During the last decades, in the previously coppiced beechwoods of “Dolomiti Bellunesi” National Park, an unprecedented diffusion of Norway spruce occurred; possible silvicultural options to cope with this new condition are outlined here.
Negli ultimi 60 anni si sono verificati nel nostro paese dei profondi mutamenti nel rapporto tra uomo e bosco che hanno comportato, in diversi casi, profonde trasformazioni nella composizione e nella struttura dei boschi.
Facciamo riferimento, in questa nota, al caso della recente diffusione dell’abete rosso all’interno degli ex-cedui di faggio del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi (
Il Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi si estende per oltre 31 mila ettari nella provincia di Belluno, fra i 400 e i 2600 m di quota. Il clima è quello di transizione tra il prealpino e l’endoalpino con precipitazioni annue che superano i 1.300 mm, a regime sub-equinoziale. I complessi boscati esistenti - estesi su quasi 16 mila ettari - comprendono varie tipologie forestali, da quelle del dal piano basale prealpino fino a quelle del limite superiore della vegetazione arborea (
In epoca passata, la quasi totalità delle formazioni forestali della Val Belluna è stata sottoposta a intenso sfruttamento (
Durante tutta la lunga fase dello sfruttamento intensivo dei cedui di faggio della Val Belluna, l’abete rosso era praticamente assente dalla faggeta. Sia perché la ceduazione e il successivo rapido sviluppo dei polloni di faggio determinavano condizioni ecologiche sfavorevoli alla rinnovazione e alla crescita della conifera, sia perché l’uomo interveniva sempre a sopprimere l’abete per favorire il faggio, a ragione del carbone e della legna da ardere che si voleva ricavare da quest’ultimo. Anche gli incendi boschivi, eventi non infrequenti nell’area (
A partire dagli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, in tutti i popolamenti forestali oggi inclusi nel Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi, dapprima per l’allungamento dei turni e in seguito per l’abbandono delle zone montane, i tagli sono stati progressivamente ridotti, sino a cessare completamente.
Con la cessazione dei tagli sono anche scomparse le cause che avevano comportato l’eliminazione dell’abete rosso dalle faggete. La conifera si è andata pertanto sempre più diffondendo e, sulla base di osservazioni dirette, la presenza dell’abete rosso interessa attualmente la quasi totalità degli ex-cedui di faggio che si trovano all’interno del Parco. La presenza della conifera può variare da poche unità sino a svariate decine di piante per ettaro; le piante si presentano in alcuni casi isolate, a volte riunite in gruppi, più o meno estesi, sia coetanei sia disetanei. Sono rappresentate un po’ tutte le classi di età, dallo stadio di rinnovazione fino a una età massima di circa 60 anni (
La recente diffusione dell’abete nella faggeta configura una casistica nuova che dovrà essere oggetto di studi che cerchino di interpretare le possibili dinamiche evolutive di questi popolamenti di “neoformazione” (
Per quanto riguarda le opzioni gestionali, una possibile scelta è quella del “non intervento”, ovvero lasciare i popolamenti forestali alla loro naturale evoluzione. I vantaggi sarebbero quelli dell’assecondamento delle dinamiche naturali e della promozione della biodiversità; gli svantaggi, che non vi sarebbe alcuna garanzia sulle future condizioni di stabilità biologica e meccanica di queste “neoformazioni”. L’esatto contrario di questa opzione è quella che prevede il ritorno allo
Anche se “estreme”, queste opzioni potrebbero trovare dei sostenitori; l’ipotesi dell’abbandono da parte della cultura ambientalista più intransigente, quella del ritorno allo
Un’altra opzione è quella che potrebbe essere definita come “
In realtà, la scelta gestionale che al momento appare più opportuna, anche nell’ottica di non contrapporsi alle dinamiche in atto, è quella che può essere definita come “intervento della consociazione”, ovvero prevedere la coesistenza sulla medesima superficie delle due specie principali, favorendo la la prevalenza dell’una o dell’altra o l’equilibrio tra le due attraverso la regolazione della mescolanza specifica, a seconda del contesto. Gli interventi selvicolturali dovranno essere impostati ponendo la massima attenzione ai fattori, anche microstazionali, che possono favorire ora l’una ora l’altra specie o la coesistenza di entrambe sulla medesima superficie. Verrebbero così ottimizzati gli aspetti positivi dell’assecondare le dinamiche e le linee evolutive naturali e dell’arricchimento della biodiversità, e ridotti al minimo gli svantaggi relativi alla stabilità del bosco.
Ciò ovviamente non esclude che debbano istituiscano, contemporaneamente, aree rappresentative dove si applichi l’opzione del “non intervento” e dove si proceda a un opportuno monitoraggio delle dinamiche evolutive in atto, in grado di fornire la base conoscitiva per decidere sulle possibilità e le modalità colturali della consociazione fra faggio e abete rosso nel Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi.
Vista invernale di pendice in Val Canzoi (laterale della Val Belluna) - veduta dall’alto - dove l’abete rosso si è affermato ed ha raggiunto e superato il piano delle chiome della faggeta. (Foto: Archivio Corpo Forestale dello Stato, C.T.A. - P.N.D.B.).
Popolamento di faggio misto ad abete rosso sui versanti in forte pendenza delle valli interne del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi (Foto: Archivio Corpo Forestale dello Stato, C.T.A. - P.N.D.B.).
La presenza dell’abete rosso all’interno delle faggete del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi si manifesta sia con piante isolate sia con piante riunite in gruppi più o meno numerosi (Foto: Archivio Corpo Forestale dello Stato, C.T.A. - P.N.D.B.).
La presenza dell’abete rosso all’interno delle faggete del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi interessa la quasi totalità delle classi di età, dalla rinnovazione alle piante adulte (Foto: Archivio Corpo Forestale dello Stato, C.T.A. - P.N.D.B.).