolta agli effetti, in termini di erosione, indotti dalla brusca riduzione della copertura e dalla diversificazione spaziale e cronologica dei soprassuoli in seguito alla ceduazione. L’obiettivo è stato quello di valutare la compatibilità fra le attuali modalità di utilizzazione e la conservazione del suolo, determinando mediante l’applicazione della metodologia USLE (Wischmeier & Smith 1978) in ambiente GIS, l’entità delle perdite complessive di suolo e analizzandone le caratteristiche di distribuzione spaziale a scala di bacino idrografico.
L’approccio dinamico all’impiego della USLE ha posto in evidenza ulteriori aspetti pregiudizievoli connessi alla gestione attuale dei cedui che, ovunque prevede una distribuzione delle utilizzazioni basata più sull’assetto del regime fondiario che non su norme di pianificazione organica. Tuttavia, i dati sulle percentuali di superficie utilizzata annualmente rispetto alla superficie totale del bacino e la successione spazio-temporale delle ceduazioni hanno mostrano una situazione che appare nel complesso abbastanza coerente con i principi di un ordinamento colturale pianificato e comunque tale da non indurre sostanziali incrementi di erosione del suolo.
Gli effetti del trattamento a raso sono stati studiati nel Coweeta (North Caroline, USA) in un piccolo bacino di 13 ettari. A seguito di tale tipo di intervento in boschi di latifoglie, con il rilascio delle piante sul posto, sono stati registrati aumenti di volumi di portata annua ma non incrementi dei picchi di piena (Hoover 1945, Hewlett & Hibbert 1961). Sempre con tale forma di trattamento, ma limitato su una superficie di circa il 20%, in un bacino di 43 ettari in Pennsylvania, il picco di portata passa da 0.11 a 0.50 (m3/s)/km2 (Partridge & Sopper 1973) e in un bacino di 101 ettari, nel quale il taglio è limitato al 25% della superficie,è stato riscontrato un incremento del picco di portata del 10% passando da 0.30 a 0.33 (m3/s)/km2 (Rothacher 1973). Con la stessa modalità di intervento in un bacino dell’Oregon si hanno risultati analoghi poiché il picco di portata passa da 0.37 (m3/s)/km2 a 0.40 (m3/s)/km2 (Ziemer 1981).
Impatto degli incendi boschivi sui deflussi
Gli incendi hanno effetti che si manifestano a breve e a lungo periodo, con una grande variabilità imputabile al tipo, all’intensità e alla frequenza degli eventi, alla diversità di composizione e struttura dei popolamenti forestali e alle caratteristiche dei suoli.
Gli effetti immediati prodotti dal fuoco oltre a manifestarsi con la distruzione, totale o parziale, della vegetazione (Thornes 1985, Brown 1990) riguardano il consumo della sostanza organica degli orizzonti superficiali del suolo, la diminuzione della stabilità degli aggregati (Giovannini & Lucchesi 1983) e lo sviluppo di uno strato superficiale impermeabile (Cerdà 1998), che ha ripercussioni sull’idrologia e sull’erosione dei versanti e, conseguentemente, di bacino.
I contributi forniti da molti ricercatori hanno attribuito i fenomeni di erosione accelerata, verificatasi a seguito del passaggio del fuoco, a repentini aumenti di deflusso superficiale ed erodibilità dei suoli (Scott 1993, Emmerich & Cox 1994, Cerdà 1998, Prosser & Williams 1998).
In effetti, il passaggio del fuoco, favorendo la formazione di uno strato idrorepellente, provocato dalla migrazione di sostanze idrofobiche al di sotto dello strato superficiale del suolo (De Bano et al. 1970), determina una riduzione della capacità di infiltrazione dei suoli e, di conseguenza, un aumento del deflusso superficiale (Scott & Van Wyk 1990). Tale circostanza da origine notoriamente a fenomeni di erosione diffusa, con conseguenti perdite di suolo e quindi di fertilità (Helvey et al. 1985, Prosser & Williams 1998).
Nel contempo, la parziale o totale eliminazione della copertura vegetale espone il suolo stesso all’azione battente delle piogge rendendolo ancora più vulnerabile all’erosione d’impatto.
La variazione dei parametri di comportamento del fuoco, ed in particolare la variazione dell’intensità lineare del fronte di fiamma, intesa come espressione della quantità di energia emanata nell’unità di tempo per unità di lunghezza del fronte, e il suo tempo di residenza determinano modifiche diverse nel complesso suolo-soprassuolo, ed è proprio la magnitudine di tali modifiche che funge da elemento regolatore principale dei processi idrici ed erosivi (Prosser & Williams 1998).
