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Climate change in progress: observations on the impacts of drought events on Tuscan forests

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 20, Pages 1-9 (2023)
doi: https://doi.org/10.3832/efor4224-019
Published: Jan 03, 2023 - Copyright © 2023 SISEF

Research Articles

Abstract

The empirical observation of the impacts of drought and heat waves that occurred between 2017 and 2022 in several forest areas of Tuscany allowed to describe various processes and effects on forest trees and shrubs. The most severe impacts were observed on the evergreen Mediterranean tall woodlands and the aged coppices (on holm oak trees), causing defoliation and even mortality. In most cases, the attempts of resprouting from dormant buds (from the base of the tree trunk or in the crown), following the drought events, were not successful. Deciduous broad-leaved trees (beech, downy oak) suffered a strong summer defoliation, especially on steep slopes with shallow soils and south-facing aspect. These species were generally able to replenish the foliage the following year. In the most unfavorable conditions, however, we observed extensive attacks of opportunistic parasites, such as the fungi of the genus Biscogniauxia, which were favored by drought and were the ultimate cause of mortality. Turkey oak showed mortality in small groups or individual trees. Heat and drought also affected several minor tree species, with defoliation, desiccation and, in the most serious causes, death of the tree. Some meso-hygrophilous species that are restricted with relict populations to specific microclimatic sites within the Mediterranean and sub-Mediterranean habitats were also impacted, with consequences on biodiversity, regeneration, and production of fruits for wildlife. Increasing drought and heat will trigger regressive dynamic processes that will lead in many sites to the transformation of holm oak forests into bushy forms of scrub, and of scrublands into sparse garrigues or even steppes. A more intense natural thinning of aged coppice stands with especially Turkey oak is also occurring, due to the combined effect of drought and intra- or inter-specific competition. The implementation of a regional monitoring system is recommended, based on the integration of past and existing experiences with new initiatives, to quantify the dynamics, extent and severity of the impacts. A crucial point is the need to adapt forestry, and especially utilization of coppice woods, to the changed ecological conditions to avoid increasing the impact on them.

Keywords

Biodiversity Loss, Biotic Interactions, Defoliation, Heat Waves And Drought, Tree Mortality

Introduzione 

Nel corso del XXI secolo, le ondate di calore e siccità estreme hanno colpito ripetutamente l’Italia ed il resto d’Europa ([55], [57], [58]), causando defogliazione e mortalità nelle foreste ([1], [19]). Si ricordano in particolare gli eventi del 2003, del 2012, del 2017 e la siccità di questi ultimi anni (soprattutto 2021 e 2022). Gli impatti sulle foreste sono stati crescenti nel tempo. Breda et al. ([9]) riferiscono circa defogliazione, danni alla chioma e mortalità di specie mesofile, come Fagus sylvatica L. (faggio) in Europa centrale a seguito della siccità del 2003. In Italia, i dati delle indagini sulla salute delle foreste (CON.ECO.FOR.) non indicano incrementi importanti di defogliazione ([14]) a seguito dell’ondata di calore estrema del 2003, ma alcune dinamiche negative verificatesi localmente negli anni successivi, come il deperimento della rovere (Quercus petraea [Matt.] Liebl.) nei boschi di Carrega a Parma ([6]), e il deperimento di pino silvestre (Pinus sylvestris L.) nelle Alpi occidentali ([60]) sono state imputate allo stress avvenuto nel 2003.

I risultati delle indagini sulla salute dei boschi mostrano, sia a livello europeo che italiano, un deciso aumento della defogliazione, con una tendenza significativa a partire dal 2010 ([53]), ed un altrettanto significativo aumento della mortalità degli alberi negli ultimi 25 anni ([32]). Tali andamenti sono attribuibili a stress climatici e successive interazioni biotiche. Questi dati, ottenuti da una rete sistematica di monitoraggio forestale a bassa intensità (1 area permanente ogni 270 Km2 in Italia, e ogni 256 nel resto d’Europa), tuttavia, seppur fondamentali come quadro di riferimento, non sono sufficienti per descrivere compiutamente le dinamiche ecologiche e le conseguenze sulla biodiversità nei differenti ecosistemi forestali.

