The plantations for wood production in agroforestry are the main supply for the wood industries. In the meanwhile, the rapid growth of these woody trees assures a quick carbon sequestration from the atmosphere and plays an important ecological role as well. The most common woody plants used in Italy for agroforestry plantations are poplar in the whole peninsula, eucalyptus in the South and, sporadically, Douglas fir and pines. Coppice chestnut plantations should also be considered for their rapid growth. Plant pathogens are able to decrease both the quality and the quantity of wood production drawing on the productivity and standard quality. In this paper, leaf pathogens able to reduce wood productivity, rot root and wilt agents able to kill trees are considered together with butt rot and cankers agents, these last ones able to reduce the wood quality. Regarding to poplar,
La foresta, nella molteplicità delle sue funzioni, è stata da sempre riconosciuta un patrimonio basilare della vita dell’uomo, ma la salvaguardia ed il razionale sfruttamento di questa solo in tempi assai recenti sono entrati a far parte di quella “nuova frontiera” che la società mondiale va cercando nella sfida esistenziale verso il terzo millennio.
Tra le varie funzioni che le vengono richieste, quella rivolta alla produzione legnosa, con il conseguente carattere colturale intensivo, ha un particolare interesse in quanto, se dal punto di vista economico ha indubbia importanza, pur con qualche controindicazione di tipo ecologico e fitosanitario derivante dalla monospecificità o dalla monoclonalità dei popolamenti, dal punto di vista ambientale ha valenza forse insostituibile nell’assicurare un bilancio positivo del rapporto ossigeno/anidride carbonica per il mantenimento entro limiti ragionevoli dell’effetto serra. Questo avviene in virtù sia dell’efficienza di apparati fogliari sempre in espansione connessi alla giovanilità degli impianti, sia dello stoccaggio a lungo termine del carbonio, dapprima all’interno della pianta poi nei manufatti da essa ottenibili.
Proprio tenendo conto di tali aspetti devono essere indirizzate le scelte strategiche future, essendo noto che nell’atmosfera si sta da tempo registrando un trend positivo nell’accumulo del carbonio, la cui crescita annua varia tra 0.9 e 2.8 ppm (
Fin dalle soglie degli anni ’90, ed ancor più in seguito alle suggestioni scaturite dalle conferenze di Rio de Janeiro e di Kyoto, è stata posta rinnovata attenzione alle formazioni boschive per la produzione legnosa, le più qualificate sia ad assicurare la funzione di serbatoio attuale e potenziale della CO2, sia a garantire nel contempo tornaconti economici all’imprenditoria del settore senza la necessità di ricorrere all’impiego di capitali sociali.
Per formazioni boschive di tale tipo sono per lo più privilegiate le Salicacee (pioppi e salici) ed
Per quanto si riferisce alle specie forestali più rappresentate in Italia e alla loro capacità fissativa (
Pertanto con tale ottica, oltre ai popolamenti a rapida crescita per la produzione legnosa, meritano un’attenzione particolare, spesso non pienamente riconosciuta, anche i cedui per biomassa utilizzabili a scopi non combustibili, quali sono soprattutto quelli di castagno.
Sotto l’aspetto ecologico non vanno sottovalutate infine le formazioni di latifoglie “cosiddette” nobili, che negli anni recenti sono andate ad occupare consistenti spazi agricoli sotto la spinta dei premi previsti dai vari regolamenti CEE (in particolare dal Reg. 2080), ma è ragionevole considerarle in posizione secondaria per la loro più ridotta potenzialità fissativa del carbonio e perché favorite prevalentemente da consistenti sovvenzioni pubbliche.
Circa l’importanza rappresentata dalla pioppicoltura italiana, i cui soprassuoli non hanno mai superato il 2-3% della superficie forestale del Paese, basti analizzarne le produzioni totali relative al quarantennio 1955-1994, ricavate dalle rilevazioni
Considerandone gli aspetti fitopatologici, va sottolineato che siffatti valori si riferiscono a masse legnose le quali:
da un lato sono al netto degli effetti dannosi derivanti dai fattori avversi che ne hanno ridotto la potenzialità produttiva in termini di biomassa,
dall’altro non contemplano la distinzione tra i vari assortimenti ottenuti, i quali, dovendo rispondere a precisi standard qualitativi, sono anch’essi condizionati da cause avverse ad azione patogena capaci di incidere sulle caratteristiche del legno e di conseguenza prevalentemente sul valore unitario del prodotto.