Col trascorrere del tempo le variazioni apportate al suolo a seguito del passaggio del fuoco tendono a ridursi progressivamente fino al ripristino delle condizioni idrologiche iniziali (aumento della conducibilità idraulica e diminuzione del deflusso superficiale - Brunsden & Thornes 1979).
Come conseguenza, esiste un limitato intervallo temporale in cui il fuoco manifesta effetti più o meno evidenti nei riguardi dell’idrologia e dell’erosione. Tale intervallo di tempo, noto anche come tempo di rilassamento (relaxation time), può variare da poco più di un mese a diversi anni (Brown 1972).
Tale ultimo aspetto trova conferma anche nei risultati di prove sperimentali eseguite per valutare l’impatto degli incendi boschivi sull’idrologia superficiale e sull’erosione dei suoli in rimboschimenti di pino laricio. Le prove sono state eseguite nel bacino idrografico del torrente Cino, nel territorio della Sila Greca in provincia di Cosenza, in parcelle ciascuna di 20 x 60 m (Bovio et al. 2001).
In due di queste sono stati innescati incendi di tipo radente con di differenti intensità lineari del fronte di fiamma: elevata (1500 kcal·m-1s-1) e bassa (150 kcal·m-1sec-1) una terza parcella è stata utilizzata come testimone (non è stato innescato alcun incendio).
Successivamente al passaggio del fuoco sono state eseguite analisi post incendio nei popolamenti (consumo di lettiera, variazioni dell’indice di area fogliare) ed effettuate misure relative all’idrologia superficiale e all’erosione dei suoli, i cui risultati, relativi al primo anno sono poi stati confrontati con i valori misurati nella parcella testimone.
La tendenza scaturita dall’analisi dei primi risultati ottenuti, soprattutto per quanto riguarda i tempi di ripristino delle condizioni antecedenti le prove sperimentali, sembra essere in linea con quanto riportato in letteratura (Brunsden & Thornes 1979). Infatti, inizialmente è risultato netto l’effetto del passaggio del fuoco registrandosi incrementi di deflusso, nelle aree bruciate rispetto all’area non bruciata, anche dell’87%. A distanza di circa un anno, pur essendosi verificati eventi pluviometrici di entità ed aggressività superiore a quelli immediatamente dopo gli incendi, la risposta idrologica risulta essere inferiore nelle aree incendiate. Ciò evidenzia che, in tale lasso di tempo, si è ristabilita una capacità di infiltrazione dell’acqua nel suolo, alterata inizialmente dagli effetti del fronte di fiamma.
Gestione forestale e risorse idriche
La necessità di una visione integrata acqua-bosco diventa imprescindibile anche alla luce dei rapidi cambiamenti innescati a livello planetario dall’attività antropica. Questo nuovo approccio ecosistemico nell’ambito delle politiche ambientali è stato introdotto dalla Svizzera in occasione del Forum mondiale sull’acqua, tenutosi alla fine di marzo 2003. L’approvvigionamento idrico del pianeta può essere garantito solamente assicurando, in modo prioritario, la protezione e l’utilizzazione sostenibile degli ecosistemi quali le foreste, che captano l’acqua, la filtrano, la immagazzinano ed infine la ridistribuiscono. Principi ribaditi nell’ambito della quinta Conferenza ministeriale sulla protezione delle foreste in Europa, (MCPFE 2007); nella Seconda risoluzione "foreste e acqua" viene evidenziata la necessità di un miglior coordinamento della politica in materia di foreste e di risorse idriche a livello sia locale che internazionale, perché le foreste non solo proteggono dalle piene e dall’erosione del suolo, ma forniscono anche acqua potabile pulita.
Il ruolo del bosco nel ciclo dell’acqua oggi viene inquadrato nel panorama più ampio della sostenibilità della gestione forestale. Ma il principio della sostenibilità implica anche una nuova cultura dell’acqua, assumendo nuovi valori sociali e ambientali, che trascendono gli interessi economici in gioco (Gruppo 183 2003). Dalla prospettiva che apre il nuovo principio di sostenibilità, l’acqua e il bosco non possono essere considerati come semplici beni economici, come semplici canali o magazzini di acqua o come semplici magazzini di legno. Da ciò deriva la necessità di approcci integrati in tema di gestione delle risorse.
