Abstract

Old-growth forests have a primary environmental and ecological value, as they closely recall primeval forests and the natural forest landscape that was spread throughout Italy and Europe before man intervention heavily altered the functioning of most natural ecosystems. These ecosystems are more and more recognized as keystones of environmental policies (i.e., the EU Biodiversity Strategy 2030) aimed to preserve biodiversity and mitigate the impacts of climate change. A recent report highlights that Europe’s old-growth forests account for only 3 percent of the overall forest surface. The majority of italian old-growth forests are located along the Apennines, especially in the Pollino, Sila and Aspromonte National Parks, in remote montane areas characterized by irregular topographical conditions (i.e., high slopes and/or shallow soils) which hamper the access and exploitation of these less productive stands, thus allowing the survival of old-growth forests for many centuries. The ongoing climate change is a significant challenge to the conservation of old-growth forests, particularly in areas such as the Mediterranean basin, where an intensification of extreme climate events is expected. Heat waves can exacerbate drought’s negative impacts on tree growth and survival, leading to reduced woody carbon stocks and biodiversity in old-growth forests. To date, there is poor understanding of such highly valuable and extremely fragile natural ecosystems in Italy. Insights are available based on data gathered as part of two research programs, funded by the Italian Ministry of the Environment and Land and Sea Protection, with the purpose of creating a Network of Old Growth Forests in Italy’s National Parks. In this study, we aimed to highlight the role and importance of old-growth forests, focusing on those located within the Pollino National Park. A comprehensive overview of the key strengths and weaknesses, that mark these peculiar forest ecosystems, was followed by a discussion of the future outlook, grounded on strategies that will ensure not only the protection and conservation of these ecosystems, but also their development and promotion.

Keywords

Biodiversity, Natural Ecosystem, Forest Management, Old-growth Forests, Structural Heterogeneity

Cos’è una foresta vetusta? 

I continui processi di degrado e trasformazione del paesaggio, la riduzione della diversità biologica e la frammentazione degli ambienti naturali in un contesto territoriale a crescente antropizzazione, sono divenuti temi centrali nell’azione delle istituzioni pubbliche ([4]). Tali aspetti, data l’importanza attribuita alla biodiversità, hanno reso necessario l’avvio di indagini scientifiche e conoscitive del patrimonio forestale, con particolare attenzione alle foreste vetuste. Dalla fine del secolo scorso, le foreste vetuste sono dunque divenute un argomento rilevante nelle ricerche del settore ecologico-forestale, al quale è corrisposto anche un significativo aumento di prodotti della ricerca ([15]).

In generale, il termine foreste vetuste viene utilizzato per indicare “comunità forestali che hanno raggiunto una fase di sviluppo caratterizzata da un’elevata eterogeneità strutturale”. Nel corso del tempo, sono state proposte diverse definizioni, con l’obiettivo di individuare l’ambito di applicazione di questo termine. Il primo tentativo di armonizzare la terminologia in ambito forestale risale al 2001, quando in occasione della Conferenza FAO, si decise di definire una foresta vetusta come “un bosco primario o secondario che abbia raggiunto un’età nella quale specie e attributi strutturali normalmente associati con foreste primarie senescenti dello stesso tipo si siano sufficientemente accumulati così da renderlo distinto come ecosistema rispetto a boschi più giovani” ([20]). Diversi autori, come Franklin et al. ([12]) e Siitonen et al. ([18]), definiscono le foreste vetuste comeecosistemi ad elevata diversità biologica”, strettamente correlata alla presenza di organismi specializzati che beneficiano del basso grado di disturbo e di microhabitat legati all’eterogeneità strutturale ([16]). Agli inizi degli anni ‘80, sono stati anche introdotti una serie di parametri strutturali di riferimento, quali la densità degli individui di grandi dimensioni diametriche e la quantità di necromassa legnosa in piedi ed a terra ([12]). Aksenov et al. ([1]) hanno introdotto una definizione, basata su inventari forestali, sopralluoghi, ed immagini satellitari, che potesse consentire la geolocalizzazione delle foreste vetuste in Russia.

In ambito europeo, la tematica viene affrontata in modo differente. Nilsson et al. ([16]) forniscono una panoramica dei dati strutturali riferiti alle foreste temperate di Polonia, Svezia, Finlandia, Francia, Corsica e Slovacchia. In realtà, la ricerca e gli studi sulle foreste vetuste nei paesi confinanti con l’Italia si basa spesso su definizioni e strategie differenti. In molti casi, si prevede l’istituzione di riserve forestali e/o aree protette, con l’obiettivo di preservarne la biodiversità e monitorare le dinamiche evolutive in assenza di disturbo antropico: ne sono un esempio l’Austria e la Svizzera. La Francia è l’unico paese ad aver avviato un’indagine nazionale dei boschi vetusti sul proprio territorio, partendo da 6 aree forestali protette già definite come boschi vetusti.