È solo nel 2012 che sono stati documentati i primi disseccamenti su chiome di leccio (Bettini, com. pers.). Gli impatti più estesi sono stati osservati con l’evento del 2017 ([54], [52]) e quelli avvenuti negli anni successivi. Dal 2017, e in seguito alla cosiddetta “megadrought” che ha colpito l’Europa centrale fra il 2018 e il 2019 ([58]), gli studi relativi agli impatti dei cambiamenti climatici sulle foreste si sono moltiplicati documentando gli effetti reali e i processi ecologici in corso.

Con il presente contributo si intende documentare gli impatti reali avvenuti fra il 2017 ed il 2022 in un territorio, come la regione Toscana, limitato, ma eterogeneo. Attraverso ripetuti sopralluoghi in comprensori forestali che vanno dagli ambienti costieri a quelli appenninici sono stati evidenziati andamenti specie-specifici e sito specifici, che hanno permesso di ricavare indicazioni per future attività di ricerca e stimolare la collaborazione fra gruppi e competenze scientifiche differenti.

Cosa sta accadendo alle foreste toscane? 

Gli effetti osservati nei periodi di maggiore siccità possono essere differenti di anno in anno e variano a seconda delle specie e dei popolamenti osservati, nonché delle prevalenti condizioni ecologiche in cui tali popolamenti vivono. Inoltre, singoli eventi meteorologici, come temporali estivi a carattere puntiforme che interessano zone circoscritte, contribuiscono ad aumentare la variabilità territoriale della severità degli impatti.

Defogliazione e mortalità nelle specie di latifoglie sempreverdi mediterranee

In Toscana, ad oggi, importanti ed estesi eventi di mortalità degli alberi e disseccamento di ampie parti della chioma causati da ondate di calore e siccità sono stati osservati soprattutto in formazioni mature di leccio (Quercus ilex L.) nella zona meridionale nell’estate 2017 ([52]), nei versanti esposti a mare nel parco della Maremma e di vari altri complessi collinari lungo la costa maremmana (in particolare fra i comuni di Scarlino e Castiglione della Pescaia) e in alcuni complessi della Val di Cecina (Pisa). I casi osservati sono analoghi a quanto già documentato per la Penisola Iberica ([43]). La capacità di ricaccio di questa specie da gemme dormienti alla base del fusto o all’interno della chioma ([64]), ha fatto ritenere possibile un parziale recupero vegetativo del soprassuolo in un tempo medio-lungo (3-5 anni). Tuttavia, nei casi da noi osservati i getti prodotti fra il 2018 e il 2019 sono successivamente disseccati e morti in gran parte fra il 2021 e il 2022 (Fig. 1), evidenziando la difficoltà di recupero di questa specie quando il tempo di ritorno di tali eventi è breve. Nel leccio, la morte e il declino degli alberi è accompagnata dalla diffusione del fungo patogeno di debolezza Biscogniauxia mediterranea (De Not.) Kuntze ([17]).

Fig. 1 - Aspetti degli impatti sul leccio. (A): recupero parziale della chioma (chioma di nuova generazione) dopo l’impatto del 2017, per mezzo dell’attività di gemme dormienti (2020); (B): disseccamenti a carico della chioma di nuova generazione nel corso della siccità dell’estate 2021; (C): emissione di polloni basali su piante colpite dalla siccità nel 2017 (2020); (D): disseccamento dei medesimi polloni nel corso della siccità dell’estate 2021.

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Anche i popolamenti di sughera (Quercus suber L.) dell’alta Maremma toscana hanno subito un forte impatto, con numerose piante deperienti, branche disseccate e chiome fortemente diradate. I primi casi di deperimento sono stati rilevati nel 2017 e successivamente accentuati con gli eventi del 2021 e 2022. Tali eventi hanno determinato, sulle sughere, una maggiore virulenza di patogeni opportunisti, soprattutto del genere Phytophthora (oomicete), ed anche attacchi di insetti xilofagi quali Platypus cylindrus (Fabricius), che ne hanno accelerato il declino e determinato la morte (Fig. 2A).

Fig. 2 - Aspetti del deperimento su specie sempreverdi mediterranee. (A): deperimento della sughera vicino Roccastrada (2017); (B) panoramica della gariga con forti ingiallimenti e disseccamenti a Monterufoli - Caselli (2021-2022); (C) corbezzolo; (D) fillirea; (E) ginepro ossicedro.