La gestione forestale sostenibile è definita come “gestione e uso delle foreste e del territorio forestale in modo e in misura tali da mantenere la loro biodiversità, produttività, capacità di rinnovazione, vitalità e il loro potenziale di soddisfare, ora ed in futuro, rilevanti funzioni ecologiche, economiche e sociali a livello locale, nazionale e globale e a non determinare danno ad altri” (MCPFE 1993).
La gestione sostenibile poggia su tre dimensioni: ambientale, sociale ed economica, le quali derivano da una visione del bosco da un lato considerato come risorsa e dall’altro come elemento permanente ed imprescindibile del paesaggio e della stabilità dell’ambiente (Ciancio 2002).
La dimensione ambientale investe aspetti diversi ma connessi tra loro: biodiversità, assorbimento di CO2, conservazione del suolo. Una maggiore complessità strutturale e funzionale dei boschi, conseguente ad un aumento della biodiversità, oltre ad aumentare l’efficienza sulla mitigazione dell’aumento di CO2 in atmosfera, ne esalta il ruolo sulla conservazione del suolo, intesa come complesso delle interazioni tra bosco e ciclo dell’acqua.
In questo scenario la messa a punto di strategie di sostenibilità della gestione delle risorse forestali di un territorio, diviene fondamentale per rendere compatibile l’uso delle stesse con la conservazione del suolo.
L’orientamento attuale in materia lega la valutazione della sostenibilità della gestione forestale alla disponibilità di norme di riferimento che traducano i principi in standard scientificamente fondati quantificabili e verificabili attraverso criteri e indicatori (variabili quantitative o qualitativo-descrittive) documentabili in un contesto d’ordinaria gestione (Barbati et al. 2003).
In questo quadro di riferimento si inserisce la definizione degli indicatori e verificatori messi a punto nell’ambito del progetto SAM (Standard Appenninici e Mediterranei), coordinato dall’Accademia Italiana di Scienze Forestali (AA.VV. 2003).
Tale schema è organizzato in Ambiti di Approfondimento Tematico, articolati a loro volta in aree e sottoaree specifiche. Per ogni area tematica vengono proposti degli indicatori, dei verificatori e valori orientativi per eventuali modalità di riferimento operative.
Uno degli Ambiti di Approfondimento Tematico riguarda il “mantenimento e miglioramento della conservazione del suolo dei sistemi forestali” e le relative aree tematiche sviluppate sono: regimazione idrica, gestione delle risorse idriche e lotta alla desertificazione. Sono aspetti tra loro complementari perché l’efficacia dei sistemi forestali nel controllo dell’idrologia superficiale lungo i versanti determina una maggiore disponibilità di acqua nel suolo, un minore dilavamento e conseguentemente minore erosione superficiale. Il controllo dell’erosione contribuisce, altresì, a non alterare la capacità di immagazzinamento dei suoli con ricadute a scala di bacino sulla trasformazione degli afflussi in deflussi (Iovino & Veltri 2003).
Nelle Tab. 2 e Tab. 3 vengono riportati per ciascuna area tematica gli indicatori, i relativi verificatori e alcuni valori soglia che, se applicati, rendono sostenibile la gestione dei boschi e dei territori da rimboschire con la conservazione del suolo. Inoltre è necessario porre attenzione alle modalità di concentramento e di esbosco e all’apertura delle strade. Per quanto concerne le modalità di concentramento, queste devono essere tali da non innescare degradazione del suolo, da non alterare la qualità delle acque e da evitare impatti negativi a valle delle aree utilizzate; di conseguenza bisognerà impiegare mezzi meccanici che evitino il rimescolamento degli orizzonti minerali e organici del suolo, il suo compattamento e la creazione di solchi causati dal passaggio e dall’affondamento dei mezzi utilizzati. Inoltre è da preferire l’impiego di canalette o gru a cavo di tipo leggero per evitare danni dovuti allo strascico. Riguardo alla viabilità, l’apertura delle strade deve seguire percorsi idonei e compatibili con il minor impatto possibile sulla regimazione idrica dei versanti, di conseguenza è necessario ridurre al minimo gli attraversamenti di superfici a rischio e di impluvi, rilasciare fasce di protezione lungo i corsi d’acqua, controllare i deflussi e l’erosione del piano stradale attraverso idonei sistemi di drenaggio e rivestimenti del fondo stradale.