Tra i fattori limitanti implicati figurano pertanto agenti biotici ed abiotici caratterizzati da dannosità diversa, non tanto sotto l’aspetto economico quanto sotto quello ecologico relativo al bilancio C/O, a seconda che agiscano sulla sopravvivenza delle piante e sulla loro capacità fotosintetica, con quasi esclusiva riduzione della biomassa, o che incidano pressoché soltanto sulle caratteristiche tecnologiche senza influenzare sensibilmente gli incrementi legnosi. Basti considerare che attacchi di patogeni fogliari possono provocare riduzioni di incrementi i quali, cumulandosi nel tempo, sono in grado di ridurre la produzione del 20-30% senza effetti qualitativi sul legno prodotto, mentre attacchi di agenti di necrosi corticali localizzate e di carie oppure di insetti lignivori, a parità di produzione della pianta, ne abbattono il valore anche del 60% (dati personali). Per taluni di tali patogeni, di cui è esempio tipico
Pertanto in una disamina completa delle malattie che possono infierire sugli impianti industriali per la produzione legnosa, nel breve e medio termine, occorre considerare distintamente l’incidenza di quelle che riducono la capacità produttiva, a cui - come si è detto - è direttamente connesso il minor stoccaggio della CO2, da quelle che ne abbattono il valore commerciale, e che pertanto influiscono negativamente su detto stoccaggio solo parzialmente e/o nei casi di destinazioni orientate ad assortimenti poco durevoli.
Prendendo in esame le superfici delle formazioni delle varie specie legnose a rapido accrescimento, i cui valori sono frutto di informazioni avute prevalentemente dal Centro di Sperimentazione Agricolo e Forestale di Roma, dall’Istituto di Sperimentazione per la Pioppicoltura, dall’Istituto Sperimentale per la Selvicoltura di Arezzo, dall’Istituto per le Piante da Legno e per l’Ambiente di Torino e da alcuni Uffici regionali, pur considerando che esse sono largamente approssimative come lo è la maggior parte delle statistiche forestali, si evince come le latifoglie, rappresentate soprattutto dal pioppo e in minor misura dall’eucalipto (
Le malattie che si sono dimostrate nel complesso maggiormente incidenti sulla riduzione degli incrementi, e pertanto più dannose in funzione al rapporto ossigeno/anidride carbonica, sono soprattutto fogliari, attribuibili rispettivamente a
Tra quelle che invece influiscono prevalentemente sul valore merceologico dei prodotti legnosi si segnalano le “macchie brune” sul pioppo e, se si considerasse anche il castagno per la sua grande estensione prevalentemente quale ceduo diretto alla produzione di biomassa, i cancri corticali da
Per una più completa valutazione dei danni occorre ovviamente non sottacere quelli di origine entomatica, anch’essi con incidenza diversa a seconda che siano indotti da fillofagi o da xilofagi. Per quanto si riferisce al pioppo, malgrado il ripetersi di attacchi di defogliatori, i danni maggiori sono da imputarsi ai lignicoli quali
Considerando la già detta elevata potenzialità produttiva del pioppo e la sua massima concentrazione, pari ad 80 000 ha, nella vasta area planiziale del settentrione d’Italia, che conta oltre 4 milioni di ettari (
Tale disamina “ecologica”, che mette tra l’altro in immediata evidenza la netta, negativa fluttuazione degli impianti pioppicoli per cause non patologiche, registrata nella prima metà degli anni 70 in funzione del mercato, sarebbe quanto mai riduttiva se non si tenesse conto della contrazione delle alberate extraurbane ai bordi delle colture agricole e delle vie di comunicazione verificatasi negli anni ·80. Queste, prima dei generalizzati abbattimenti, nella sola Lombardia contavano oltre 11 milioni di piante e in tutta la pianura settentrionale raggiungevano i 25 milioni, con una asportazione annuale che, in termini di anidride carbonica fissata, corrispondono a circa 820 milioni di metri cubi. Tale contrazione di massa legnosa vegetante fuori bosco ha interessato soprattutto i filari di pioppo e di platano, a fronte di esigenze connesse alla meccanizzazione e alla viabilità e solo in minor misura per deperimento di piante stramature, nonché per cause patologiche dovute a fattori biotici (grafiosi dell’olmo, cancro colorato del platano) o a stress abiotici quali quelli per gli abbassamenti di falda verificatesi nella seconda metà degli anni ’80.