Per quanto riguarda l’ambito italiano, fino a qualche tempo fa, non erano noti boschi con caratteristiche di vetustà ricadenti nel territorio nazionale ([14]). In ragione del millenario sfruttamento delle foreste, non si riteneva possibile la presenza di siti forestali che presentassero caratteri di vetustà. Soltanto negli ultimi decenni, la ricerca scientifica italiana ha dedicato ampia attenzione allo studio di tali foreste, che ha portato all’identificazione di alcuni siti definibili come vetusti ([6], [7], [13], [17]). Oggigiorno, la conservazione dei boschi vetusti costituisce una delle priorità assolute delle politiche ambientali di Parchi, Regioni e Governo.

La definizione più recente di foreste vetuste è riportata dal “Testo unico in materia di foreste e filiera forestale” (Decreto Legislativo n.34 del 3 Aprile 2018), e dal Decreto del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, del 18 novembre 2021, secondo il quale, sono considerati boschi vetusti “le superfici boscate costituite da specie autoctone spontanee coerenti con il contesto biogeografico, con una biodiversità caratteristica conseguente all’assenza di disturbi per almeno 60 anni e con la presenza di stadi seriali legati alla rigenerazione ed alla senescenza spontanea”. In realtà, i sistemi forestali italiani sono stati per molti secoli influenzati dalle attività antropiche; nello specifico, la gestione forestale e le utilizzazioni legnose hanno nel tempo alterato le caratteristiche naturali degli ecosistemi forestali, riducendone la complessità strutturale e biologica. Negli ultimi decenni, però, l’aumento dei costi delle attività selvicolturali ha determinato la concentrazione delle utilizzazioni nelle zone più facilmente accessibili, determinando la marginalizzazione e l’abbandono di molte aree boschive considerate meno produttive e/o difficilmente raggiungibili. In queste aree, l’assenza dell’uomo e delle sue attività ha favorito il manifestarsi di tutti quei fenomeni di dinamismo secondario che orientano le foreste verso una maggiore naturalità e vetustà ([8]). Ad oggi, nel nostro paese, su una superficie complessiva pari a circa 10.5 milioni di ettari, solo poco meno di 100.000 ettari di bosco possono essere classificati come relativamente “indisturbati dall’azione umana” ([11]). Il recente studio di Motta et al. ([15]), basato su 260 articoli sul tema delle foreste vetuste in Italia pubblicati a partire dagli anni ‘90, ha messo in luce la presenza di 165 potenziali boschi vetusti: è emerso, però, come nella maggior parte degli studi non siano considerati tutti gli attributi essenziali per poter definire un bosco vetusto e/o come questi non siano misurati seguendo gli stessi criteri. Corona et al. ([10]) hanno pubblicato un libro che prende in esame i boschi vetusti individuati nel Parco Nazionale Gran Sasso - Monti della Laga. In Basilicata, si stima come, su una superficie complessiva di 350.000 ettari, circa lo 0.05% possa essere contemplato nella categoria “boschi vetusti”: ulteriori indagini sono necessarie per poter ottenere una delimitazione esatta di queste aree.

Perché studiare le foreste vetuste? 

Agli inizi degli anni 2000, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare decise di finanziare il programma di ricerca “Foreste vetuste in Italia”, al fine di creare una Rete di Foreste Vetuste nei Parchi Nazionali Italiani. Il progetto fu coordinato dal Centro di Ricerca Interuniversitario “Biodiversità, Fitosociologia ed Ecologia del Paesaggio” e coinvolse oltre agli enti Parco Nazionali, numerosi dipartimenti universitari ed il Corpo Forestale dello Stato. L’obiettivo del progetto fu la creazione di una Rete di foreste vetuste, che fosse il più possibile rappresentativa dell’eterogeneità ecologica e fitogeografica delle foreste italiane, su cui potersi concentrare per ulteriori indagini ai fini della definizione di linee guida per la gestione sostenibile delle foreste in termini di biodiversità. L’idea di creare una rete è fondamentale, in quanto si abbandona la visione monolitica del passato di considerare i Parchi come singole entità. Creare una Rete significa uniformare i monitoraggi e poter confrontare le aree al fine poi di adottare strategie idonee di gestione e conservazione di tali boschi. Ne è un esempio la rete delle foreste vetuste UNESCO, nella quale rientrano anche alcuni boschi vetusti italiani.

