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The balance of nature does not exist (and has never existed!)

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 15, Pages 56-58 (2018)
doi: https://doi.org/10.3832/efor2839-015
Published: May 08, 2018 - Copyright © 2018 SISEF

Commentaries & Perspectives

Abstract

For decades ecologists and natural resource managers have operated on the assumption that the normal condition of nature, if not disturbed by humans, is a state of equilibrium called homeostasis. This paradigm led to the doctrine, popular especially among conservationists, that nature knows best and that human intervention is bad by definition. In the last decades new evidences have led ecologists and natural resource managers to abandon such concept or consider it as irrelevant. The new paradigm is that ecosystems are constantly changing and the main engine of this change are natural disturbances (e.g., fire, wind, insect outbreaks, etc.). The biological diversity is dependent on natural disturbance, thus natural resource conservation and management must take into account the fundamental role of these events.

Keywords

Forest Dynamics, Natural Disturbances, Homeostasis, Forest Management

 

The balance of nature doesn’t exist and perhaps has never existed (Charles Elton, 1930).

Gli ultimi decenni del secolo scorso sono stati caratterizzati da una piccola “rivoluzione” nelle ricerche sulle successioni e sulle dinamiche forestali provocata dal pieno riconoscimento del ruolo svolto, in questi processi, dai disturbi naturali definiti come “eventi che modificano la struttura del popolamento e/o la disponibilità di risorse e l’ambiente fisico”.

Questa rivoluzione è stata supportata da numerose pubblicazioni scientifiche ed in particolare dal libro “The ecology of natural disturbance and patch dynamics” di S.T.A. Pickett e P.S. White ([3]) che hanno evidenziato come in tutti i processi di successione (o di dinamica forestale) si verificano numerosi disturbi di bassa magnitudo, che non provocano la sostituzione del popolamento ma che contribuiscono alla variabilità strutturale, e come tutti i processi di successione terminano (e iniziano) con un disturbo di magnitudo più elevata (“stand replacing disturbance”) che provoca la sostituzione quasi completa del popolamento precedente.

In questo nuovo paradigma il concetto Clementsiano di “omeostasi” è stato sostituito dal quello di “regime di disturbi naturali” (caratterizzato da uno o più tipi di disturbo prevalenti, tempi di ritorno, estensione, magnitudo di questi e “legacies”, cioè residui lasciati dopo ogni disturbo) ed il concetto di climax (stadio finale del processo di successione) è evoluto in old-growth forests o boschi vetusti che possono mantenersi (in un regime caratterizzato da più o meno frequenti disturbi di magnitudo non elevata) anche per periodi di tempo molto lunghi (fino a quanto un disturbo di magnitudo elevata non ne provoca la sostituzione con specie pioniere).

Questa svolta epocale è stata presentata al grande pubblico in un articolo comparso sul New York Time il 31 luglio 1990 a firma di W.K. Stevens dal titolo: “New eye on nature: the real constant is eternal turmoil” ([4]). In quest’articolo W.K Stevens affermava che molti ecologi avevano tradizionalmente operato partendo dall’assunzione che la condizione normale degli ambienti naturali fosse l’equilibrio (il paradigma dell’omeostasi di Clements). Al contrario, le ricerche degli ultimi anni avevano portato la maggior parte degli ecologi a considerare il concetto di equilibrio non corretto o irrilevante (anche se questa posizione fosse già presente da molti decenni nel mondo degli ecologi a partire da Gleason che era contemporaneo di Clements) e sostituire questo con il nuovo paradigma secondo il quale la condizione normale degli ambienti naturali è il continuo stato di disturbo e di fluttuazione tra stadi differenti. Nella sua conclusione W.K. Stevens affermava che “in conseguenza delle nuove conoscenze acquisite i libri di testo dovranno essere riscritti e le strategie di conservazione (e gestione delle risorse naturali) ripensate”.

Ma questo nuovo paradigma come può cambiare le strategie di gestione delle risorse naturali?

I disturbi (vento, fuoco, pullulazioni di insetti) sono una componente fondamentale dei processi naturali e non sono agenti di “distruzione” della foresta, né tantomeno provocano “deforestazione” e devono, quando possibile, essere integrati con la gestione/conservazione delle risorse naturali. I disturbi favoriscono l’alternarsi nel tempo e nello spazio di fasi giovanili, mature e stramature e sono il motore che alimenta e mantiene la diversità biologica. In assenza di disturbi ci sarebbe, sul lungo periodo, una omogeneizzazione ed una persistenza delle comunità mature e, per usare le parole di R.J. Vogl ([5]), “quando una comunità di esseri viventi o un sistema smette di cambiare significa che non funziona, è decadente o è morta” (Fig. 1).

Fig. 1 - (a) St Helens (Washington, USA); (b) Yellowstone NP (Wyoming, USA); (c) Bayerische Wald NP (D). Tre importanti eventi che hanno contribuito a validare il paradigma sul ruolo dei disturbi naturali nella conservazione e valorizzazione della biodiversità sono stati l’eruzione del vulcano St. Helens del 1980 (a), gli incendi che si sono sviluppati nel Parco Nazionale di Yellowstone nell’estate del 1988 (b) e le pullulazioni di scolitidi che sono avvenute dopo il 1993 nel Parco Nazionale della Foresta Bavarese (c). In tutti questi eventi il monitoraggio della struttura della vegetazione, della rinnovazione forestale e della biodiversità animale vegetale ha confermato la resilienza degli ecosistemi naturali nei confronti dei disturbi ed il ruolo di questi ultimi nel creare e valorizzare la biodiversità in quanto “molti organismi esistono grazie ad alcuni fattori catastrofici o condizioni estreme, e non malgrado essi” ([5]).