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Il declino delle leccete, sia ad alto fusto, sia cedui invecchiati, e dei popolamenti di sughera, sta causando un cambiamento nella struttura del bosco, con l’affermarsi di forme arbustive e la diffusione di alcuni taxa tipici della macchia mediterranea. Tuttavia, anche le specie arbustive sempreverdi sclerofille della macchia mediterranea, sia sul territorio toscano che più in generale nella regione mediterranea, sono risultate particolarmente vulnerabili su substrati superficiali ofiolitici o calcarei ([24]) e nelle esposizioni maggiormente assolate (Fig. 3). Le specie più vulnerabili sono risultate essere il mirto (Myrtus communis L.) e il corbezzolo (Arbutus unedo L.), ma hanno mostrato forte sofferenza anche il viburno (Viburnum tinus L.), le scope, soprattutto Erica arborea L., e il ginepro ossicedro (Juniperus oxycedrus L.) su suoli ofiolitici. La fillirea (Phillyrea latifolia L.), considerata resistente in gran parte della letteratura scientifica degli scorsi anni (vedi la review di [16]), è apparsa anch’essa vulnerabile nel corso dei più recenti eventi di siccità. Il lentisco (Pistacia lentiscus L.) è invece risultata la specie meno danneggiata.

Fig. 3 - Aspetti del deperimento di roverella (A-C) e cerro (D-F) nelle annate siccitose. (A) roverella: la chioma si svuota a partire dalle parti interne; (B) roverella: chioma completamente defogliata; (C) roverella: emissione di nuove foglie dopo le piogge di fine agosto (2022); (D) cerro: chioma totalmente ingiallita, con inizio di disseccamenti (Montaione, 2021); (F) cerro con chioma completamente disseccata (Montaione, 2022); (E) cerro morto in piedi (Spedaletto, Scarlino, 2021).

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Gli impatti sulle latifoglie decidue del piano collinare e submontano

Le querce decidue, cerro e roverella (Quercus cerris L. e Quercus pubescens Willd.) hanno mostrato comportamenti differenti negli anni siccitosi. La roverella ha manifestato un ingiallimento precoce delle foglie (già dalla fine di luglio) e la loro abscissione a partire dalle parti interne della chioma, fino a una completa defogliazione (Fig. 3A, Fig. 3B). Questo comportamento ha interessato, fin dal 2017 e negli anni successivi, la quasi totalità delle popolazioni investigate, con particolare riferimento ai boschi delle colline del Chianti senese e del medio Valdarno, e alle colline attorno Firenze compreso Monte Morello. Defogliazioni intense sono state osservate nel 2017 e, in misura minore, nel periodo 2021-2022. Le piante danneggiate hanno recuperato la chioma nell’anno successivo (Fig. 3C), o anche a seguito dei temporali di fine estate.

Il cerro ha mostrato una limitata defogliazione nel corso degli anni di stress idrico e termico; tuttavia, nell’estate del 2022 sono stati osservati frequenti ed improvvisi casi di disseccamento della chioma e morte di singole piante sparse, preceduta dall’ingiallimento delle foglie (Fig. 3D, Fig. 3F). Questo fenomeno è stato rilevato in tutti i numerosi boschi di cerro della Regione osservati, anche in quelli situati nell’optimum ecologico di questa specie (Colline Metallifere, Val di Cecina, Monte Morello). In varie stazioni meno favorevoli, quali crinali esposti, versanti meridionali, o in stazioni di bassa quota di area mediterranea, la sofferenza del cerro si è manifestata a partire dal 2017 ed è proseguita negli anni successivi con il disseccamento e la morte di gruppi di individui anche di grosse dimensioni. Ne conseguono alterazioni nella struttura e delle condizioni ecologiche del bosco. I disseccamenti hanno colpito piante adulte di alto fusto, così come i polloni nei boschi cedui invecchiati. In quest’ultimo caso, la mortalità può essere il risultato di una selezione naturale dovuta alla competizione tra i polloni di una stessa ceppaia; è stato dimostrato, tuttavia, che l’effetto combinato di competizione e siccità induce un maggiore rischio di mortalità ([63]). Ne consegue un diradamento del ceduo, con cambiamenti nella densità e struttura del soprassuolo.

Il castagno (Castanea sativa Mill.) è soggetto a numerose e ben note patologie, per cui la valutazione degli effetti della siccità ne è influenzata. I vasti deperimenti osservati alle quote inferiori (200-300 m s.l.m), laddove il castagneto è a contatto con la vegetazione xero-termica e mediterranea, sono il risultato di una combinazione di cause biotiche e climatiche.