Nell’ambito del progetto “Foreste vetuste in Italia”, i boschi vetusti furono definiti come: “Foreste in cui il disturbo antropico sia assente o trascurabile, caratterizzate da una dinamica naturale che determina la presenza, al loro interno, di tutte le fasi di rigenerazione, compresa quella senescente. Tale fase è caratterizzata da individui di notevoli dimensioni ed età; presenza di legno morto (alberi morti in piedi, rami e alberi caduti a terra); una flora coerente con il contesto biogeografico caratterizzata dalla presenza di specie altamente specializzate che beneficiano del basso grado di disturbo e di specie legate ai microhabitat determinati dall’eterogeneità strutturale” ([3]).

La ricerca portò all’individuazione di 68 foreste vetuste da inserire nella Rete Nazionale, classificate in relazione alla classe di vetustà (26 bassa, 37 media, 5 alta - [5]). Il numero di fisionomie forestali individuate fu abbastanza alto (16), ma la fisionomia vegetale data dai boschi a dominanza di Fagus sylvatica rappresentò la maggioranza sul numero totale dei siti (27 su 68). Tra i popolamenti segnalati, ben 5 ricadevano nel Parco Nazionale del Pollino.

Il progetto “Costituzione della rete dei boschi vetusti dei parchi nazionali dell’Appennino meridionale” 

I boschi vetusti, in ambito ecologico, costituiscono realtà uniche in cui l’assenza di impatti antropici, per un periodo sufficientemente prolungato, consente alle dinamiche naturali di esprimersi fino ai limiti della potenzialità stazionale dando luogo a cenosi strutturalmente complesse. Nel 2013, facendo seguito al precedente progetto “Foreste vetuste in Italia”, il Ministero dell’Ambiente finanziò un ulteriore progetto di sistema “Costituzione della rete dei boschi vetusti dei parchi nazionali dell’Appennino meridionale”. Gli enti coinvolti furono il Parco Nazionale del Pollino (capofila), il Parco Nazionale dell’Appennino Lucano-Val d’Agri-Lagonegrese, il Parco Nazionale della Sila, il Parco Nazionale dell’Aspromonte ed il Parco del Cilento-Vallo di Diano e Alburni. Gli obiettivi previsti erano:

  • validare ed integrare la lista di boschi vetusti individuati nel precedente progetto;
  • individuare una rete di boschi vetusti per i quali raccogliere informazioni volte a definire linee guida, utili per una gestione sostenibile di tali sistemi forestali e la possibilità attraverso quest’analisi di poter rappresentare la disomogeneità fitogeografica ed ecologica che caratterizza i popolamenti forestali in esame.

La direzione scientifica del progetto fu affidata al CIRBISES dell’Università della Sapienza, che predispose un protocollo per la caratterizzazione dei siti prescelti e per l’allestimento delle aree di monitoraggio permanente (punto zero di monitoraggio). Alle attività di progetto previste dal protocollo, terminate nell’estate del 2019, hanno partecipato la Scuola di Scienze Agrarie, Forestali, Alimentari ed Ambientali dell’Università degli Studi della Basilicata per la parte dei rilievi strutturali e forestali ed il Dipartimento di Biologia, Ecologia e Scienze della Terra dell’Università della Calabria per i rilievi fitosociologici e botanici.

Il progetto era caratterizzato essenzialmente di 4 fasi:

  • Fase I: Verifica ed integrazione della rete dei boschi vetusti;
  • Fase II: Caratterizzazione dei boschi vetusti attraverso il confronto con fustaie mature;
  • Fase III: Realizzazione di una rete di monitoraggio permanente (punto zero di monitoraggio)
  • Fase IV: Raccolta dei dati di dettaglio nelle aree permanenti.

L’elenco dei boschi vetusti proposti per il Parco Nazionale del Pollino conta ad oggi nove siti, come riportato nella Tab. 1 (vedi pure Fig. 1).

Tab. 1 - Caratteristiche stazionali dei siti vetusti selezionati.

Località Sito Coordinate geografiche Superficie(ha) Altitudine(m s.l.m.)
Latitudine N Longitudine E
Bosco Magnano - San Severino Lucano (PZ) Bosco Magnano 40.050 16.105 18 850
Bosco Vaccarizzo - Carbone (PZ) Bosco Vaccarizzo 40.124 16.048 21 950
Cugno dell’Acero - Terranova di Pollino (PZ) Cugno dell’Acero 39.957 16.216 83 1400
Cozzo Ferriero - Rotonda (PZ) Faggeta di Cozzo Ferriero 39.906 16.094 70 1750
Grattaculo - Viggianello (PZ) Faggeta di Grattaculo 39.936 16.117 54 1750
Serra di Crispo - Terranova di Pollino (PZ) Serra di Crispo 39.935 16.21 100 1850-2127
Monte Sparviere - Alessandria del Carretto (CS) Acereta di Monte Sparviere 39.928 16.354 72 1200-1500
Pollinello - Castrovillari (CS) Faggeta di Pollinello 39.896 16.167 20 1950
Filicaro - Buonvicino (CS) Lecceta di Buonvicino 39.685 15.889 20 850

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Fig. 1 - Localizzazione dei principali siti presenti nel Parco del Pollino. La scala di colori rappresenta l’altitudine dei siti (m s.l.m. - [19]).

