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Coppice silviculture: are laws and regulations in line with current conditions in Italy?

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 15, Pages 20-28 (2018)
doi: https://doi.org/10.3832/efor2772-015
Published: Apr 30, 2018 - Copyright © 2018 SISEF

Commentaries & Perspectives

Abstract

Coppice silviculture: are laws and regulations in line with current conditions in Italy? Despite a less intensive management in the recent decades, coppices still cover a large part of Italian woodlands. Currently, they are characterized by relatively large wood volumes, especially with respect of those stands classified as “aged”. The current European and national strategies to reduce the use of fossil fuels and the related increasing demand of renewable bio-energy sources are giving a new boost to the coppice system, so that the need for an improved management of these stands is emerging. Under this perspective, this note highlights the opportunity for an overall revision of current forest laws and regulations at regional level in Italy, in order to embed recent scientific achievements and harmonize some aspects such as definitions, rotation, conversion to high stands, standards, cut size and administrative procedures.

Keywords

Forest Management, Silviculture, Forest Laws, Forest Regulations

Introduzione 

I soprassuoli forestali governati a ceduo rappresentano una parte consistente del patrimonio boschivo italiano (circa 3.700.000 ettari, pari al 42% della superficie totale - [27]) e una importante risorsa economica per i proprietari, sia pubblici che privati (il 69%). Negli ultimi decenni si è avuta una riduzione dell’intensità di pressione su questi soprassuoli, pur caratterizzati da facilità e semplicità gestionale, garanzia della rinnovazione e ritorno economico frequente per il proprietario. Questa situazione ha portato a soprassuoli sempre più articolati e differenziati per età, struttura, provvigione, ecc., non solamente a seguito di scelte deliberate come l’allungamento del turno (fino al raddoppiamento e oltre) e la matricinatura molto intensa (raccomandata soprattutto negli anni ’ 80-’90) ma anche come conseguenza di soprassuoli lasciati all’evoluzione naturale.

Il trend di invecchiamento dei soprassuoli governati a ceduo è evidenziato dal confronto in termini percentuali tra i dati del primo (IFNI 1985 - [12]) e del secondo inventario forestale nazionale (INFC 2005 - [27]). Nel primo inventario circa il 52% dei cedui presentava un’età superiore a 20 anni: il 73% di quelli a prevalenza di faggio, il 65% di quelli di leccio e il 41% di quelli di cerro. Nel 2005, il secondo inventario classificava l’89% dei cedui negli stadi “adulto” e “invecchiato”, corrispondenti rispettivamente alla classe di età di 20-40 anni e a quella di oltre 40 anni. La percentuale saliva al 92% per il faggio e al 93% per i cedui di cerro. A dare ulteriore evidenza a questo trend è il fatto che la massa in piedi della classe di età tra 41 e 80 anni è pari a oltre il 40% del totale dei cedui e che nella stessa classe di età si registrano 4.8 M m3 di incremento annuo di massa legnosa, pari a oltre il 32% del totale. In pratica, una quota rilevante in termini sia di massa legnosa in piedi sia di incremento legnoso annuo si concentra in soprassuoli che vengono classificati come “oltre turno”, ovvero soprassuoli che hanno superato l’età consuetudinaria di ceduazione.

Giustapposte a queste evidenze sono da rilevare significative differenziazioni tra le normative regionali e locali vigenti per la gestione di questo tipo di soprassuoli non soggetti a pianificazione forestale. Emergono diversità non solo nella terminologia adottata, ma anche negli aspetti tecnico-gestionali, in primis la lunghezza dei turni e l’ampiezza delle superfici utilizzabili, ai quali sono spesso connessi percorsi di autorizzazione al taglio differenziati, con carichi di adempimenti anche molto diversi tra loro.

Tenuto conto dell’importanza della questione, questo contributo vuole offrire una ricognizione e una comparazione della legislazione forestale a scala regionale (Leggi forestali, Regolamenti forestali, Prescrizioni di Massima e Polizia Forestale) al fine di enucleare le principali differenze/criticità e di predisporre le basi per un auspicato percorso di aggiornamento e maggiore armonizzazione, nel rispetto delle specificità a livello locale.

Di fatto, il ceduo sta riscuotendo rinnovato interesse alla luce delle linee strategiche europee e nazionali di decarbonizzazione delle fonti energetiche e di sviluppo di fonti alternative e in considerazione degli attributi specifici del governo a ceduo, in termini di rinnovazione naturale, semplicità di gestione, resilienza e resistenza ai disturbi relativamente maggiore e cicli di coltivazione ridotti rispetto alla fustaia, elementi tutti coerenti con i principi di una gestione adattativa particolarmente opportuna in un contesto di cambiamenti globali. Queste prerogative sono attestate da varie recenti iniziative, quali la COST Action FP 1301 EuroCoppice ([22]), la conferenza internazionale della IUFRO Coppice forests: past, present and future di Brno (2015), il progetto LIFE FutureForCoppices ([36]) e la nascita dell’Unità IUFRO 1.03.01 - Traditional coppice: ecology, silviculture and socio-economic aspects ([31]). In questo contesto, il processo di armonizzazione e revisione della normativa può avere la funzione di volano per l’applicazione di modelli innovativi e per la gestione del ceduo in condizioni di piena sostenibilità ecologica, paesaggistica ed economica.

