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Monitoring Italian forest ecosystems to understand the impacts of atmospheric pollution and the opportunities for mitigation

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 16, Pages 32-36 (2019)
doi: https://doi.org/10.3832/efor3154-016
Published: May 27, 2019 - Copyright © 2019 SISEF

Commentaries & Perspectives

Abstract

Atmospheric pollution produced by anthropogenic activities has detrimental effects on humans but also on plants. When forests are affected by exposure to pollutants such as nitrogen oxides, particles (with size ≤ 10 µm), and ozone, they in turn act as sentinels towards pollutant emission and at the same time provide ecosystem services when they scavenge pollutants form the atmosphere. In order to move towards levels of air quality not giving rise to significant negative impacts and risks to human health and the environment, the revision of the National Emission Ceilings Directive (2016/2284/EU) sets limits on the amount of pollutants that can be emitted by each Member States per year. By recognizing the negative impacts of pollution on forest ecosystems, the Directive also invites member states to monitor the impacts of pollution on forest ecosystems encouraging the continuation of long-term monitoring networks such as the ICP-Forests network. We discuss here opportunities for Italy to attain the directive thanks to a revitalized activity based on existing monitoring networks and the synergies with other newly established monitoring programs.

Keywords

Atmospheric Pollution, Forest Ecosystems, National Emission Ceilings Directive, Forest Monitoring, Ozone

Il problema dell’inquinamento atmosferico 

Oltre che per la salute umana, l’inquinamento atmosferico ha impatti negativi significativi anche sugli ecosistemi naturali e antropogenici ([6]). Nonostante gli sforzi messi in atto per ridurre le emissioni di inquinanti atmosferici (ad esempio il Protocollo di Göteborg), un’ampia percentuale di popolazione ed ecosistemi forestali sul territorio europeo è ancora esposta a concentrazioni di inquinanti superiori ai livelli raccomandati dall’Unione europea ([7]) e dall’Organizzazione mondiale della sanità ([23]).

La Convenzione di Ginevra sull’inquinamento atmosferico transfrontaliero a grande distanza (CLRTAP), firmata nel 1979 che ha dato vita in seguito a otto protocolli, si concentra sulla protezione degli esseri umani e degli ecosistemi dagli impatti negativi dell’inquinamento atmosferico mediante la riduzione di un’ampia gamma di inquinanti atmosferici come gli ossidi di zolfo (SOx), ossidi di azoto (NOx), composti organici volatili non metanici (NMVOC), metalli pesanti (HM), inquinanti organici persistenti (POP), ozono (O3), particolato (PM10, PM2.5) e particolato carbonioso (BC). Nonostante alcuni progressi, la qualità dell’aria nella regione UNECE (United Nations Economic Commission for Europe), tuttavia, è ancora motivo di preoccupazione ([23]). Il rapporto sulla qualità dell’aria redatto dall’Agenzia europea per l’Ambiente ([6]) segnala una diminuzione tendenziale delle concentrazioni di NO2 in tutta Europa, soprattutto nelle stazioni di traffico, nel periodo 2000-2014; se questa tendenza continuasse fino al 2020, il 7% delle stazioni avrebbe ancora concentrazioni superiori al valore limite annuale ([6]). Se l’emissione (e conseguente deposizione) della forma ossidata dell’azoto (NOy) è in diminuzione grazie a una riduzione delle fonti di combustione antropogenica, la forma ridotta dell’azoto (NHx) e più tossica per gli esseri umani e le piante non sta diminuendo a causa delle ancora sostenute sorgenti emissive principalmente attribuite all’agricoltura intensiva e la zootecnia, con un rapporto NOy:NHx che tende a diminuire con conseguenze negative per il funzionamento degli ecosistemi ([22]).