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Rilievi e attività di censimento nei siti vetusti 

Il rilievo delle caratteristiche dei popolamenti oggetto di studio è stato realizzato ponendo in esame aree permanenti di estensione pari ad 1 ettaro, all’interno delle quali sono stati individuati differenti sub-plots (Fig. 2, Fig. 3). Nello specifico, il protocollo adottato ha previsto la rilevazione dei parametri strutturali (ad es., dendrotipo, diametro, altezza) degli alberi in piedi, la caratterizzazione dello strato arbustivo, della rinnovazione e della lettiera, la classificazione e caratterizzazione della necromassa o legno morto presente (ad es.: DST - Standing Dead Trees; CWD - Coarse Woody Debris; Stumps; Snag), ed infine, il rilievo fitosociologico con la raccolta dei caratteri topografici, edafici e di copertura.

Fig. 2 - Documentazione fotografica, a titolo esemplificativo, di alcune caratteristiche rinvenibili nei boschi vetusti oggetto di studio.

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Fig. 3 - Rilievi strutturali e floristici nei siti oggetto di studio.

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Tutte le informazioni sono state inserite in un database al fine di consentire la costruzione di un geodatabase contenente sia dati strutturali che vegetazionali e la successiva elaborazione dei dati ottenuti.

Uno sguardo ai siti vetusti del Parco Nazionale del Pollino 

Il bioclima del Parco Nazionale del Pollino risulta estremamente articolato; difatti, in relazione all’estensione ed alla forte escursione altimetrica, è possibile evidenziare aree caratterizzate da differenti condizioni climatiche, passando dal bioclima mediterraneo a quello di transizione oceanico o oceanico-semicontinentale alle quote maggiori. Dei siti vetusti censiti, quasi tutti risultano caratterizzati dalla presenza del faggio. Oltre al faggio, le specie di maggiore interesse sono rappresentate dal leccio (nelle fasce con clima più mite), pino loricato (specie appennino-balcanica presente in Italia solo nel Parco Nazionale del Pollino) ed aceri.

L’acereta di Monte Sparviere rientra nel sito di Rete Natura 2000 - SIC “Monte Sparviere”- IT9310019. In relazione alla sua estensione (superiore ai 50 ettari) ed al numero di varietà di acero ospitate (Acer platanoides L., Acer pseudoplatanus L., Acer opalus Mill., Acer campestre L., Acer lobelii Ten., Acer monspessolanum L.), rappresenta una realtà unica e rara nel contesto italiano. Quello che più colpisce all’interno del sito è certamente la straordinaria diversità biologica, risultato della presenza di molteplici specie forestali. Tale popolamento è localizzato al limite della distribuzione meridionale dell’acero riccio e del frassino meridionale. Altro aspetto peculiare è rappresentato dalla coesistenza del faggio e dell’abete bianco, che assieme occupano le zone più impervie ed umide del sito.

Il complesso forestale di Bosco Magnano è uno tra i più importanti siti nel Parco Nazionale del Pollino, ed occupa 18 ettari nel sito Rete Natura 2000 - SIC “Bosco Magnano” - IT9210040. Grazie alla sua ubicazione ed alla elevata variabilità altimetrica (da 650 a 959 m s.l.m.), è possibile rinvenire un’elevata eterogeneità ambientale. In effetti, è possibile rilevare quattro principali formazioni vegetali, quali l’ontaneta (Alnus glutinosa e/o Alnus cordata), la cerreta, la faggeta e il carpineto (Carpinus betulus). In dettaglio, in alcune aree è possibile rinvenire il cerro nella parte sommitale del bosco al di sopra del faggio, grazie al cosiddetto fenomeno dell’inversione termica.

Il bosco Cugno dell’Acero occupa una superficie complessiva di 83 ettari costituendo, nella sua tipologia, il complesso forestale più vasto in tutto l’Appennino centro-meridionale. Il bosco rientra nel sito Rete Natura 2000 - SIC “Lago Duglia, Casino Toscano, Piana di San Francesco”- IT9210075. Analogamente al precedente sito, anche questo popolamento forestale è caratterizzato dalla consociazione naturale di abete bianco (Abies alba) e faggio (Fagus sylvatica). La nota fisionomica più evidente, in questo caso, è legata certamente all’abbondante presenza di abete bianco, che in alcuni casi è presente con individui secolari che svettano al di sopra della faggeta.