Legislazione forestale regionale 

Le Tab. 1 e Tab. 2 riassumono la legislazione forestale vigente a livello regionale. In alcune Regioni (Basilicata, Calabria, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Piemonte, Puglia, Toscana, Trentino Alto Adige, Umbria) l’aggiornamento normativo ha seguito un iter costituito dall’approvazione di una Legge nell’ambito della quale si prevedeva la successiva pubblicazione di un Regolamento di attuazione. In altri casi (ad esempio: Abruzzo, Molise, Sardegna, Sicilia e Veneto), alla Legge regionale non ha fatto seguito il Regolamento e le questioni di carattere tecnico-gestionale dei cedui sono demandate direttamente a quanto previsto dalle Prescrizioni di Massima e Polizia Forestale (PMPF) redatte in attuazione del R.D. 1126/1926 di esecuzione del R.D.L. 3267/1923.

Tab. 1 - Normative regionali/provinciali in materia di gestione forestale oggetto di analisi in questo studio. Italia centrale e settentrionale (aggiornamento: settembre 2017).

Regione Legge forestale Regolamento forestale Prescrizioni di Massima edi Polizia Forestale
Abruzzo - Provincia dell’Aquila L.R. n. 3 del 2014 - PMPF dell’Aquila n. 43 del 1965
Emilia Romagna L.R. n. 30 del 1981 e successive modifiche - PMPF D.G.R. n. 182 del 1995 previsto dall’art. 13 della legge forestale
Friuli Venezia Giulia L.R. n. 9 del 2007 Regolamento forestale n. 0274 del 2012 in attuazione dell’art. 95 della L.R. n. 9 del 2007 -
Lazio L.R. n. 39 del 2002 Regolamento forestale n. 7 del 2005 di attuazione dell’articolo 36 della L.R. n. 39 del 2002 -
Liguria L.R. n. 4 del 1999 Regolamento Regionale n. 1 del 1999 di attuazione dell’articolo n. 48 della L.R. n. 4 del 1999 -
Lombardia L.R. n. 31 del 2008 Regolamento Regionale 20 luglio 2007, n. 5 (Norme forestali regionali), in attuazione dell’articolo 50, comma 4, della L.R. n. 31 del 2008 -
Marche L.R. n. 6 del 2005 - PMPF D.G.R. n. 2585 del 2001
Molise - Provincia di Campobasso L.R. n. 6 del 2000 - PMPF n. 488 del 1964
Molise - Provincia di Isernia L.R. n. 6 del 2000 - PMPF n. 290 del 1973
Piemonte L.R. n. 4 del 2009 Regolamento Regionale n. 8 del 2011 in attuazione dell’articolo 13 della L.R. n. 4 del 2009 -
Toscana L.R. n. 39 del 2000 Regolamento Regionale n. 48 del 2003 in attuazione della L.R. n. 39 del 2000 -
Trentino Alto Adige - Provincia autonoma di Bolzano L.P. n. 21 del 1996 Decreto del Presidente della Giunta provinciale 31 luglio 2000, n. 29 Regolamento all’ordinamento forestale -
Trentino Alto Adige - Provincia autonoma di Trento L.P. n. 11 del 2007 Regolamento concernente le disposizioni forestali in attuazione degli articoli 98 e 111 della L.P. 23 maggio 2007, n. 11 -
Umbria L.R. n. 28 del 2001 Regolamento Regionale n. 11 del 2012. Modificazioni ed integrazioni al regolamento regionale n. 7 del 2002 in attuazione dell’art. 2 della L.R. n. 28 del 2001 -
Valle d’Aosta L.R. n. 4 del 1958 - -
Veneto L.R. n. 52 del 1978 e modifiche L.R. n. 5 del 2005 - PMPF n. 51 del 2003

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Tab. 2 - Normative regionali/provinciali in materia di gestione forestale oggetto di analisi in questo studio. Italia meridionale e isole (aggiornamento: settembre 2017).

Regione Legge forestale Regolamento forestale Prescrizioni di Massima e di Polizia Forestale
Basilicata L.R. n. 42 del 1998 e modifiche L.R. n. 11 del 2004 Regolamento Regionale DGR n. 956 del 2004, redatto ai sensi dell’art.15 della L.R. n. 42 del 1998 -
Calabria L.R. n. 45 del 2012 Regolamento Regionale per i boschi governati a ceduo in Calabria n. 9 del 2015 PMPF D.G.R. n. 218 del 2011
Campania L.R. n. 11 del 1996 - PMPF Allegato C della LR n. 11 del 1996
Puglia - Provincia di Bari L.R. n. 18 del 2000 e modifiche L.R. n. 12 del 2012 Regolamento Regionale n. 10 del 2009 in attuazione dell’articolo 29 della L.R. n. 14 del 2001 PMPF n. 891 del 1969
Puglia - Provincia di Brindisi L.R. n. 18 del 2000 e modifiche L.R. n. 12 del 2012 Regolamento Regionale n. 10 del 2009 in attuazione dell’articolo 29 della L.R. n. 14 del 2001 PMPF n. 483 del 1968
Puglia - Provincia di Foggia L.R. n. 18 del 2000 e modifiche L.R. n. 12 del 2012 Regolamento Regionale n. 10 del 2009 in attuazione dell’articolo 29 della L.R. n. 14 del 2001 PMPF n. 188 del 1968
Puglia - Provincia di Lecce L.R. n. 18 del 2000 e modifiche L.R. n. 12 del 2012 Regolamento Regionale n. 10 del 2009 in attuazione dell’articolo 29 della L.R. n. 14 del 2001 PMPF n. 384 del 1969
Puglia - Provincia di Taranto L.R. n. 18 del 2000 e modifiche L.R. n. 12 del 2012 Regolamento Regionale n. 10 del 2009 in attuazione dell’articolo 29 della L.R. n. 14 del 2001 PMPF n. 188 del 1968
Sardegna L.R. n. 8 del 2016 - PMPF n. 24/CFVA del 2006
Sicilia - Provincia di Agrigento L.R. n. 271 del 2016 - D.A. n. 13 del 2006
Sicilia - Provincia di Caltanissetta L.R. n. 271 del 2016 - D.A. n. 12 del 2006
Sicilia - Provincia di Catania L.R. n. 271 del 2016 - D.A. n. 11 del 2006
Sicilia - provincia di Enna L.R. n. 271 del 2016 - D.A. n. 10 del 2006
Sicilia - provincia di Messina L.R. n. 271 del 2016 - D.A. n. 9 del 2006
Sicilia - provincia di Palermo L.R. n. 271 del 2016 - D.A. n. 8 del 2006
Sicilia - Provincia di Ragusa L.R. n. 271 del 2016 - D.A. n. 7 del 2006
Sicilia - Provincia di Siracusa L.R. n. 271 del 2016 - D.A. n. 6 del 2006
Sicilia - Provincia di Trapani L.R. n. 271 del 2016 - D.A. n. 5 del 2006