Le specie arboree minori accompagnatrici nei querceti misti decidui xero-termofili a prevalenza di roverella, e mesofili a prevalenza di cerro (acero campestre, Acer campestre L.; acero trilobo, Acer monspessulanum L.; orniello, Fraxinus ornus L.; carpino nero, Ostrya carpinifolia Scop.; sorbo domestico, Sorbus domestica L.; ciavardello, Sorbus torminalis Crantz. ecc.), hanno mostrato in varia misura una spiccata sensibilità all’impatto delle ondate di calore e siccità. L’impatto si è manifestato con l’insorgenza precoce, già all’inizio dell’estate, di foglie appassite ed estesi ingiallimenti e disseccamenti nella chioma, a partire dalla parte alta. Una particolare attenzione è stata posta alle specie della famiglia delle Rosaceae, che producono frutti carnosi eduli importanti per la fauna selvatica, e che sono state oggetto di deperimento a vario livello, fino alla mortalità: i sorbi (già rammentati sopra), i ciliegi (Prunus avium L.), i meli e i peri selvatici (Malus sylvestris Mill. e Pyrus pyraster [L.] Burgsd.) e vari arbusti, come il prugnolo (Prunus spinosa L.), i biancospini (Crataegus sp.pl.) e i rovi (Rubus sp.pl.). Anche specie di altre famiglie come il corbezzolo (Ericaceae), il corniolo (Cornus mas L.) e la sanguinella (Cornus sanguinea L. - Cornaceae) hanno manifestato appassimenti e disseccamenti nella chioma. In individui di queste specie colpiti dalla siccità, i frutti non sono stati portati a maturazione.

Gli impatti sui boschi di latifoglie del piano montano (faggete)

Nei boschi di faggio (Fagus sylvatica L.) che abbiamo preso in esame (Vallombrosa e Pratomagno, Garfagnana e Alto Mugello, Montagna Pistoiese), gli individui arborei hanno mostrato i primi sintomi di deperimento con una defogliazione precoce ed estesi ingiallimenti già all’inizio di agosto 2017 e, in misura minore, nel 2022 (Fig. 4A, Fig. 4B). Nel 2021, sono stati invece osservati ingiallimenti molto diffusi. Ad essere colpite sono stati soprattutto i soprassuoli di crinale, in siti acclivi e su terreni superficiali. La defogliazione è stata più intensa nelle piante isolate ed ha avuto uno sviluppo dalla parte alta della chioma verso il basso. Nella maggior parte dei casi, la chioma è stata ricostituita nell’anno successivo ed è stata osservata l’emissione di nuove foglie alla fine dell’estate a seguito di temporali estivi. In situazioni edafico-ecologiche particolarmente difficili, e in piante che hanno subito ripetuti stress climatici, sono stati riscontrati casi di morte della pianta intera o di singoli rami dovuti ad attacchi di Biscogniauxia nummularia (Bull.) Kuntze (Fig. 4C, Fig. 4D), molto diffusi in Garfagnana, nell’Alto Mugello e nella Montagna Pistoiese.

Fig. 4 - Aspetti del deperimento del faggio in annate siccitose. (A) faggio con chioma defogliata (Vallombosa, 2022); (B) foglie cadute nel corso della stagione vegetativa (Vallombosa, 2022); (C) Mugello, 2022: pianta defogliata per siccità, sulla quale sono presenti branche disseccate per attacchi di Biscogniauxia nummularia (D).

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Rimboschimenti di conifere

Anche le conifere, presenti in regione soprattutto come rimboschimenti, hanno mostrato una diversa suscettibilità agli eventi siccitosi. Una diffusa mortalità è stata osservata nei cedri (Cedrus sp.pl.), compresi quelli posti in zone urbane; nella douglasia (Pseudotsuga menziesii [Mirb.] Franco) e nell’abete bianco (Abies alba Mill.) presenti al di fuori dei loro optima ecologici. Nei pini, l’interazione tra siccità e vari insetti e funghi patogeni risulta cruciale nel determinare casi di sofferenza e morte ([27]). Sono stati osservati casi di attacco di Sphaeropsis sapinea a (Fr.) Dyko & Sutton (Syn.: Diplodia pinea [Desm.] Kickx) nei rimboschimenti di pino nero (Pinus nigra Arn.) a Monte Morello (Firenze) e di Matsococcus feyitaudi Ducasse su pino marittimo (Pinus pinaster Ait.). Un ulteriore fattore di preoccupazione è dato dal possibile incremento di attacchi futuri di processionaria (Thaumetopoea pityocampa Den. et Schiff) dovuti alle miti temperature invernali ([4]) registrate negli ultimi anni. Nel caso dei rimboschimenti, gli impatti sono probabilmente amplificati dalla minore compatibilità ecologica, con l’ambiente, di specie non autoctone rispetto a quelle spontanee.