Per quanto riguarda l’ozono, nel 2015 più stazioni rispetto ai precedenti 5 anni hanno riportato concentrazioni superiori al valore obiettivo dell’UE per la protezione della salute umana. In siti forestali, sebbene si sia riscontrata una diminuzione dei valori massimi, è stato rilevato un aumento delle concentrazioni medie ([21]). L’ozono è un gas serra dannoso, non solo per la salute umana, ma anche per le foreste. Se da un lato l’ozono è una molecola normalmente presente nella troposfera, le sue concentrazioni cosiddette di background nell’emisfero boreale sono raddoppiate rispetto all’epoca preindustriale, con effetti negativi sulla salute umana e sulle foreste. L’ozono porta a una riduzione degli scambi gassosi tra foglie ed atmosfera, ma in alcuni casi provoca anche un’incapacità di regolare la chiusura stomatica con effetti negativi sul controllo delle perdite d’acqua. Oltre a ridurre i tassi di assimilazione della CO2, l’ozono produce lesioni visibili sulle foglie e le espone all’attacco di parassiti. Questi effetti spesso accelerano processi di senescenza, diminuiscono l’area fogliare e la biomassa e riducono complessivamente la produttività primaria delle nostre foreste.

Le concentrazioni di PM continuano a superare i valori limite giornalieri e annuali dell’UE in vaste zone dell’Europa. La media annuale di PM2.5 (10 μg m-3) adottata dall’OMS è stata superata nel 75% delle stazioni, situate in 27 dei 32 paesi che riportano dati su PM2.5 ([7]). Poco si sa dell’effetto del particolato sulle piante, sebbene una elevata deposizione misurata direttamente con tecniche micrometeorologiche ([9]) o rilevata attraverso campionamenti fogliari ([2]) sia stata associata a una diminuzione del tasso di fotosintesi, basti pensare alle foglie di piante urbane le cui incrostazioni di particelle sono visibili ad occhio nudo.

Opportunità di fitorimedio offerte dagli ecosistemi forestali 

Le nostre foreste, se da una parte vengono danneggiate dall’inquinamento e rappresentano sentinelle che ci avvertono di una situazione critica per quanto riguarda l’esposizione agli inquinanti atmosferici, dall’altra riescono a sequestrare dall’atmosfera e dal suolo grandi quantità di inquinanti, a beneficio della collettività ([13]). Questa capacità di fornire servizi ecosistemici viene riconosciuta anche dal Comitato Nazionale per lo sviluppo del Verde Urbano istituito dal Ministero dell’Ambiente, che attraverso un documento strategico identifica il verde urbano come “Foreste urbane resilienti ed eterogenee per la salute e il benessere dei cittadini”. Basti pensare che un albero adulto in ambiente mediterraneo può rimuovere in un anno fino a 0.1 t di CO2, fino a 500 g di ozono e fino a 100 g di PM2.5 (stime conservative indicano che circa 5 alberi riescono a rimuovere le polveri emesse da una macchina in un anno). Si tratta di valori misurati in pieno campo in ambiente periurbano non sottoposto a particolari condizioni di stress ([9]). Va ricordato tuttavia che le condizioni di stress tipiche di ambienti urbani quali mancanza di suolo, aridità, elevate temperature, esposizione ad inquinanti tossici per la pianta possono compromettere la capacità di sink di CO2, ridurre la biomassa fogliare e quindi anche la quantità di inquinanti che si depositano sulle chiome degli alberi. È per questo utile, ai fini della scelta delle specie arboree da impiegare in ambiente urbano, oltre ai valori di rimozione di inquinanti che una determinata specie arborea è potenzialmente in grado di esprimere, utilizzare quelle specie che garantiscono una maggiore resistenza a condizioni di stress esacerbate dai disturbi ambientali tipici delle città.

L’UE riconosce gli ecosistemi forestali come sentinelle dell’inquinamento atmosferico 