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Per avere una idea della dimensione dell’impatto dei disturbi in ecosistemi naturali si può osservare che in Canada - paese caratterizzato da una elevata presenze di foreste naturali, ma anche uno dei maggiori produttori di legname a livello mondiale - ogni anno vengono mediamente utilizzati circa un milione di ettari di foresta, ma mediamente oltre 7 milioni di ettari sono interessati da disturbi naturali (fuoco, vento, pullulazioni di insetti) “stand replacing”.

Il regime di disturbi naturali è difficile da descrivere ed analizzare in foreste molto antropizzate come quelle dell’Europa centro-meridionale - dove il disturbo antropico prevale e spesso nasconde il ruolo dei disturbi naturali - ma in questi ultimi anni sono stati fatti molti progressi utilizzando studi di carattere multidisciplinare e modelli. Occorre tenere presente che l’impatto e la percezione dei disturbi naturali è diverso in ecosistemi naturali e con bassissime densità di popolazione rispetto ad ambienti in cui la totalità delle foreste è stata modificata e utilizzata (più o meno intensamente) dall’uomo ed in cui c’è elevata densità di popolazione. In questa situazione è indispensabile distinguere tra l’impatto ecologico e l’impatto economico e sociale del disturbo in quanto i disturbi naturali, anche se non distruggono il bosco, possono provocare un arresto nell’erogazione di “servizi ecosistemici” (produzione, protezione, paesaggio, ricreazione) e questo può essere economicamente e socialmente non accettabile. Inoltre, anche la frammentazione della copertura forestale, l’interfaccia diffusa uomo-foresta e la relativa rarità di foreste mature giustificano, nella maggior parte dei casi, una politica prevalentemente indirizzata alla prevenzione-mitigazione dei disturbi naturali.

La conoscenza del regime di disturbo e del “natural range of variability” può avere un’importante ricaduta nella fase di gestione dei disturbi (una quota di popolamenti “disturbati” può contribuire al mantenimento della biodiversità), così come nella gestione delle foreste (ed in particolare nei processi di rinnovazione) e nel recupero dopo il disturbo (dove l’intervento dell’uomo può essere indirizzato solo dove i servizi ecosistemici svolti sono di primaria importanza).

In particolare la gestione forestale “naturalistica”, avendo come obiettivo l’imitazione dei processi naturali, può trovare nel regime di disturbi un modello per la gestione e la rinnovazione dei popolamenti forestali (Fig. 2). Il regime di disturbi naturali è poi di fondamentale importanza per definire il natural range of variability, cioè le condizioni (strutturali ed ambientali) entro le quali gli impatti - con particolare riferimento a quelli antropici - non compromettono la resilienza del sistema, cioè la loro possibilità di ritornare alle condizioni pre-esistenti. Per usare le parole di J.F. Franklin, “mentre nel passato la gestione forestale è stata concentrata su cosa e quanto prelevare dalla foresta, attualmente dobbiamo mettere al centro dell’attenzione cosa viene rilasciato…”. Infatti ogni disturbo naturale lascia in bosco una quota di alberi vivi e legno morto che rappresentano l’eredità (legacies) del popolamento precedente trasmessa al popolamento successivo ed in ogni intervento forestale questo aspetto dovrebbe essere attentamente preso in considerazione (Fig. 3).

Fig. 2 - Utah, Cache County (USA). A partire dalla fine del secolo scorso, in molte regioni degli USA, si è iniziato a rilasciare “residui”, cioè alberi (singoli ed a gruppi) e legno morto (alberi morti in piedi e a terra, nonché residui grossolani delle utilizzazioni) in modo da simulare le legacies di un disturbo naturale. In questo caso i residui, rilasciati in un’area di taglio raso, dovrebbero simulare le isole di sopravvivenza e la disponibilità di legno morto a terra che si osservano dopo un incendio di chioma.

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Fig. 3 - Oregon, Willamette Valley (USA). Un’altra modalità con la quale agiscono i disturbi naturali è quella di favorire la rinnovazione di alcune specie forestali. In questo esempio, il passaggio di un fuoco prescritto a bassa intensità dopo una utilizzazione forestale permette l’apertura dei coni e la disseminazione delle specie serotine che, in assenza di questo fattore, non potrebbero riprodursi.

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A quasi 30 anni di distanza dall’articolo di W.K. Stevens restano ancora molti libri da riscrivere e diverse modifiche da attuare nelle strategie di conservazione/gestione delle risorse naturali, ma questo nuovo paradigma, dopo essere stato diffusamente implementato in America settentrionale ed in diverse altre parti del mondo, si sta gradualmente affermando, tenuto conto delle peculiarità sociali ed ambientali e delle conoscenze acquisite, anche nell’Europa centro-meridionale.

References

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Kohm KA, Franklin JF (1997). Creating a forestry for the 21st century: the science of ecosystem management. Island Press, Washington, DC, USA, pp. 491.
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Landres PB, Morgan P, Swanson FJ (1999). Overview of the use of natural variability concepts in managing ecological systems. Ecological Applications 9 (4): 1179-1188.
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Pickett STA, White PS (1985). The ecology of natural disturbance and patch dynamics. Academic Press, New York, USA.
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Stevens WK (1990). New eye on nature: the real constant is eternal turmoil. New York Time, July, 31, 1990.
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Vogl RJ (1983). A primer of ecological principles. Pyro Unlimited Pub., Cypress.
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Wu J, Loucks OL (1995). From balance of nature to hierarchical patch dynamics: a paradigm shift in ecology. Quarterly Review of Biology 70 (4): 439-466.
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