Popolamenti eterotopici e relitti

La siccità e il caldo estivo hanno avuto effetti anche sulle popolazioni relitte di specie mesofile e meso-igrofile presenti all’interno di ambienti di tipo mediterraneo o sub-mediterraneo (Fig. 5). Nel bosco di Tatti, all’interno della Riserva Naturale di Berignone-Tatti (Pisa), sono stati osservati nel 2022 numerosi casi di mortalità nei popolamenti di rovere, accompagnati da un analogo deperimento del carpino bianco (Carpinus betulus L.), del frassino meridionale (Fraxinus angustifolia Vahl) e, in maniera pronunciata, dell’agrifoglio (Ilex aquifolium L.). La stessa situazione di aumento di casi di mortalità di alberi a seguito delle annate siccitose è stata osservata in popolamenti eterotopici di faggio a Castelvecchio (S. Gimignano) in Val di Farma (Siena), accompagnata da estesi attacchi di Biscogniauxia nummularia.

Fig. 5 - Casi di disseccamento delle chiome su rovere (A) e faggio (B) in popolamenti eterotopici in area Mediterranea (Berignone-Tatti e Montaione, 2022).

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Discussione 

I possibili meccanismi

Fin dal 2017 le formazioni forestali sempreverdi mediterranee hanno mostrato un’alta sensibilità nei confronti delle ondate di calore e siccità. Gli estesi disseccamenti osservati nelle leccete nel Sud della Toscana nel corso e subito dopo l’evento siccitoso del 2017 sono probabilmente da imputarsi al collasso del sistema di trasporto idrico degli alberi (hydraulic failure); la diffusione dei parassiti di debolezza (come Biscogniauxia mediterranea) è avvenuta in un momento successivo. Secondo Wang et al. ([62]), nelle piante soggette a disseccamento per stress idrico, l’emissione di nuovi getti avviene a spese delle riserve di carboidrati non strutturali (NSC, amido e zuccheri solubili) presenti nell’alburno. Perdurando le condizioni di stress o, con l’occorrenza di nuovi eventi di disturbo, nel giro di pochi anni la pianta è soggetta a morte per carbon starvation (la cosiddetta “fame di carbonio”), dovuta alla riduzione o all’esaurimento delle riserve di NSC.

Nelle foreste di latifoglie decidue, la perdita di foglie costituisce una strategia per ridurre la superficie traspirante ([9]) e, nella maggior parte dei casi, non determina la morte delle piante che riprendono a vegetare in maniera apparentemente normale nell’anno successivo, sia pure con comportamenti specie-specifici. Le due specie quercine, cerro e roverella, hanno mostrato differente comportamento nei confronti della siccità. La roverella ha evidenziato una notevole resilienza, essendo in grado di rispondere prontamente al cambiamento delle condizioni ambientali con la graduale perdita delle foglie nei periodi più siccitosi e il successivo recupero della chioma. Diversamente, nel cerro deperimento e la mortalità avvengono in maniera improvvisa per singoli individui o per gruppi, con le foglie secche che rimangono attaccate alla chioma. Le cause che determinano le differenti risposte osservate sulle due specie quercine sono sconosciute. Da una parte, tali differenze possono essere attribuite alle loro specifiche risposte ecofisiologiche nei confronti della siccità, in quanto la roverella ha una risposta più conservativa rispetto al cerro ([59]). Tuttavia, i disseccamenti improvvisi suggeriscono l’insorgenza di problemi a livello radicale, come una interazione fra carenza idrica e attacchi parassitari di Phytophthora ([61], [22]). Il diverso comportamento del cerro rispetto alla roverella emerge anche dai dati nazionali delle indagini sulla salute delle foreste ([15]), da cui emerge come il cerro abbia un minore livello di defogliazione, ma una maggiore mortalità rispetto alla roverella.