Il bosco Vaccarizzo si caratterizza come un’ampia e ricca foresta entro il quale è possibile rinvenire importanti peculiarità floristiche. Complessivamente interessa una superficie di 21 ettari, che rientrano nel sito di Rete Natura 2000 - SIC “Bosco Vaccarizzo”- IT9210070. Tale formazione forestale costituisce un “relitto” della tipologia di bosco un tempo presente in gran parte dell’Appennino calabro-lucano. Si tratta della consociazione naturale di abete bianco e faggio, originatasi nei secoli a causa delle variazioni climatiche e dei disturbi antropici. Altra importante caratteristica è data dalla presenza di ampie radure, conseguenza delle utilizzazioni avvenute in passato, nelle quali oggi è possibile rinvenire esemplari di faggio di elevate dimensioni diametriche.

La faggeta di Cozzo Ferriero è disposta lungo la dorsale che da Coppola di Paola raggiunge Cozzo Ferriero, occupando una superficie, in parte sub-pianeggiante, compresa tra 1700 e 1750 m s.l.m. L’area ricade nel sito Rete Natura 2000 - SIC “Timpa dell’Orso - Serra del Prete” - IT9210125. In relazione alle tante peculiarità che la caratterizzano, la faggeta di Cozzo Ferriero è stata recentemente riconosciuta come Patrimonio mondiale dell’Umanità dell’UNESCO, assieme ad altre pochissime faggete in Europa. Rappresenta una tipica faggeta microterma, sviluppatasi nelle zone sommitali più impervie dei massicci minori del Parco Nazionale del Pollino. La parte vetusta del bosco si estende su di un’area di circa 20 ettari, entro la quale vegetano alberi monumentali di età molto avanzata (fino a 500 anni). Tali aspetti, insieme alle peculiarità biologiche ed ecologiche, contribuiscono a rendere questo sito particolarmente interessante a livello nazionale ed europeo.

La faggeta di Pollinello rappresenta una delle realtà più affascinanti del Parco Nazionale del Pollino, tanto da essere anch’essa candidata a patrimonio mondiale nell’ambito del processo di estensione del sito UNESCO delle faggete vetuste italiane ed europee. La faggeta vetusta di Pollinello si sviluppa a quote elevate comprese tra i 1900 e i 2000 m s.l.m. Si tratta di una faggeta estremamente peculiare, in quanto nonostante l’elevato gradiente altimetrico, risulta caratterizzata dalla presenza di esemplari di altezza e diametro ragguardevoli. Si tratta di un bosco con alti livelli di naturalità e in cui vegetano i faggi più vecchi d’Europa. Tali popolamenti, nel loro insieme, costituiscono sistemi forestali in grado di resistere ai disturbi climatici e geomorfologici tipici di queste aree. In termini floristici, la faggeta di Bosco Pollinello risulta impreziosita dalla presenza di alcune entità a baricentro distributivo boreale ed estremamente rare nell’Appennino meridionale, come Polysthicum lonchitis, e Adenostyles alpina (L.) Bluff & Fingerh. subsp. macrocephala (Huter, Porta & Rigo) Dillenb. & Kadereit.

La faggeta di Grattaculo è un altro importante esempio di faggeta microterma presente nel Parco Nazionale del Pollino. Il sito interessa una superficie di 54 ettari ricadenti nell’area SIC “Timpa dell’Orso - Serra del Prete” - IT9210125. Il popolamento rispecchia le caratteristiche delle faggete microterme dell’Appennino meridionale che costituiscono la fisionomia tipica dei versanti posti alle quote più elevate del Pollino. La faggeta si distingue nettamente da quelle situate a quote inferiori; difatti, in essa vi è la caratteristica presenza di specie microterme come la campanula delle faggete e il ranuncolo di Calabria.

Il popolamento di Buonvicino costituisce uno degli ultimi lembi di lecceta presenti nell’area del Parco Nazionale del Pollino. Il popolamento presenta chiari segni di vetustà, difatti è possibile osservare al suo interno individui di grandi dimensioni, un gran numero di alberi morti in piedi ed un’elevata quantità di detriti legnosi al suolo. La lecceta di Buonvicino rientra nell’area SIC “Serrapodolo” - IT9310032, situata ad una quota di circa 800 m s.l.m.