Al fine di raggiungere livelli di qualità dell’aria che non diano luogo a impatti e rischi negativi significativi per la salute umana e l’ambiente, la revisione della direttiva sui limiti nazionali di emissione (2016/2284/UE - NECD) fissa limiti alla quantità di sostanze inquinanti che può essere emessa da ciascuno Stato membro per anno, in sostituzione della precedente normativa (2001/81/CE). La NECD è il principale strumento legale per ridurre le emissioni complessive di inquinanti atmosferici in tutta l’UE ed è fondamentale data la natura transfrontaliera dell’inquinamento atmosferico. NECD fissa gli impegni di riduzione delle emissioni per il 2020 e il 2030 per cinque principali inquinanti atmosferici: anidride solforosa (SO2), ossidi di azoto (NOx), composti organici volatili non metanici (NMVOC), ammoniaca (NH3) e particolato inferiore a 2.5 μm di diametro. L’ozono troposferico è probabilmente uno degli inquinanti atmosferici più dannosi per le foreste e le colture, seppure non è specificamente incluso in NECD, perché è un inquinante secondario che si forma a partire da precursori quali VOC e NOx. Come risultato atteso della NECD, l’impatto sulla salute dell’inquinamento atmosferico nell’UE dovrebbe dimezzarsi entro il 2030, rispetto ai livelli del 2005. Gli impatti negativi sull’economia dovuti all’immissione di inquinanti in atmosfera sono evidenti, basti pensare alle perdite di produzione agricola ([1]), e alla riduzione dei servizi ecosistemici forniti dagli ecosistemi acquatici ([3]) e terrestri ([14]). Per questo la NECD rappresenta un’opportunità per tutti i cittadini dell’UE, che beneficeranno di una migliore qualità dell’aria, ma anche per le autorità pubbliche, perché farà risparmiare miliardi di euro attraverso i ridotti costi sanitari nel raggiungere gli standard previsti per l’inquinamento atmosferico.

Come sottolineano De Marco e colleghi ([5]), l’innovazione principale della NECD sul tema forestale è l’articolo 9 “Monitoraggio degli impatti sull’inquinamento atmosferico” che mette in relazione lo stato di salute degli ecosistemi forestali con gli impegni di riduzione dell’immissione di inquinanti in atmosfera. In ottemperanza a questa direttiva, gli Stati membri assicurano il monitoraggio degli impatti negativi dell’inquinamento atmosferico sugli ecosistemi acquatici e forestali sulla base di una rete di siti di monitoraggio rappresentativa dei principali habitat. L’allegato V della NECD riporta una serie di indicatori per monitorare gli impatti dell’inquinamento atmosferico che dovrebbero essere utilizzati sulla base delle metodologie proposte in ambito CLRTAP e relativi manuali sviluppati grazie ai programmi di cooperazione internazionale (ad esempio, ICP-Forests).

L’Italia fa la sua parte nel comprendere gli effetti dell’inquinamento sugli ecosistemi forestali 

Il Ministero dell’Ambiente, del Territorio e del Mare, Direzione generale per i rifiuti e l’inquinamento è responsabile dell’esecuzione della NECD e della creazione di una rete nazionale per monitorare gli impatti dell’inquinamento in collaborazione con istituti di ricerca e amministrazioni locali. In questo contesto, proseguono le attività di monitoraggio presso i circa 29 siti aderenti alla Rete Nazionale per il Controllo degli Ecosistemi Forestali (ConEcoFor), istituita nel 1995 dal Corpo Forestale dello Stato (oggi Comando Unità Forestali, Ambientali e Agroalimentari) con l’obiettivo di studiare le interazioni tra le componenti strutturali e funzionali degli ecosistemi forestali e i fattori di pressione e cambiamento su larga scala (inquinamento atmosferico, cambiamenti climatici, variazione dei livelli di biodiversità). In una recente collezione che riporta i principali risultati della rete ConEcoFor ([19]) si evince che l’Italia è un caso di studio interessante anche per l’applicazione dell’articolo 9 in quanto ospita un elevato livello di biodiversità funzionale. L’elevata varietà di condizioni ambientali e climatiche ([4]) rendono particolarmente difficile la selezione di un ristretto numero di siti di monitoraggio che siano al contempo rappresentativi dell’intero territorio; per questo è auspicabile che la rete di monitoraggio venga estesa ad un numero sempre maggiore di siti forestali. A rendere più complessa l’identificazione dei danni da inquinanti sulle nostre foreste, contribuiscono una serie di condizioni di stress che simultaneamente colpiscono gli ecosistemi mediterranei, per cui l’identificazione degli indicatori di monitoraggio è un aspetto particolarmente critico. Negli ultimi 20 anni, tuttavia, la comunità scientifica italiana ha compiuto un grande sforzo nello studio degli impatti dell’inquinamento su diversi ecosistemi, sia naturali che antropogenici ([16]).