Il ripetersi in tempi ravvicinati di cicli di defogliazione e successivo recupero può portare ad una riduzione del pool delle riserve (carboidrati non strutturali), con un indebolimento generale della pianta. Gravi conseguenze fisiologiche possono avvenire nel lungo periodo, come la riduzione delle capacità di reagire a successivi stress e a parassiti di debolezza. In queste condizioni gli attacchi osservati di agenti parassitari dei generi Biscogniauxia e Phytophthora costituiscono la causa ultima di morte per molte delle piante indebolite dalle avversità climatiche. Nel corso delle osservazioni svolte in bosco (2017-2022) non sono stati registrati intensi attacchi di defogliatori sulle querce (Lymantria dispar L., Tortrix viridiana L., ecc.), la cui prevedibile insorgenza potrà costituire un’ulteriore causa di indebolimento e morte degli alberi nelle foreste toscane ([17], [2], [25]).

È prevedibile che, con il ripetersi di eventi estremi di calore e siccità, gli impatti e la mortalità forestale possano essere particolarmente severi nelle stazioni con maggiori limitazioni ecologiche, tra cui terreni superficiali, substrati calcarei o ofiolitici, forti pendenze, esposizioni a sud ([50]). L’attuale distribuzione delle varie specie, pertanto, è soggetta ad una modifica, andandosi a restringere alle aree dove le condizioni sono ottimali per la loro sopravvivenza e crescita. Il progressivo declino di queste specie nelle zone non ottimali sarà allo stesso tempo causa ed effetto di cambiamenti significativi della vegetazione forestale in diverse aree, sia in termini di struttura che di biodiversità ([5]). I cambiamenti più importanti stanno accadendo nelle leccete nelle condizioni più calde e aride, con la trasformazione delle formazioni ad alto fusto o dei cedui invecchiati in arbusteti a prevalenza di specie più termofile della macchia mediterranea (soprattutto lentisco). Inoltre, formazioni a gariga sembrano avviate a trasformarsi in steppe o addirittura a subire processi di desertificazione. I boschi cedui in evoluzione mostrano un intenso diradamento naturale determinato dalla necessità di equilibrare la perdita di acqua per traspirazione con la ridotta disponibilità idrica nel suolo ([9]).

Anche nelle aree con condizioni ecologico-climatiche favorevoli, il ripetersi di eventi di stress climatico ad una maggiore frequenza ([34]) può portare all’ indebolimento di singole piante, causandone la morte in base anche alla loro storia individuale ([48], [21]), che include le caratteristiche genetiche individuali, stress abiotici e biotici pregressi. La possibile perdita dei genotipi più sensibili può portare alla semplificazione della struttura genetica delle popolazioni e alla riduzione della biodiversità intraspecifica. La composizione dei boschi, con particolare riferimento a quelli di specie decidue xero-termofile, subisce una sostanziale semplificazione a causa della perdita di biodiversità ([8]). Anche molte delle specie minori tipiche di queste formazioni hanno subito un forte impatto in questi anni, nonostante siano state considerate da Hemery et al. ([37]) e da Kunz et al. ([42], [41]) come resistenti nei boschi decidui dell’Europa centrale, e quindi una valida alternativa selvicolturale per quelle regioni.

Un caso particolare è rappresentato dal castagno (Castanea sativa Mill.), che all’impatto del cambiamento climatico unisce quello dei numerosi parassiti che lo affliggono. Questa specie difficilmente potrà essere coltivata nelle condizioni più xeriche, mentre potrà essere conservata nei siti migliori, dove è prevista una regolare gestione selvicolturale ([23]). Inoltre, la difficoltà di portare a maturazione i frutti e i semi in molte specie forestali, soprattutto nelle Rosaceae, avrà un impatto negativo non solo sull’alimentazione della fauna selvatica, ma anche sulla rinnovazione e la biodiversità forestale compromettendo i servizi ecosistemici del bosco stesso.

In Toscana, la siccità e le ondate di calore hanno avuto un significante impatto anche sulle specie mesofile dei consorzi xero-termofili, che vivono in specifiche nicchie ecologiche, inclusi i popolamenti eterotopici. Trovandosi già al limite della distribuzione della specie, questi popolamenti risentono fortemente delle aumentate condizioni di siccità poiché la loro sopravvivenza richiede una prolungata stabilità climatica ed ecologica ([45], [28], [35], [46]). Segnaliamo che nei popolamenti di Tatti, nella Riserva Naturale di Berignone-Tatti (Pisa) e delle Colline Metallifere, il declino della rovere, documentato con analisi dendrocronologiche, risale agli ultimi anni del secolo scorso a seguito di un brusco innalzamento delle temperature ([38]).