Per quanto si riferisce ai condizionamenti patologici sulle formazioni pioppicole per scopi industriali, la mancata produzione, che fino alla metà degli anni ’60 era contenuta entro limiti accettabili, è andata acuendosi con la comparsa della
Con gli anni ’80 un ulteriore aggravamento della situazione fitosanitaria si ebbe in seguito ai già accennati stress idrici dovuti ad abbassamenti di falda, particolarmente deleteri nella pioppicoltura di golena (
A creare un ulteriore stato di crisi produttiva si aggiunse alla fine degli anni ’80 un “tourbillon” di nuove razze di
Per gli altri 20 000 ettari della pioppicoltura centro-meridionale, le perdite indotte da tali malattie risultano minori, sia per l’esistenza di condizioni epidemiologiche meno favorevoli a
Per quanto concerne le altre specie a rapido accrescimento, nell’ultimo quarantennio gli interessi sono scemati anche in relazione alla loro origine esotica, la quale nel tempo ha messo in luce diversi problemi di adattabilità ambientale: vedi ad esempio la fragilità alle nevicate del pino strobo nelle zone pedemontane in cui tale precipitazione solida è più consistente, oppure gli stress stazionali in cui sono incorsi alcuni popolamenti di pino insigne nel meridione, attribuibili in parte a carenze micorriziche.
Sempre in ragione della sua origine esotica, la contrazione spaziale dell’eucalipto è in parte da mettere in relazione al pressoché indiscriminato ostracismo sostenuto dai gruppi ambientalisti. Eppure per talune aree geografiche siciliane e sarde si sarebbe auspicata maggiore indulgenza, data la sua capacità di coprire di verde lande inospitali per la vegetazione mediterranea.
La generale meno diffusa coltura di douglasia e di pino insigne e la loro concentrazione in nuclei arborei spesso distanti tra di loro fa ottimisticamente prevedere che non si debbano temere manifestazioni epidemiche rispettivamente di
Solo i marciumi radicali potrebbero avvantaggiarsi degli stress vegetativi per le sempre più scarse cure colturali, che nel caso dell’eucalipto vengono evidenziati anche dagli attacchi di
L’importanza delle suddette fitopatie impone alcune considerazioni sulla necessità di strategie di difesa efficaci, i cui interventi possono essere a lungo e a breve termine, ricorrendo a pratiche prettamente fitoiatriche quando trattasi di epidemie condizionanti le colture a più alto reddito.
Tra i primi si ricordano quelli che fanno ricorso al miglioramento genetico ed alla attività di selezione. Essi contemplano la resistenza ai patogeni ad alta specificità, come lo sono gli agenti delle malattie fogliari segnalati in precedenza, ed in maniera meno incisiva la tolleranza agli effetti dei parassiti opportunistici che sfruttano eventuali stati di debolezza delle piante.
Il miglioramento genetico, malgrado i numerosi positivi esempi indiscutibili, ha dimostrato, in alcuni esasperati indirizzi verso la resistenza assoluta, la propria aleatorietà offrendosi inerme alla comparsa di genotipi di patogeni sempre più specializzati ed aggressivi. Ne sono esempio preoccupante le
Tra gli interventi fitoiatrici fino ad ora attuati in bosco figurano quelli atti a ridurre gli effetti dannosi dei patogeni fogliari: sul pioppo in Europa (soprattutto contro
Siffatta strategia di lotta contro patogeni radicali e corticali ha posto e pone tuttora vari problemi, specialmente per quanto si riferisce ai momenti di loro maggiore vulnerabilità e alla localizzazione dell’intervento. Merita tuttavia ricordare l’efficienza della lotta contro il cancro corticale del castagno con l’introduzione di ceppi ipovirulenti di
Contributo allo stoccaggio di CO2 per specie legnosa in Italia (da
Perdite della massa legnosa attesa in termini di mancata fissazione del carbonio per le piantagioni di pioppo in Italia.
Effetti dannosi di patogeni su alcune specie legnose. Sup= superficie in ha; Prod = produzione in m3 ha-1 anno-1; (*): dati ripresi da
Specie | Sup. | Prod. | Patogeni | Perdite | |||
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Fogliari | Corticali | Radicali | Produzione(%) | Valoremerceologico(%) | |||
Pioppo | 115 | 18-25 |
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- | - | 12% | - |
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- | - | 8% | - | |||
|
- | - | 1% | - | |||
- |
|
- | 3.5% | 2% | |||
- | Macchie brune | - | 0.6% | 3.5% | |||
- | - |
|
1% | - | |||
Eucalipto | 55 | 10-20 |
|
- | - | 1% | - |
- | - |
|
1% | - | |||
- | - |
|
2% | - | |||
Castagno | 493 | 9-20 | - |
|
- | 7% | 20% |
- | - |
|
5% | - | |||
Douglasia | 15 | 13-20 |
|
- | - | 5% | - |
|
- | - | - | - | |||
- | - |
|
3% * | 2% * | |||
Pino strobo | 2 | 9-20 | - |
|
- | - | 1% |
- | - |
|
3% | - | |||
- | - |
|
2% | - | |||
Abete rosso | 264 | 3-8 |
|
- | - | 3% | - |
- | - |
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1% * | 20% * |