Se monitorare lo stato di salute in ecosistemi target è un elemento fondamentale per comprendere le risposte degli ecosistemi forestali al clima che cambia nel lungo periodo, misurare la capacità di rimozione di inquinanti è oggi un impegno molto oneroso e una sfida che coinvolge numerosi ricercatori sul territorio nazionale. Abbiamo in Italia due siti urbani rappresentativi dei parchi urbani del centro-sud Italia, a Napoli (Bosco di Capodimonte) e Roma (Tenuta Presidenziale di Castelporziano - Fig. 1) dove vengono monitorati in continuo per tutto l’anno i flussi di CO2, polveri e ozono con tecniche micrometeorologiche ([9], [8]). Alcuni enti di ricerca ospitano inoltre siti di manipolazione in cui specie forestali vengono esposti a concentrazioni fitotossiche di inquinanti per studiarne la risposta al variare dei parametri climatici. Tra questi si annoverano i sistemi FACE (Free Air Controlled Exposure), ovvero impianti sperimentali all’aria aperta in cui vengono immesse dosi crescenti di inquinanti per studiare la risposta delle piante, come l’ozone FACE di Firenze ([17]), e la somministrazione di fertilizzanti azotati nelle faggete di Collelongo (Abruzzo) e Cansiglio (Veneto - [20]). Per studi meccanicistici sono disponibili anche camere chiuse o open-top ed esperimenti in condizioni artificiali ([12], [11], [15]).

Fig. 1 - Danni visibili da ozono su foglie di pioppo (a) e leccio (b); misure degli scambi gassosi su materiale fogliare esposto a dosi crescenti di ozono (c); esperimenti FACE presso il sito sperimentale di Sesto Fiorentino, Firenze (d); stazione appartenente alla rete MOTTLES che rileva parametri meteoclimatici e concentrazioni di ozono (e); vista dal basso della torre sperimentale per la misura dei flussi di gas attraverso tecniche micrometeorologiche presso la lecceta di Castelporziano (f); faggeta di Collelongo con torre sperimentale che sovrasta le chiome degli alberi (g); torre sperimentale equipaggiata con sensori in grado di misurare le deposizioni di inquinanti emessi/prodotti in ambiente urbano (h) sulle chiome degli alberi (i).

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La valutazione dei danni da ozono merita particolare attenzione vista la pericolosità di questo ossidante secondario. Le norme europee per proteggere la vegetazione dall’ozono si basano attualmente sull’esposizione delle piante alle concentrazioni di O3 nell’atmosfera. Vi è tuttavia consenso nella comunità scientifica internazionale circa la necessità di stabilire nuove soglie in base a quanto ozono penetra effettivamente all’interno delle foglie attraverso gli stomi. A conferma della necessità di adottare nuove metriche basate sui flussi, i dati disponibili ottenuti dalle stazioni di monitoraggio della qualità dell’aria indicano che i livelli di O3 superano regolarmente il livello considerato critico per le foreste, ma il rapporto tra esposizione all’ozono e indicatori di danno (lesioni fogliari, crescita radiale e defogliazione) sono spesso contraddittori ([18]). Il progetto LIFE MOTTLES (LIFE15 ENV/IT/000183) che coinvolge ricercatori di CNR, CREA ed ENEA, oltre a gruppi di ricerca internazionali, stabilisce una strategia di monitoraggio a lungo termine in tre paesi dell’UE (Italia, Romania e Francia) al fine di produrre nuovi livelli critici scientificamente fondati per la protezione delle foreste contro l’O3. MOTTLES ha implementato una rete di stazioni di monitoraggio in grado di riportare in tempo reale le concentrazioni di ozono insieme ai parametri meteorologici, modellando il flusso di ozono stomatico anche in risposta ai cambiamenti climatici, e sta proponendo una serie di metriche di valutazione del danno come nuovi criteri e standard legislativi utilizzabili per proteggere le foreste dagli effetti dell’ozono.