Il sito Serra di Crispo costituisce il regno del pino loricato, specie che in Italia vegeta allo stato naturale esclusivamente sull’Appennino calabro-lucano. Qui i pini loricati crescono a quote parecchio elevate, generalmente superiori ai 1700 m s.l.m. Il sito è ubicato ad una quota media di 2000 m s.l.m. ed è costituito prevalentemente da alberi monumentali che possono raggiungere età molto avanzate, in alcuni casi anche superiori ai 700-800 anni. Difatti, non lontano da quest’area è presente Italus, che con i suoi 1230 anni (nel 2017) rappresenta l’individuo più longevo d’Europa. L’area rientra nel sito di Rete Natura 2000 - SIC “Serra di Crispo, Grande Porta del Pollino e Pietra Castello”- IT9210245.

Nella Tab. 2 si riporta un quadro riassuntivo delle principali caratteristiche strutturali di ciascun popolamento vetusto.

Tab. 2 - Quadro riassuntivo delle principali caratteristiche strutturali dei siti oggetto di studio.

Sito Volume biomassa arborea
(m3 ha-1)
Densità
(n. piante ha-1)
Area basimetrica
(m2 ha-1)
Presenza
rinnovazione
Range diametrico
(cm)
Monte Sparviere 478.3 165 43.3 si 5 - 110
Bosco Magnano 516.1 1388 34.6 si 5 - 150
Bosco Vaccarizzo 349.7 456 32.6 sporadica 5 - 160
Cozzo Ferriero 582.9 549 57.7 si 5 - 125
Cugno dell’Acero 635.6 1312 60.6 si 5 - 110
Pollinello 450.2 311 53.2 assente 20 - 70
Buonvicino 551.8 1915 67.3 assente 5 - 150
Grattaculo 389 580 39.6 sporadica 5 - 85
Serra di Crispo 78.9 115 14.8 si 5 - 160

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Dalle elaborazioni effettuate è stato possibile caratterizzare i differenti siti oggetto di studio, facendone emergere le peculiarità ecologiche, strutturali e biologiche. Nel dettaglio, tra i dati ottenuti, il valore di area basimetrica maggiore è stato rilevato nella lecceta di Buonvicino; quest’ultimo dato è stato inoltre confermato dalla maggiore densità rinvenuta nel suddetto popolamento. Viceversa, il valore di area basimetrica più basso è stato rilevato per il sito di Serra di Crispo, dove certamente le condizioni pedo-climatiche influenzano fortemente la crescita e l’espansione delle specie arboree. Altro fattore chiave è definito dal numero di piante ad ettaro con diametro maggiore di 40 cm: la faggeta di Pollinello è risultata essere il sito con la maggiore presenza di individui arborei di grosse dimensioni; mentre, i valori più contenuti sono stati rilevati nei siti di Serra di Crispo e bosco Vaccarizzo. La presenza di individui di grandi dimensioni è sicuramente uno degli aspetti più importanti che influisce sulle caratteristiche di vetustà di un popolamento. La valutazione delle altezze medie ha consentito di evidenziare la maestosità di alcuni degli individui arborei presenti: le piante più alte (fino a 52-54 m) sono state rinvenute nel sito di bosco Magnano; al contrario, le altezze più contenute sono state osservate nel sito di Serra di Crispo. Anche in termini di distribuzione delle classi diametriche, il popolamento di bosco Magnano ha mostrato la maggiore eterogeneità, seguito dal bosco Vaccarizzo e dal sito di Serra di Crispo, nei quali è stato rilevato un ampio intervallo diametrico.

In linea generale, in merito alle quantità di necromassa, sono stati rilevati valori piuttosto simili in tutti i siti indagati, in media 20 m3 per ettaro; fa eccezione il sito di Cugno dell’Acero, nel quale si raggiungono mediamente valori di 60 m3 ad ettaro.

Concludendo, l’eterogeneità strutturale, la presenza di individui di dimensioni notevoli, la disetaneità del popolamento, l’abbondante presenza di necromassa legnosa con diverso grado di decomposizione, sono tutti parametri che ci indicano l’assenza di disturbo antropico, in ogni sua forma, per lunghi periodi.