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Definizioni

A partire dalle definizioni tipologico-colturali (ceduo semplice, ceduo matricinato, ceduo a sterzo, ceduo composto), si riscontrano significative differenze tra le normative vigenti nelle varie Regioni. Per ceduo semplice non sempre si intende una forma di trattamento in cui il soprassuolo viene sottoposto a taglio raso senza rilascio di matricine e per ceduo matricinato un soprassuolo sottoposto a taglio a raso ma con rilascio di soggetti provenienti da seme o di polloni scelti tra i migliori alberi in grado di disseminare (matricine).

Ad esempio, nel caso della Regione Umbria, la differenza tra ceduo semplice e ceduo matricinato si basa sul numero di polloni e matricine presenti nel ceduo: sono definiti cedui semplici i boschi “costituiti da polloni e da un numero di matricine inferiore a due terzi del numero minimo previsto dalla legge”, mentre sono definiti cedui matricinati i boschi “costituiti da polloni e da un numero di matricine superiore a due terzi del numero minimo previsto e non superiore al numero massimo previsto dalla legge”. In Sardegna, il ceduo semplice è un “soprassuolo assoggettato a tagli periodici a raso (adatto a specie come robinia, nocciolo, pioppo, salice) in cui non vengono rilasciate matricine”, mentre al rilascio di matricine corrisponde il ceduo matricinato.

Fonte di incertezze e ambiguità sono i numerosi attributi del ceduo in relazione all’età. Al termine “ceduo a regime”, che si riferisce a un ceduo regolarmente utilizzato una volta superata l’età del turno minimo, si giustappone un’area “grigia”, nel senso di scarsamente definita, nella quale rientrano svariate definizioni, quali ceduo oltre turno, fuori turno, invecchiato, in evoluzione, in abbandono, in post-coltivazione, ecc., per tutti quei soprassuoli che hanno superato l’età consuetudinaria di taglio dei cedui a regime. Queste definizioni possono portare a confusione e problemi non solo sul piano terminologico ma anche su quello tecnico-gestionale e normativo-autorizzatorio (vedi capitolo “Turno”), dal momento che il superamento di soglie di età parametrate sul turno minimo comporta, oltre che l’ingresso nell’area “grigia” di cui sopra, anche il passaggio a procedure più complesse per l’autorizzazione degli interventi di taglio.

Di contro, la definizione di ceduo a sterzo, forma di trattamento realizzata peraltro su una superficie molto limitata (circa 21.500 ha - [27]), principalmente in centro Italia e in Sardegna per specie che tollerano l’ombreggiamento (faggio, leccio - [41]), è abbastanza uniforme in tutte le normative regionali e indica un soprassuolo dove su ogni ceppaia insistono polloni di età e dimensioni diverse.

Significative differenze tra le normative regionali si evidenziano invece per la definizione di ceduo composto. Ad esempio, il numero di matricine ad ettaro che definiscono il ceduo composto varia da 140 (Lazio) a 230 (Sardegna). Allo stesso modo incide, nella definizione, la modalità di ripartizione delle matricine in classi di età multiple del turno (1T, 2T, 3T, ecc.): nel Lazio il ceduo composto prevede che delle 140 matricine per ettaro circa 80 siano dell’età del turno e 60 siano ripartite tra le classi di età multiple del turno; in Umbria il ceduo composto è formato da 180-200 matricine ad ettaro (ha) di cui almeno 100 allievi, 50 matricine di due turni, 20 matricine di 3 turni, 10 matricine di 4 turni. Alcune Regioni applicano criteri diversi (ad esempio, Toscana).

Alcune definizioni specifiche, relative, ad esempio, a “ceduo sotto fustaia”, “soprassuolo transitorio” e “governo misto”, sono il risultato dello sforzo di alcune Regioni di interpretare la realtà colturale mutata degli ultimi decenni. Ad esempio, nel Regolamento forestale della Lombardia si parla di cedui sotto fustaia nei casi in cui “è permessa la ceduazione della componente a ceduo con l’obbligo di mantenimento di un consistente contingente di riserve scelte fra alberi d’alto fusto o, in assenza, di matricine scelte fra i polloni, purché di buona conformazione e possibilmente affrancate”. Nel Lazio per soprassuoli transitori si intendono quelli derivati da interventi di avviamento da ceduo a fustaia. Recentemente, alcune Regioni (Piemonte e Trentino Alto Adige) hanno introdotto l’opzione denominata governo misto, dove sono contemporaneamente presenti all’interno dello stesso soprassuolo, le componenti del ceduo e della fustaia.