Considerazioni conclusive
I boschi sono parte di un sistema articolato di fattori che regolano i processi idrologici e attraverso questi intervengono sul ciclo dell’acqua. Intercettazione della pioggia ed evapotraspirazione sono i termini dell’equazione del bilancio idrologico che, insieme all’ammontare della variazione dei volumi di acqua presenti nel suolo, rappresentano le uscite dal sistema. L’ampia e articolata letteratura presa in esame evidenzia la notevole variabilità di questi fenomeni che sono condizionati sia dall’ambiente climatico (regime pluviometrico, condizioni termiche, ventosità, radiazione) che dal contesto pedologico e variano in relazione alle condizioni strutturali dei popolamenti (composizione specifica, densità, età, profilo verticale). Queste ultime hanno una loro dinamicità, dovuta a cause naturali o a fattori antropici tra i quali, le diverse modalità di gestione dei boschi.
I processi idrologici, direttamente e indirettamente, regolano i volumi di acqua presenti nel suolo a cui sono legate le modalità di generazione dei deflussi sui quali i boschi intervengono attraverso una loro riduzione e un aumento dei tempi di corrivazione e della capacità di laminazione dei bacini.
Il ruolo dei boschi sul ciclo dell’acqua deve essere però analizzato sia per confronto con altre modalità di uso del suolo che in relazione agli effetti che la gestione forestale determina sulla generazione dei deflussi, con le dovute differenze nell’analisi degli andamenti annui e dei singoli eventi di piena. Inoltre, diventa importante, per le dimensioni che il fenomeno ha assunto negli ultimi decenni, valutare l’impatto degli incendi boschivi.
L’entità della superficie boscata di un bacino e lo stato di efficienza dei boschi esprimono il livello di efficacia sulla conservazione del suolo. Tanto più le condizioni strutturali dei boschi sono efficienti e l’incidenza in termini di superficie nel contesto del bacino idrografico è elevata, maggiore risulta l’influenza positiva sul controllo dei processi idrologici di versante e, conseguentemente, sull’erosione dei suoli (Veltri & Ferrari 2009).
Il ruolo del bosco nel ciclo dell’acqua oggi viene inquadrato nel panorama più ampio della sostenibilità della gestione forestale e della necessità di approcci integrati in tema di gestione delle risorse rinnovabili. In questo ambito la messa a punto di indicatori, verificatori e valori soglia che traducano i principi in standard scientificamente fondati, quantificabili e verificabili, rappresenta un aspetto fondamentale per rendere compatibile l’uso delle stesse con la conservazione del suolo, intesa come complesso delle interazioni tra bosco e ciclo dell’acqua.
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Coefficiente di deflusso medio mensile prima e dopo il taglio in un bacino sperimentale della Calabria (Iovino & Veltri 2003).
Idrogrammi di piena registrati in un bacino sperimentale della Calabria (Ferrari et al. 2002).
Relazione tra pioggia e portata massima degli eventi di piena prima e dopo un diradamento (Callegari et al. 2003).
Relazioni tra interventi selvicolturali e intercettazione (Aboal et al. 2000). G: Area basimetrica, VC: Volume cormometrico, I: Intercettazione. (a): dopo un anno dal taglio; (b) = due anni dopo il taglio; (c): quattro anni dopo il taglio; (d): intero periodo di studio; (e): 17 settimane dopo il taglio.
Riferimento
Tipo di Bosco
Pioggia (mm)
Età (anni)
Interventi
P
G
VC
I (% di pioggia)
n ha-1
m2 ha-1
m3 ha-1
Veracion & Lopez 1976
Pinus kesiya
3601
30
Controllo
-
32
-
13.5
Taglio (50% G)
-
16
-
11
Aussenac et al. 1982
Pseudotsuga menziesii
384.4
19
Controllo
2392
39.3
-
43.3a
Taglio (50% G)
1447
19.9
-
30.3a
Aussenac & Granier 1988
Pseudotsuga menziesii
382.3b / 53c
19
Controllo
2392
39.3
-
31.0b/60.8c
Taglio (50% G)
1447
19.9
-
23.0b/51.6c
Crockford & Richardson 1990
Pinus radiata
166
20
Controllo
1708
35.1
-
20.9
Taglio (50% G)
700
17.4
-
12.2
Breda et al. 1995
Quercus petraea
-
43
Controllo
3352
24.6
-
23a-17b
Taglio (50% G)
3077
17.6
-
16a-17b
Baumler & Zech 1997
Picea abies, Abies alba, Fagus sylvatica
1700-2500
-
Controllo
-
-
-
29.8
Taglio (40% G)
-
-
56.2
18.1
Indicatori, verificatori e valori soglia previsti nel SAM relativi alla regimazione e alla gestione delle risorse idriche - (1) Ciancio O,Iovino F, Menguzzato G, Nicolaci A, Nocentini S (2004). Il taglio a scelta a piccoli gruppi nelle pinete di laricio in Sila. L’Italia Forestale e Montana 59 (2): 81-98; (2) Ciancio O (1991). La gestione dei querceti di Macchia Grande di Manziana: la teoria del sistema modulare. Cellulosa e Carta 42(1): 31-34.