Punti di forza e criticità 

Le foreste vetuste sono sempre più considerate la pietra miliare delle politiche ambientali, che puntano a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici (CC) e a preservare la biodiversità. Il rapporto JRC ([2]) evidenzia come circa il 93% delle foreste primarie e vetuste mappate a livello europeo rientri nella Rete Natura 2000 e l’87% sia già strettamente protetto. Recentemente ai boschi vetusti è stato riconosciuto un ruolo chiave anche nella nuova Strategia Forestale Nazionale. Rappresentano, infatti, il punto di riferimento nella selvicoltura prossima alla natura, che punta a preservare la funzionalità delle foreste. La presenza di boschi vetusti nel Parco del Pollino è di fondamentale importanza e ne costituisce senza dubbio un valore aggiunto. Infatti, la presenza di questi lembi, con caratteristiche molto simili a quelle dei boschi vergini presenti in origine in assenza di disturbo antropico, può rappresentare una grossa opportunità per studi scientifici. Molti autori riconoscono tali ambienti come veri e propri hotspot di biodiversità, nonché come importanti siti per lo studio e l’osservazione della risposta di tali ecosistemi al cambiamento climatico ([9]). Per poter meglio garantire la funzionalità delle foreste vetuste mediterranee di fronte ai cambiamenti climatici, è necessario infatti disporre di una maggiore conoscenza circa l’influenza delle variazioni climatiche sulle performance di crescita, sulla mortalità e sulla rigenerazione naturale a diversi livelli ecologici. Ciò richiede una valutazione approfondita della relazione tra i fenotipi e i fattori climatici che limitano la crescita degli individui arborei nei popolamenti forestali vetusti. Ad esempio, un recente studio dendrocronologico ha mostrato come gli individui arborei di maggiore età riescano a mantenere una crescita relativamente stabile, mentre le giovani generazioni risultino più sensibili al cambiamento climatico ([9]), ma non è ancora noto se questa probabile maggiore resistenza ai fattori climatici sia legata alla plasticità fenotipica, ad un adattamento genetico, e/o ad altri fattori. La possibilità di poter investigare sulle dinamiche e i processi ecologici potrà sicuramente consentire lo sviluppo di piani di gestione per la salvaguardia di habitat così preziosi. Ai fattori climatici si aggiunge il disturbo antropico ancora presente in alcune aree, che costituisce una vera e propria criticità per la conservazione di tali popolamenti: ne sono un esempio gli usi locali di varia natura come la raccolta della legna secca e il pascolo. A tutto ciò si somma l’eccessiva frammentarietà di questi siti con superfici spesso limitate, che ne rendono difficoltosa la gestione. Per cui la conservazione delle foreste vetuste costituisce una delle priorità assolute delle politiche ambientali di Parchi, Regioni e Governo. L’auspicabile creazione di una rete nazionale di boschi vetusti, che sia rappresentativa di tutti i contesti ambientali e fisionomie forestali, presuppone infatti il coordinamento tra gli Enti a diverso livello, con il necessario supporto del Ministero dell’Agricoltura, della sovranità Alimentare e delle Foreste. Allo stato attuale, mancano, a livello nazionale, linee guida per la conservazione dei boschi vetusti ed opportuni finanziamenti per la predisposizione di piani di gestione/conservazione e/o per acquisizione di diritti di taglio (anche per le aree buffer) a favore dei comuni proprietari.

Prospettive strategiche: le foreste vetuste nelle politiche di conservazione e valorizzazione 

