This is a letter sent recently to the authors of the “Manuals for monitoring species and habitats of EC interest (Directive 92/43/CEE) in Italy: habitats”. Critical comments are raised about the description of Apennine beech forests with
Abbiamo sfogliato con interesse il volume “Manuali per il monitoraggio di specie e habitat di interesse comunitario (Direttiva 92/43/CEE) in Italia: habitat” (
Con prospettive distinte ma anche sinergiche, nell’ambito dell’ecologia e della gestione forestale, grazie anche alle attività del progetto FORESTPAS2000 del MIPAAF (
Nel paragrafo di “Descrizione” dell’habitat tali faggete sono collocate preferenzialmente nel piano montano inferiore e caratterizzate da un bioclima supratemperato e/o mesotemperato. In tutte le aree che abbiamo visitato le cartografie della Rete Natura 2000, predisposte dalle diverse regioni indicano la presenza di tale habitat anche in faggete altomontane a quote di 1500-1600 m slm fino al limite superiore del bosco.
Nel paragrafo su “Criticità e Impatti” l’immagine descritta è quella di cenosi molto compromesse, condizione che non sembra trovare riscontro nella grande variabilità floristica (e quindi strutturale) e nello stato di conservazione indicato, che appare tutto sommato discreto, di cui si riferisce in altre parti della scheda.
L’impatto principale è attribuito alle “
“L’eliminazione della componente arbustiva” all’interno nel bosco non è imputabile ad interventi colturali o comunque di manomissione, ma al notevole aumento della copertura arborea e di biomassa (alcune cenosi hanno oltre 400 metri cubi di massa legnosa ad ettaro!) a seguito dell’abbandono. Il pascolo all’interno del bosco è praticamente vietato (forse disatteso in alcune realtà locali) e fortemente ridotto in gran parte delle aree montane appenniniche, come evidenziano i dati dei colleghi pastoralisti.
“Le strade o piste forestali” sono quelle di 50 anni fa; le ultime furono realizzate con i finanziamenti delle leggi sulla montagna per eseguire i rimboschimenti in montagna. Molto spesso la marginalità di numerose di tali zone e determina condizioni di incuria e di precarietà che le rendono poco praticabili anche con mezzi fuoristrada.
“L’erosione del suolo”, peraltro poco diffusa (molto localizzata) nelle aree visitate, può essere conseguenza dell’abbandono colturale e demografico delle aree in oggetto.
“La fruizione turistica non regolamentata” sembra evocare masse di escursionisti erranti con danni a suolo e soprassuolo che sinceramente non si evincono, almeno nell’Appennino centrale e settentrionale
“La presenza di ungulati” (sia cinghiali che caprioli, daini e cervi, a seconda della zone) può essere in alcuni casi eccessiva, ricordando peraltro che i danni sono/sarebbero soprattutto alla rinnovazione di faggio (che nel 9210 non è presente) e di abete bianco (che nel 9220 c’è, ma è già in difficoltà per la mancanza di luce).
Non è chiaro infine cosa significhi “frammentazione soprattutto in ambito collinare”; in questo piano il faggio non dovrebbe esserci per definizione, e la sua eventuale presenza (forre, vallecole con inversione termica, ecc.) è sporadica e limitata a cenosi azonali, già separate dall’areale principale da alcune migliaia di anni, come ci insegnano i palinologi (si vedano i lavori di Magri).
Infine, un rapido commento sulla note metodologiche riportate nel Box 7 (“Habitat forestali: Analisi dendrometriche”). Vi sono protocolli di campionamento consolidati descritti in dettaglio nel manuale di campo dell’Inventario Forestale Nazionale (INFC 2005) che potrebbero essere facilmente applicati (con opportune semplificazioni) al monitoraggio in oggetto, aumentando in modo significativo la valenza del dato raccolto. Vista l’importanza diagnostica attribuita all’analisi dendrometrica (al fine di avere nel tempo un quadro più completo anche sotto il profilo della struttura e della funzionalità dell’habitat), sarebbe opportuno specificare più precisamente dimensioni, intensità e distribuzione spaziale delle aree campione e soprattutto interpretare correttamente i dati raccolti e le loro variazioni spazio-temporali.
In conclusione ci sembra che lo scenario descritto nel manuale non sia idoneo a rappresentare una condizione media o diffusa delle faggete dell’habitat 9210 (come non lo è l’immagine utilizzata). Le faggete appenniniche (habitat 9210 e 9220), per le differenti vicende climatiche e socio-economiche regionali, sono sicuramente ben più diversificate ed in condizioni diverse da quelle prospettate.
Vista l’importanza delle tematiche in oggetto e la loro ricaduta in ambito gestionale, sarebbe opportuno comprendere meglio con quali metodi di valutazione gli autori siano giunti a tali descrizioni.
Nella speranza di poter avviare un costruttivo scambio di opinioni su questi ed altri aspetti specifici, siamo a disposizione per ulteriori chiarimenti.