Regimazione idrica
Indicatori
Verificatori
Valori soglia
Cedui
Le modalità di utilizzazione devono essere tali da ridurre l’impatto del taglio sull’idrologia superficiale
Ampiezza delle superfici da utilizzare in funzione della pendenza dei versanti e della erodibilità dei suoli
• pendenze dei versanti > 70%, suoli fortemente erodibili: superfici non superiori ad 1 ha • pendenze dei versanti > 70%, suoli non molto erodibili: superfici non superiori a 2 ha • pendenze dei versanti < 70%, suoli fortemente erodibili, superfici non superiori a 2 ha • pendenze dei versanti < 70%, suoli non molto erodibili superfici non superiori a 5 ha
Distribuzione nello spazio delle singole tagliate in modo da creare soluzioni di continuità
L’intervallo tra due utilizzazioni contigue non deve essere inferiore a 4 anni
Periodi di utilizzazione non coincidenti con quelli di massima concentrazione delle precipitazioni
Utilizzazione nei mesi di settembre-ottobre e da marzo a giugno compreso
Rilascio dei residui di lavorazione sul terreno
-
Fustaia
Adozione di forme tradizionali di trattamento che non alterino l’idrologia superficiale e non inneschino processi erosivi
• Taglio a scelta per piccoli gruppi (Ciancio et al. 2004 - in luogo del taglio a raso) • Tagli successivi su piccole superfici • Taglio saltuario • Tagli modulari (Ciancio 1991)
-
Gestione delle risorse idriche
Le tecniche selvicolturali sono coerenti con l’obiettivo di migliorare la disponibilità idrica nel suolo e di non alterare i processi che influenzano la qualità delle acque
• Esecuzione di cure colturali nei cedui (sfollamenti e diradamenti) • Diradamenti nei rimboschimenti e nelle giovani fustaie • Abolizione del taglio raso e adozione del taglio a scelta per piccoli gruppi • Applicazione del trattamento a tagli successivi su piccole superfici • Applicazione del taglio saltuario • Applicazione del trattamento a tagli modulari
-
Indicatori, verificatori previsti nel SAM relativi alla lotta alla desertificazione.
Lotta alla desertificazione
Indicatori
Verificatori
Fustaie
Le tecniche selvicolturali sono coerenti con l’obiettivo di contrastare fenomeni di degrado dei terreni e processi di erosione dei suoli
• Abolizione del taglio a raso e adozione di forme di trattamento che non provochino una significativa scopertura del suolo anche se di breve durata; esecuzione dei tagli intercalari • Applicazione del taglio a scelta per piccoli gruppi, dei tagli successivi su piccole superfici; del taglio saltuario, tagli modulari
Cedui
Adozione di accorgimenti in grado di attenuare gli aspetti negativi connessi con la forma di governo
• Riduzione dell’ampiezza delle tagliate • Distribuzione nello spazio delle singole tagliate in modo da creare soluzioni di continuità • Interventi di miglioramento dei cedui degradati (riceppatura e tramarratura) • Rilascio dei residui di lavorazione sul terreno • Esecuzione di sfollamenti e diradamenti • Riempimenti dei vuoti mediante semine o piantagione • Allungamento dei turni
Aree prive di copertura forestale
Realizzazione di piantagioni di specie autoctone e/o esotiche; l’uso di queste ultime va di norma evitato, esso è previsto solo nel caso in cui vi sia una documentata urgenza di evitare l’avvio o il consolidarsi di processi di desertificazione
• Esecuzione di lavorazioni localizzate e secondo le curve di livello • Rilascio di vegetazione di specie arboree preesistenti