Turno

Tutte le normative regionali e locali fissano un “turno minimo” per i cedui delle varie specie nell’ottica di prevenire utilizzazioni troppo ravvicinate nel tempo, con le conseguenze negative a ciò connesse. Si evidenziano, peraltro, profonde differenze tra le Regioni anche in riferimento alla stessa specie nello stesso contesto biogeografico. Ad esempio, per il faggio, i turni minimi variano da 20 anni (Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Sicilia - Province di Agrigento, Enna, Messina, Palermo, Ragusa, Siracusa, Trapani, Veneto) a 30 anni (Trentino Alto Adige). L’Umbria fissa per il faggio un turno minimo di 25 anni. Per il castagno il turno minimo varia da 8 anni (Toscana) a 20 anni (Trentino Alto Adige). Per le querce, alcune Regioni distinguono tra querce caducifoglie e leccio, mentre in altri casi viene indicato un turno minimo per le querce in generale, senza distinzione di specie. I valori oscillano tra 12 anni (Provincia di Foggia - Puglia) e 18 anni (Calabria) per le querce caducifoglie, mentre per il leccio il turno minimo è in genere tra 20 e 25 anni. In generale, nei casi in cui si fornisce un turno minimo per le querce, i valori sono compresi tra 15 anni (Basilicata, Lombardia, Veneto) e 25 anni (Sardegna e Trentino Alto Adige). L’Umbria individua turni minimi di 18 e 25 anni rispettivamente per querce caducifoglie e per leccio e macchia.

Rappresenta un’eccezione l’individuazione anche di un “turno massimo” e con esso di un range di età entro il quale l’utilizzazione a ceduo possa essere ritenuta inequivocabilmente e pienamente conforme ai criteri colturali. Data la rilevanza, questo aspetto meriterebbe di essere meglio definito: in questa direzione si è mossa, in particolare, la Regione Umbria che nella propria normativa fissa, oltre a un turno minimo, anche uno massimo (35 per il faggio, 40 per le querce caducifoglie, 50 per il leccio).

Per quanto riguarda il taglio di curazione del ceduo a sterzo i parametri che ne disciplinano l’esecuzione sono generalmente: il diametro dei polloni di maggiore dimensione, l’età degli stessi, il periodo di tempo dall’ultimo intervento (periodo di curazione). Molte Regioni indicano l’età minima per il taglio dei polloni di diametro maggiore: 18 anni in Sicilia nelle Province di Agrigento, Enna, Palermo, Ragusa, Siracusa, Trapani; 20 anni in Abruzzo, Campania, Molise, Sicilia - Provincia di Catania, Veneto; 24 anni in Lazio, Marche, Liguria e Puglia; 27 anni in Calabria; 30 anni in Emilia Romagna. Altre Regioni indicano invece una soglia di diametro minima per il taglio dei polloni di maggior dimensione: 15 cm in Basilicata; 12 cm in Friuli Venezia Giulia. Il periodo di curazione è generalmente di 10 anni, con un minimo di 9 anni (Calabria) e un massimo di 12 anni (Trentino Alto Adige).

Conversione all’alto fusto

In generale, i tagli di avviamento all’alto fusto prevedono una procedura di autorizzazione semplificata e possono essere effettuati in qualsiasi periodo dell’anno. Molte Regioni prevedono una soglia di età oltre la quale il ceduo deve essere avviato all’alto fusto o lasciato all’evoluzione naturale. Questa soglia varia, talvolta in maniera sostanziale, da Regione a Regione, o è parametrata sul turno minimo (vedi capitolo “Turno”): ad esempio, è pari a 50 anni in Toscana, 40 anni in Piemonte, 30 anni in Friuli Venezia Giulia e Molise; in Liguria è di 35 anni per faggio o soprassuoli misti con prevalenza di faggio e per i cedui di leccio o misti con prevalenza di leccio, 25 anni per gli altri cedui; nelle Marche per cedui puri o misti è di 30 anni o, nel caso del faggio, di 40 anni; 30 e 40 anni rispettivamente sono le soglie per le specie quercine e il faggio in Basilicata; altre Regioni considerano cedui da avviare ad alto fusto quelli che hanno superato una volta e mezza (Emilia Romagna) o il doppio del turno minimo (Abruzzo, Calabria, Campania, Sardegna, Veneto).

Nel Lazio, l’articolo n. 41 del Regolamento forestale individua per ogni specie l’età oltre la quale un ceduo è definito invecchiato (38 anni per il faggio, 32 per le querce caducifoglie e carpino nero, 40 per il leccio e la macchia mediterranea, 35 per il castagno; 36 per l’ontano e il nocciolo selvatico, 30 per la robinia e gli eucalitti), mentre la Toscana considera invecchiati quei boschi che hanno un’età superiore a 36 anni, anche se, come specificato, la soglia per l’obbligo di avviamento è fissata a 50 anni.