Il Congresso Mondiale dell’International Union for Conservation of Nature svoltosi nel 2021 ha evidenziato la volontà di preservare le foreste vetuste. Emerge, dunque, la necessità di implementare approcci interdisciplinari che puntino a indagare in che modo e in che misura le foreste vetuste siano minacciate dai cambiamenti climatici, in accordo con quanto riportato nella Strategia Forestale Nazionale Italiana 2020, nelle linee guida delle principali agende europee che mirano a mitigare gli impatti dei cambiamenti climatici attraverso la conservazione ed il ripristino delle foreste (ad es., le foreste vetuste immagazzinano un’enorme quantità di carbonio), a preservare i servizi ecosistemici (strategia dell’UE per le foreste al 2030) e la biodiversità (strategia dell’UE per la biodiversità al 2030). Nel dettaglio, la strategia dell’UE per le foreste al 2030, indica al capitolo 3.1 “Tutte le foreste primarie ed antiche, in particolare, dovranno essere rigorosamente protette”. Stesso concetto viene riportato anche tra gli obiettivi previsti dalla strategia dell’UE per la biodiversità al 2030. In termini di biodiversità, la Strategia Pan-Europea per la Diversità Biologica e del Paesaggio (PEBLDS), inoltre, nel tema d’azione dedicato alle foreste (tema 9) indica tra gli obiettivi a scala regionale quello di rafforzare la gestione sostenibile delle foreste, ed in particolare quella delle foreste vetuste nella regione mediterranea meridionale. Le conoscenze acquisite possono consentire la definizione di strategie e linee guida per gli stakeholders ed i decisori politici, con l’obiettivo di conservare e preservare le foreste vetuste. La predisposizione di piani ad hoc potrebbe rappresentare un primo passo lungo questa direzione. L’approvazione del Decreto del 18 novembre 2021 “Linee guida per l’identificazione delle aree definibili come boschi vetusti” e la relativa creazione della Rete Nazionale dei Boschi Vetusti (art.7 comma 13-bis del decreto legislativo 3 aprile 2018, n. 34 - TUFF) ha avviato una nuova fase per la conservazione della biodiversità forestale in Italia. In tale contesto le regioni, in relazione alle rispettive esigenze, norme e caratteristiche ecologiche e socio-economiche, dovranno recepire tali indirizzi con la possibilità di poter adottare ulteriori disposizioni che non riducano il livello di tutela e conservazione delle foreste. Il riconoscimento di una foresta vetusta dovrebbe quindi sempre essere accompagnato da un piano di gestione e monitoraggio volto a riassumere gli interventi ammessi e non, così come tutte le attività volte a garantire una maggiore tutela e stabilità dei popolamenti. Una delle sfide più importanti in tale contesto è sicuramente quella di conciliare la tutela della biodiversità con la crescente domanda turistica. Occorrerà definire i giusti criteri, che possano garantire la fruibilità di tali ambienti per finalità scientifiche, didattiche e sociali. Non meno importante è l’individuazione di strategie innovative di sviluppo, che puntino a garantire un ritorno economico per le popolazioni che risiedono in prossimità di tali aree. Le aree naturali protette, fortemente limitate dai vincoli e dalle norme a cui sono sottoposte, potrebbero così essere inserite al centro di progetti di sviluppo locale. Pertanto, l’istituzione di un’area naturale protetta non dovrebbe essere più recepita dalle comunità come un fattore limitante per lo sviluppo economico delle stesse, bensì come una sorta di “marchio di qualità” con un forte potere attrattivo per il territorio coinvolto. In considerazione dell’elevata vulnerabilità che caratterizza i siti vetusti, non è certo possibile immaginare l’adozione di modelli di sviluppo convenzionali basati sullo svolgimento di attività economiche ad elevato impatto ambientale; viceversa, è necessario che gli enti e le comunità investano le proprie risorse nella ricerca e nella definizione di nuovi modelli di valorizzazione, che includano lo svolgimento di attività innovative ed a ridotto impatto ambientale, come l’ecoturismo e/o il turismo virtuale. L’ecoturismo può essere metodologicamente inquadrato nell’ambito delle forme di turismo orientate alla sostenibilità ed alla responsabilità sociale. Il turismo sostenibile ha conosciuto una significativa diffusione negli ultimi decenni e si pone come alternativa e/o risposta all’impostazione del turismo di massa poco attento alla conservazione delle risorse naturali e del territorio. Attraverso l’ecoturismo è quindi possibile preservare il patrimonio culturale e paesaggistico dei luoghi, migliorandone al contempo la qualità della vita delle comunità locali e la protezione dell’ambiente naturale. Per le foreste vetuste, al fine di ridurre le interazioni uomo-natura, sarà cruciale poter effettuare una zonizzazione dei siti definendo le aree buffer (core areas) ed i percorsi in cui consentire l’accesso ai visitatori. Nelle aree più vulnerabili, sarebbe opportuno optare per l’impiego di innovative apparecchiature digitali, favorendo così la nascita e l’affermazione del turismo virtuale. Il turismo virtuale rappresenta una delle più recenti soluzioni tecnologiche con il quale è possibile rappresentare tridimensionalmente un ambiente reale o artificiale. Tramite l’ausilio di particolari apparecchiature, come pannelli interattivi o visori 3D, l’utente potrà dunque immergersi virtualmente in questi ecosistemi forestali unici, senza apportare alcuna alterazione all’ambiente circostante. Un tale approccio, oltre ad assicurare la conservazione e la stabilità degli ambienti naturali, potrebbe favorire lo sviluppo sostenibile in quelle aree marginali che troppo spesso sono state escluse dalle azioni e dalle strategie di sviluppo nazionale. Allo stato attuale, è quindi evidente la necessità di intervenire attraverso la promozione di tutti quei progetti volti al riconoscimento ed alla valorizzazione delle aree naturali protette e più in generale delle aree montane e marginali. Enti, ricercatori e stakeholders sono dunque chiamati a cooperare affinché possano essere definite strategie e azioni utili alla salvaguardia e valorizzazione delle cenosi forestali vetuste.

Ringraziamenti 

Lavoro svolto con il contributo del progetto “Costituzione della rete dei boschi vetusti dei parchi nazionali dell’Appennino meridionale”, coordinato dal CIRBISES dell’Università della Sapienza; un ringraziamento va al Prof. Carlo Blasi e la Prof.ssa Sabina Burrascano. Lavoro svolto con il supporto dei Comandi Stazione - Nucleo Forestale presenti nel territorio del Parco del Pollino.

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