In un’ottica di osservazione di lungo termine dei flussi di gas serra e inquinanti con tecniche avanzate di micrometeorologia, nel 2018 la comunità scientifica italiana ha istituito ufficialmente una Joint Research Unit (JRU), cioè un accordo di collaborazione siglato da quindici istituti, centri di ricerca e università che si impegnano a sostenere e promuovere la partecipazione italiana in ICOS-RI (Integrated Carbon Observation System - Research Infrastructure), l’infrastruttura europea di ricerca distribuita che fornisce misure di alta qualità sul ciclo del carbonio, sulle emissioni di gas serra e sulla loro concentrazione atmosferica a scala europea. Si tratta di un segnale molto importante che vede i principali protagonisti della ricerca italiana sui cambiamenti climatici impegnarsi formalmente a condividere competenze, dati e sistemi necessari al loro processo e al loro utilizzo in attività scientifiche e divulgative. Il ruolo italiano all’interno di ICOS-RI è altamente qualificato e molto rilevante per numerose attività che riguardano anche il monitoraggio della CO2 e degli altri gas a effetto serra a livello europeo, ossia proprio il lavoro che è di fondamentale importanza per arrivare a fornire informazioni che hanno grande interesse per l’opinione pubblica e la comunità mondiale, come il superamento della soglia delle 400 ppm comunicata dalla WMO. Ad oggi, l’Italia partecipa con le stazioni di osservazione e rilevamento dati per gli ecosistemi con i siti di Castelporziano, Borgo Cioffi, Renon, Negrisia, Monte Bondone, Capodimonte, Arca di Noè, Bosco Fontana e Torgnon. I siti periurbani, particolarmente esposti ad inquinamento dell’aria, sono due: Castelporziano a Roma e Capodimonte a Napoli. Offrendo una serie di dati ad alta risoluzione temporale, ICOS offre una piattaforma di ricerca anche in grado di mettere in correlazione l’effetto dell’inquinamento sui principali parametri ecofisiologici della vegetazione, il che può contribuire fattivamente a comprendere l’effetto degli inquinanti gassosi in un contesto indisturbato oltre che a supportare la parametrizzazione di modelli ecofisiologici in grado di prevedere il potenziale danno sulla vegetazione ([10]).

Conclusioni 

Grazie ad un nuovo impulso legislativo, è stato rilanciato il monitoraggio di parametri strutturali della vegetazione forestale in risposta a cambiamenti climatici ed inquinamento in aree sulle quali è disponibile una serie storica di dati di oltre 20 anni. Con il prosieguo del programma CONECOFOR l’Italia risponde alle esigenze della rete Europea ICP-FORESTS attraverso una fattiva partecipazione di numerose università ed enti di ricerca italiani. La NECD rappresenterà anche un elemento di sinergia tra le ricerche svolte in ambito ConEcoFor e di alcuni programmi di ricerca più recenti, quali LIFE MOTTLES ed ICOS. Se da un lato risulta fondamentale costruire una serie storica di dati raccolti con metodologie tradizionali, dall’altro nuove tendenze della ricerca scientifica stimolano i ricercatori a mettere in campo nuove tecniche di misura per spiegare con maggiore dettaglio spazio-temporale gli effetti dell’esposizione di inquinanti sulle nostre foreste. Appare chiaro che la rete di monitoraggio sul nostro territorio, uno tra i più esposti ai cambiamenti climatici a livello europeo, vada ampliata al fine di estendere le osservazioni ad un maggior numero di ecosistemi forestali. Quest’opera di monitoraggio non può prescindere da un sostanziale impegno finanziario nel lungo periodo da parte dei ministeri che vigilano su università ed enti di ricerca.

Ringraziamenti 

Si ringraziano i Carabinieri Forestali del Comando Unità Forestali, Ambientali e Agroalimentari per il coordinamento e la collaborazione alle attività di monitoraggio.

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