Si segnala a margine che le normative sono concordi nel prevedere il divieto di conversione da fustaia a ceduo, indipendentemente dalla superficie interessata dall’intervento, tranne in caso di comprovati motivi di ordine fitosanitario, idrogeologico e di tutela ambientale, comunque preventivamente autorizzati: in linea, del resto, a quanto previsto dall’art. 6, comma 2, del D. Lgs. 227 del 2001.

Matricinatura

Anche per l’intensità di matricinatura, aspetto molto dibattuto nella letteratura forestale, si registra una spiccata eterogeneità tra le Regioni: la Tab. 3, che riporta un riepilogo a livello regionale del numero di matricine da rilasciare al momento dell’utilizzazione per le principali specie governate a ceduo, evidenzia, infatti, valori molto variabili (ad es. per il faggio: 50 in Abruzzo, almeno 120 in Trentino Alto Adige e Umbria; castagno: da 20 in Abruzzo e Puglia a 200 matricine ad ettaro in Trentino Alto Adige).

Tab. 3 - Prescrizioni a livello regionale per quanto riguarda la matricinatura nei cedui (il valore singolo si riferisce al numero minimo di matricine per ettaro; l’intervallo di valori si riferisce al numero minimo e al massimo di matricine per ettaro).

Regione Specie o gruppi di specie prevalenti
faggio castagno querce altre specie
Abruzzo 50 20 50 50
Basilicata 100 50 100 100
Calabria 50 30 50 50
Campania 70 50 70 70
Emilia Romagna 100 40 70 70
Friuli Venezia Giulia 80-120 80-120 80-120 80-120
Lazio 90 30 60 60
Liguria 80 60 60 60
Lombardia 90 50 90 90
Marche 100 50 100 100
Molise 50 20 50 50
Piemonte copertura chiome
minima residua 20%
copertura chiome
minima residua 10%
copertura chiome
minima residua 10%
copertura chiome
minima residua 10%
Puglia 50-100 20 50-100 50-100
Sardegna - - 120 120
Sicilia 80-120 40 80-120 80-120
Toscana 60 30 60 60
Trentino Alto Adige 120-200 120-200 120-200 120-200
Umbria 120-180 30-70 80-150 80-150
Valle d’Aosta nessuna
prescrizione
nessuna
prescrizione
nessuna
prescrizione
nessuna
prescrizione
Veneto 100 30 100 100

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Nel recente passato, l’orientamento verso una matricinatura molto intensa era suggerito soprattutto dai presunti suoi effetti di protezione e conservazione del suolo. Come conseguenza, si è avuta una gestione spesso basata su intensità di matricinatura che i risultati della ricerca e sperimentazione hanno riconosciuto non sempre adeguata, soprattutto per i cedui quercini ([21], [1], [35], [37], [5], [7], [2], [11], [34], [26]). Alla luce di tali risultati alcune normative regionali hanno optato a favore della taratura dell’intensità di matricinatura in base all’effettiva capacità pollonifera delle specie e proponendo modalità alternative: ad esempio, la Regione Piemonte utilizza un parametro che non si riferisce al numero minimo di matricine da rilasciare, ma alla copertura delle chiome che deve essere non inferiore al 10% della superficie di intervento (o al 20% per i boschi a prevalenza di faggio), con la possibilità di selezionare le matricine per gruppi, oltre che per soggetti isolati stabili.

Forme innovative di matricinatura si basano su criteri di selezione in termini di qualità, quantità (riduzione del numero) e distribuzione spaziale (a gruppi, combinata per pedali, ecc. - [7], [2], [29], [10], [44], [8], [45]). Alcune Regioni forniscono indicazioni sulle modalità applicative della matricinatura per gruppi (Calabria, Campania, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche e Umbria); in particolare, il Regolamento del Lazio afferma che si può adottare la matricinatura a gruppi per il castagno e altre specie sensibili all’isolamento per temperamento e/o per caratteristiche stazionali; Lombardia e Marche prevedono un rilascio di matricine in gruppi di massimo 10 alberi, distanziati tra loro di 2-4 metri; l’Umbria fornisce indicazioni precise sulla struttura dei gruppi: “la larghezza minima del gruppo deve essere maggiore di 4 m; la superficie occupata da ogni gruppo non può essere inferiore alla superficie che ha come diametro la metà dell’altezza media delle matricine; la distanza fra i gruppi compresa tra 1-1.5 volte il valore dell’altezza media delle matricine, per una distanza massima di 30 m”.

Tutela della biodiversità

Nel regolamento della Regione Calabria si fa specifico riferimento al rilascio di specie sporadiche che vanno salvaguardate. Anche il Piemonte e la Toscana riconoscono il valore e la tutela delle specie forestali spontanee sporadiche e prescrivono che in tutti gli interventi selvicolturali debbano essere rilasciati i fusti di specie arboree autoctone sporadiche qualora siano presenti in numero inferiore a 20 ad ettaro. Nel Regolamento forestale della Toscana si fa esplicito riferimento alla cosiddetta “selvicoltura ad albero”: in questo caso, i tagli sono finalizzati alla tutela e valorizzazione di singoli fusti di specie arboree sporadiche, riconoscendo anche nel ceduo alberi-obiettivo che vengono favoriti nei rapporti spaziali e di allevamento rispetto ai concorrenti ([42], [38]). Nel Regolamento del Lazio e dell’Umbria si fa, infine, riferimento al rilascio di alberi da destinare a invecchiamento indefinito, da selezionare tra quelli di maggiore età e dimensione presenti nella superficie interessata dall’intervento di taglio del ceduo.