Infine, non possiamo trascurare il fatto che quest’anno (2022) ci saremmo aspettati di trovare, in alcuni casi, danni anche maggiori di quelli osservati, a causa della prolungata siccità. Ciò suggerisce la possibilità che possano essere avvenuti degli adattamenti epigenetici ([56]) e fenotipici a livello di singoli alberi che, anche se non saranno in grado di contrastare completamente il loro declino, potranno modificare le risposte individuali e a livello di specie in maniera ancora difficilmente prevedibile. È nostra opinione che in futuro, assieme all’effetto diretto della siccità, avranno crescente importanza le interazioni biotiche con parassiti opportunisti favoriti dall’indebolimento fisiologico degli alberi e dalle temperature più alte.

Prospettive future

Da quanto descritto, si possono individuare alcune priorità di ricerca, in particolare: (i) lo studio delle risposte ecofisiologiche delle varie specie arboree alle alte radiazioni luminose, calore e siccità, in grado di spiegare i differenti comportamenti osservati in campo (per esempio, fra cerro e roverella), incluso lo studio dei meccanismi di recupero della funzionalità fisiologica degli alberi, per poter prevedere l’evoluzione futura degli ecosistemi forestali; (ii) lo studio delle relazioni fra stress climatici e parassiti opportunisti, e le conseguenze sulla fisiologia degli alberi; (iii) studi specifici sulle dinamiche vegetazionali e delle variazioni dei parametri microclimatici all’interno dei boschi e le conseguenze sulla perdita di biodiversità e sulla gestione.

Inoltre, evidenziamo la necessità di attivare un sistema di monitoraggio forestale che permetta di valutare e quantificare la diffusione degli impatti nello spazio, i fattori ambientali che determinano la fragilità o la resistenza degli ecosistemi forestali e l’evoluzione delle comunità vegetali nel tempo. Questo monitoraggio potrà avvalersi, a livello regionale, delle reti già presenti in Toscana (per es., le 30 aree di Livello I e le 3 aree di Livello II appartenenti al programma nazionale CON.ECO.FOR. (ICP Forests - [51], [49]). Inoltre, potrà recuperare l’esperienza condotta nel corso di programmi di monitoraggio forestale in atto o pregressi (per es., MON.I.TO. - [3]; META - [33]), e collegarsi alle varie reti tematiche ed iniziative nazionali e internazionali (per es., FunDivEUROPE - [13]). Infine, particolare attenzione dovrebbe essere posta al sistema di foreste di proprietà pubblica, parchi e aree protette. Si auspica lo studio e l’applicazione di indici di stress e di rischio di tipo ecofisiologico e fitopatologico secondo un criterio di fitness - resilience ([10], [11], [12]), in grado di individuare le fragilità dei sistemi forestali, comprese quelle di tipo fitopatologico ([44]) e quindi i potenziali rischi. Lo studio sull’applicabilità e il potenziale informativo di tali indici è condotto da un gruppo di lavoro europeo creato all’interno del programma di monitoraggio ICP Forests (⇒ http:/­/­icp-forests.net/­). Gli impatti di eventi climatici sono tuttavia spesso puntiformi e gli effetti visibili sulla vegetazione cambiano rapidamente nel corso della stagione vegetativa. Per queste ragioni, tali impatti vengono solo parzialmente catturati dalle attuali reti di monitoraggio con bassa intensità di campionamento o di tipo sistematico. Vi è quindi la necessità di integrare tali reti con un sistema di aree ad hoc, in specifiche formazioni forestali potenzialmente a rischio. Auspicabile è anche la collaborazione dei cittadini, che in tal modo diventano parte attiva nel rapporto con la ricerca ed il monitoraggio (citizen science - [18]), nell’osservazione e segnalazione di casi di deperimento del bosco.