Ampiezza delle tagliate e procedimenti amministrativi

In linea generale i procedimenti amministrativi per il taglio del ceduo alla scadenza del turno sono di due tipi: dichiarazione/comunicazione o autorizzazione (Tab. 4). Per l’applicazione dell’uno o dell’altro tipo di procedimento è comune il riferimento all’estensione della tagliata, ma diverse, da Regione a Regione, sono le soglie di riferimento: in genere viene definita una soglia di superficie entro cui il taglio può essere effettuato previo procedimento semplificato (quale la dichiarazione/comunicazione), mentre il superamento di detta soglia richiede una specifica autorizzazione da parte dell’Ente competente.

Tab. 4 - Procedimento amministrativo previsto in funzione dell’estensione delle tagliate nei cedui.

Regione Procedimento amministrativo
Abruzzo dichiarazione: superficie > 0.5 ha e superficie < 3 ha; autorizzazione: superficie > 3 ha
Basilicata autorizzazione: superficie < 20 ha; autorizzazione e parere forestale dell’Ufficio Foreste e Tutela del Territorio: superficie > 20 ha
Calabria dichiarazione: superficie < 2 ha; autorizzazione: superficie > 2 ha
Campania comunicazione: superficie < 2 ha; autorizzazione: superficie > 2 ha
Emilia Romagna comunicazione: superficie < 6 ha; autorizzazione: superficie > 6 ha
Friuli Venezia Giulia -
Lazio dichiarazione: superficie < 3 ha; comunicazione: superficie > 3 ha; superficie < 10 ha (altre specie) o 20 ha (castagno); autorizzazione: superficie > 10 ha (altre specie) o 20 ha (castagno)
Liguria -
Lombardia autorizzazione: superficie > 2 ha
Marche comunicazione: superficie < 2 ha; autorizzazione: superficie > 2 ha
Molise -
Piemonte comunicazione: superficie < 5 ha; autorizzazione: superficie > 5 ha
Puglia -
Sardegna -
Sicilia -
Toscana dichiarazione: superficie < 5 ha; autorizzazione: superficie > 5 ha
Trentino Alto Adige -
Umbria dichiarazione: superficie < 5 ha; autorizzazione: superficie > 5 ha
Valle d’Aosta -
Veneto dichiarazione: superficie < 2.5 ha; autorizzazione: superficie > 2.5 ha

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I termini “dichiarazione” e “comunicazione” sono spesso utilizzati indifferentemente nella normativa regionale di riferimento. Nel Lazio per dichiarazione di taglio si intende la documentazione che si presenta in luogo del progetto di taglio per utilizzazioni di fine turno di cedui su superficie non superiore a 3 ettari o in caso di diradamento del ceduo con rilascio di un numero di polloni per ceppaia inferiore a quelli indicati dal Regolamento. La soglia per il passaggio da un regime di dichiarazione/comunicazione a quello di autorizzazione varia molto con valori oscillano da un minimo di 3000 m2 previsti per il taglio del ceduo semplice nelle PMPF della Provincia di Trento fino a 10-20 ha (a seconda della specie) per il Lazio; una soglia pari a 2 ha è fissata da Calabria, Campania, Marche, mentre è pari a 5-6 ha in Emilia Romagna, Piemonte, Toscana e Umbria.

In aree vincolate (ad esempio, boschi inclusi nei siti di cui al D.P.R. 357/1997, boschi situati in aree a rischio idrogeologico, ecc.) o in boschi oltre turno, generalmente le utilizzazioni non possono effettuarsi seguendo procedure semplificate, indipendentemente dalla superficie oggetto di intervento.

Le comunicazioni/dichiarazioni che le normative generalmente prevedono per gli interventi su superfici di estensione contenuta possono essere accompagnate o meno da un progetto di utilizzazione forestale (denominato anche “progetto di taglio”). Il progetto di taglio è altresì quasi sempre obbligatorio nel caso di richiesta di autorizzazione, che viene in rilievo per le tagliate di estensione maggiore; peraltro, anche nel caso di procedimenti di autorizzazione, alcune Regioni identificano soglie di superficie entro cui non è necessario il progetto di utilizzazione forestale ma solo una documentazione firmata dal professionista.

Il progetto di utilizzazione, i cui contenuti sono in genere specificatamente indicati dalle normative, deve essere sempre redatto da un tecnico agro-forestale abilitato e allegato alla comunicazione di inizio attività oppure alla richiesta di autorizzazione. Le superfici oltre le quali è necessario il progetto di utilizzazione forestale variano da 2 ha per Calabria e Lombardia a 10 ha per la Campania. Un caso particolare è quello della Basilicata dove per superfici comprese tra 5-20 ha è necessario allegare all’istanza di taglio una relazione di taglio (di cui vengono descritti i contenuti necessari) mentre per superfici superiori a 20 ha è necessario allegare un vero e proprio progetto di utilizzazione forestale.

La contiguità delle tagliate rappresenta un altro fattore che può determinare il tipo di procedura amministrativa prevista. Infatti, alcune Regioni indicano la distanza al di sotto della quale due o più aree boscate attigue concorrono a formare un’unica tagliata: 20 m tra tagliate effettuate nei precedenti due anni nei cedui nel Lazio; 30 m da altre tagliate effettuate negli ultimi cinque anni in Lombardia; 100 m tra tagliate effettuate nei precedenti 3 anni per Toscana, Umbria e Emilia Romagna; 500 m tra tagliate effettuate nei precedenti 3 anni in Abruzzo.

Il periodo di validità della dichiarazione/comunicazione di taglio è in genere limitato alla stagione silvana in riferimento alla quale viene presentata o a un anno solare, a eccezione del Molise che prevede due anni, mentre il periodo di validità delle autorizzazioni è generalmente di due stagioni silvane (Abruzzo, Basilicata, Lazio, Lombardia) o sporadicamente tre (Piemonte).

Discussione e conclusioni 

Le differenze culturali e colturali che caratterizzano il governo del ceduo nel nostro Paese sono conseguenza di consuetudini legate a specifiche necessità socio-economiche e tradizioni. Peraltro, il contesto ambientale, produttivo e sociale è oggi molto cambiato rispetto agli anni in cui si sono consolidate le procedure di gestione, utilizzazione e autorizzazione degli interventi connessi a questa forma di governo. A fronte dei numerosi contributi di ricerca auxonomica e selvicolturale che, negli anni, hanno prodotto molteplici ipotesi di gestione del ceduo, entro e successivamente l’età del turno (ad esempio: [6], [13], [48], [3], [15], [7], [2], [17], [19], [29], [18], [10], [16], [44], [45]), le normative e i regolamenti vigenti risentono ancora, in molti casi, dell’approccio delle tradizionali PMPF: sono quindi maturi i tempi per un’attenta revisione della materia. In questa prospettiva, d’altronde, va anche tenuto conto dei numerosi contributi in letteratura su come le pratiche selvicolturali nei cedui influiscano su difesa del suolo, regimazione delle acque, capacità di fissazione del carbonio e conservazione della biodiversità (tra gli altri, si veda ad esempio l’ampia rassegna in [18]).

Dunque, appare indilazionabile aggiornare e armonizzare sotto il profilo tecnico e normativo-autorizzatorio le definizioni e le procedure che servono a garantire una razionale e moderna gestione dei cedui, definendo un quadro di comuni principi e capisaldi tecnico-normativi a livello nazionale ai quali possano riferirsi, per le loro specifiche prerogative, le Regioni e gli Enti competenti in materia. Questa prospettiva consentirebbe non solo un comune riferimento entro cui definire in dettaglio le forme colturali più idonee ai contesti locali, ma anche di poter più appropriatamente monitorare e confrontare l’efficacia degli interventi nel perseguimento delle sfide ambientali, climatiche e socio-economiche a cui il settore forestale è chiamato a rispondere.

In prima istanza l’attenzione potrebbe focalizzarsi su turno e estensione delle tagliate, data la loro portata strategica e le strette connessioni con gli aspetti ecologici, economici e normativo-autorizzatori. È opportuno che al turno minimo, parametro dal quale la normativa non può prescindere al fine di prevenire possibili abusi, si accompagni l’individuazione esplicita di un turno massimo e con esso di un range di età entro il quale l’utilizzazione a ceduo possa essere ritenuta inequivocabilmente e pienamente conforme ai criteri di colturalità. Tale opportunità si fonda principalmente su tre considerazioni. La prima è che oggi la quasi totalità delle utilizzazioni a ceduo avviene a età largamente superiori al turno minimo, se non addirittura a età prossime al doppio. Se da una parte questo trend di allungamento dei turni è da accogliere con favore, tenuto conto dei positivi riflessi connessi a una minor frequenza dei tagli di utilizzazione, dall’altra pone il problema di prevenire un possibile “sconfinamento” nell’area “grigia” dell’oltre turno per cedui che, seppure in età relativamente avanzata, sono tuttavia da considerare ancora a regime ([24]). In secondo luogo, il superamento di soglie di età multiple al turno minimo può comportare il passaggio da un procedimento amministrativo semplificato (dichiarazione, comunicazione) a uno più complesso e oneroso (autorizzazione) per poter realizzare l’intervento di taglio e, in alcuni casi, si attiva l’obbligo dell’avviamento all’alto fusto, pur in presenza di capacità pollonifera che per molte specie può essere ancora molto elevata. La terza considerazione è legata all’opportunità di ridurre quella parte di contenzioso inerente le procedure che è legato ad ambiguità interpretative del dettato legislativo di riferimento: l’inserimento in normativa di un turno massimo definito per ciascuna specie o gruppo di specie può ragionevolmente arginare tali incertezze. Il turno massimo dovrebbe allinearsi ai risultati della ricerca e della sperimentazione in merito all’effettiva capacità di riscoppio dalle ceppaie di ciascuna specie nei vari ambienti, capacità che in genere si protrae molto più a lungo delle soglie di età previste dalle normative attualmente in vigore ([24]). Più in dettaglio, la revisione della normativa, sia in relazione al turno minimo sia al turno massimo, dovrebbe mirare a definire un quadro nazionale che consenta di limitare le notevoli differenze presenti per la stessa specie in relazione al “campo di età di utilizzazione a ceduo”. Si potrebbe ipotizzare di individuare una soglia massima comune di utilizzazione finale, sulla base sia delle evidenze scientifiche sia di esperienze professionali e tecniche recenti, che permetta a scala regionale e locale le opportune calibrazioni.