La realtà degli impatti del cambiamento climatico sulle foreste richiede una revisione e aggiornamento dei criteri di gestione ([31], [7]). Problemi specifici riguardano la gestione dei boschi cedui e dei popolamenti relitti. Nei cedui, la ridotta o assente copertura del suolo aumenta i rischi di erosione quando arrivano precipitazioni intense dopo situazioni di prolungata siccità, come sempre più spesso accade. Inoltre, cambiamenti rilevanti nei parametri meteo-climatici (aumento della temperatura dell’aria, di luce e ventosità al suolo) porta a significativi effetti sulla biodiversità del suolo e sulla componente erbacea ([39]). La conservazione del microclima forestale, caratterizzato da minori escursioni termiche e maggiore umidità rispetto all’esterno, è necessaria per contrastare gli effetti dei cambiamenti macroclimatici, e quindi per mantenere le condizioni ottimali per molte specie nemorali e per la rinnovazione di numerose piante legnose ([26]). È stato dimostrato che tale contrasto cresce con la complessità della struttura e della densità del bosco soprattutto nelle aree mediterranee a clima caldo ([47]). In base alle nostre osservazioni, le matricine di varie specie mostrano nella gran parte dei casi condizioni di accentuato deperimento a causa del calore e del forte irraggiamento solare laterale cui sono improvvisamente esposte a seguito del taglio. Ciò compromette spesso anche la loro capacità di produzione di frutti, riducendo quindi il potenziale rigenerativo del bosco. I popolamenti relitti devono la loro sopravvivenza alla stabilità dei parametri ecologici, in particolare del microclima, nelle specifiche nicchie in cui sopravvivono. In una situazione di rapidi cambiamenti meteo-climatici è necessario preservare la copertura al suolo a protezione della rinnovazione ed evitare di esporre tali popolamenti a cambiamenti repentini.

Conclusioni 

In questo lavoro sono state riportate osservazioni empiriche che non hanno la pretesa di costituire un quadro esatto e definitivo degli impatti del cambiamento climatico sui boschi della Toscana. Tuttavia, la costanza e la regolarità con la quale gli andamenti descritti si sono ripetuti nel tempo e l’ampia copertura spaziale nella regione ci consentono di individuare delle possibili tendenze e di formulare delle ipotesi su cui impostare delle linee di lavoro.

La realtà degli impatti dei cambiamenti climatici in atto ricalcano e confermano in buona parte quelli già descritti come possibili da Borghetti et al. ([8]), e aggiungono ulteriori evidenze sulle interazioni biotiche e sui processi ecologici e fisiologici specie-specifici che determinano le risposte degli alberi e le loro conseguenze negli ecosistemi. Gli impatti maggiori sono avvenuti alle basse quote, oppure sui crinali e sulle creste collinari e montane, laddove i terreni sono sottili e soggetti alla carenza di acqua, su substrati calcarei o serpentinosi e, nelle zone costiere, nei versanti esposti a mare o a sud. La morte di alberi isolati o in gruppi è spesso determinata o associata alla presenza di parassiti opportunisti. Si tratta di situazioni per ora delimitate geograficamente, ma che possono estendersi con il possibile ripetersi di ondate di siccità e calore a pochi anni di distanza le une dalle altre. Laddove le specie si trovano nel loro optimum climatico e su terreni fertili e profondi, gli effetti degli eventi climatici vengono mitigati, ma possono avvenire casi di morte individuale. Impatti importanti sono in atto sulle specie forestali minori e accompagnatrici, così come nei popolamenti relitti di specie meso-igrofile in ambiente mediterraneo, con gravi conseguenze sulla biodiversità.

Gli impatti sulle foreste non riguardano solo la regione Toscana. Abbiamo potuto osservare analoghi impatti sulle foreste di altre regioni dell’Italia centrale e meridionale (vedi anche [7] per la Basilicata), e nelle zone planiziarie e prealpine dell’Italia settentrionale. Estesi ingiallimenti e defogliazioni precoci sono stati osservati anche nei boschi temperato-freschi del Tilio-Acerion in Friuli. In ambiente mediterraneo, estese defogliazioni su leccio connesse alla siccità degli ultimi anni sono state riferite da Cipolla & Montaldo ([20]) per la Sardegna meridionale. Anche la drammatica situazione degli attacchi di bostrico (Ips typografus L.) su abete rosso nelle regioni alpine è favorita dalle ricorrenti ondate di calore e siccità ([40]).

Le osservazioni a livello regionale qui riportate, insieme ai dati nazionali ed europei che documentano le tendenze all’aumento di defogliazione e mortalità forestale ([14], [15], [53], [32]), così come la riduzione della resilienza ([30]) supportano l’esigenza di un rinnovato sforzo per il monitoraggio della salute delle foreste ([29]).

Ringraziamenti 

La ricerca è stata svolta nell’ambito del progetto “LIFE MODERn(NEC) - new MOnitoring system to Detect the Effects of Reduced pollutants emissions resulting from NEC Directive adoption” - LIFE20 GIE/IT/000091.

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