Anche per l’intensità di matricinatura potrebbe essere opportuno prendere in considerazione soglie minime comuni per le stesse specie o gruppi di specie. Non sembrano ragionevoli intensità che per la stessa specie differiscono anche di 2-3 volte da Regione a Regione, come avviene, ad esempio, per il castagno (Tab. 3). In passato, si è talvolta operato in modo da favorire implicitamente quasi un primo avviamento all’altofusto per matricinatura intensiva senza tener conto che: (i) nel ceduo appena utilizzato la funzione di protezione del suolo è demandata soprattutto alla copertura erbacea e arbustiva e al riscoppio dei polloni ([25]); (ii) intensità eccessive di matricinatura posso costringere a reclutare allievi che mal si prestano (soprattutto per eccessiva snellezza, con conseguente maggiore probabilità di stroncamento da vento e/o neve bagnata e per ridotta capacità di fruttificazione) a svolgere la funzione di matricina ([32]). I rapporti di competizione tra le matricine e i polloni nei soprassuoli governati a ceduo hanno evidenziato, a parità di altre condizioni, come un aumento delle prime comporti una riduzione della produzione legnosa globale ([26]): in particolare, il fattore da tenere in considerazione è l’ombreggiamento esercitato dalle matricine che non deve “soffocare” più ceppaie di quante non ne nascano da seme ([33], [5], [10], [9]). All’uopo, Giunti ([28]) propone di considerare come criterio di matricinatura la dimensione media delle matricine rilasciate in quanto il solo numero non è sufficiente a definire una calibrata copertura del suolo. Amorini et al. ([2]) e Sarti ([43]) suggeriscono di prendere in considerazione anche sistemi combinati per rinnovazione e struttura o la matricinatura per gruppi. Con la matricinatura per gruppi il ceduo sembra in grado di rispondere all’impatto dell’intervento di taglio in modo più immediato in fase di recupero rispetto a formazioni ceduate secondo modalità tradizionali ([29]); inoltre, le indagini condotte dal progetto SUMMACOP mediante analisi comparata ante e post intervento sulla copertura dello strato arboreo rilasciato all’interno dei gruppi hanno permesso di osservare come la ceduazione con matricinatura per gruppi abbia favorito lo sviluppo di specie accessorie rispetto alle dominanti, permettendo una diversificazione specifica del soprassuolo arboreo.

Un ulteriore aspetto che merita di essere considerato riguarda la restrizione del periodo di taglio dei cedui. Attualmente il taglio del ceduo viene consentito nel periodo di riposo vegetativo (autunno-inverno). Proprio questo, però, è il periodo in cui il suolo si trova in condizioni di maggiore vulnerabilità rispetto agli eventuali danni prodotti dalle attività di utilizzazione ([20]). Alla luce delle analisi condotte su alcune specie (ad esempio: [14] su cedui di eucalitto, [4] su cedui di castagno, [39] su cedui di leccio), la restrizione del taglio al solo periodo di riposo vegetativo non appare suffragata da elementi bioecologici o produttivi: infatti, con il taglio al di fuori di tale periodo non si riscontrano differenze significative, in termini bioecologici, strutturali e di produttività, rispetto al ceduo tagliato in tale periodo. È pertanto auspicabile che, ai fini della conservazione del suolo, nella revisione e aggiornamento delle normative possa essere presa in considerazione l’ipotesi di consentire l’estensione del periodo di taglio a tutto l’anno (tranne nei mesi estivi, almeno nelle zone mediterranee, per motivi legati alla prevenzione antincendio - vedi [19]).

Una maggiore armonizzazione delle procedure amministrative relative alla esecuzione degli interventi è un obiettivo ambizioso: lo sforzo dovrebbe portare a individuare indicazioni relativamente omogenee tra le varie Regioni, a parità di specie e contesto biogeografico, per l’esercizio del taglio libero, del taglio del ceduo tramite procedura semplificata e tramite autorizzazione: a oggi, le soglie definite per il passaggio da una tipologia all’altra, variano da superfici inferiori all’ettaro fino a decine di ettari.

Anche la pianificazione degli interventi, in termini di dimensione e distribuzione spazio-temporale delle tagliate, necessita attenzione: la gestione del ceduo non si esaurisce con l’utilizzazione finale ma dovrebbe (auspicabilmente) contemplare in modo ottimale un assestamento di particelle avvicendate al taglio ([30]). In questo contesto potrebbero essere direttamente considerati anche gli aspetti connessi ai profili paesaggistici ([23]): il progetto RECOFORME ha approfondito la tematica evidenziando l’importanza di fattori connessi alla dimensione della superficie di intervento, forma e margini delle tagliate e alla integrazione spaziale fra ceduo e alto fusto, ecc., per la mitigazione dell’impatto paesaggistico della gestione a ceduo ([29]).

Applicazione di tecniche riconducibili alla cosiddetta “selvicoltura d’albero” ([42], [38]) e mantenimento di tratti a invecchiamento naturale sono ulteriori modalità che possono permettere la creazione e valorizzazione di variazioni dendro-strutturali del soprassuolo ceduo. Un altro esempio è l’individuazione di tipi strutturali intermedi tra cedui e fustaie per mantenere la funzionalità nel gradiente altitudinale delle faggete centro-appenniniche proposta da Urbinati et al. ([47]). In Piemonte, Terzuolo et al. ([46]) descrivono un sistema di “governo misto” mentre Motta et al. ([40]) prevedono un taglio a scelta colturale in cedui di faggio oltre turno che hanno superato l’età massima prescritta per la ceduazione.

Nella maggior parte dei casi le modalità innovative qui sopra evidenziate non sono recepite dalla legislazione regionale vigente. Un’auspicata revisione su questo e altri temi precedentemente delineati o a essi connessi (ad esempio: definizione di bosco ceduo degradato, piani/prescrizioni a scala comprensoriale, ecc.) potrebbe essere conseguita attraverso un processo di confronto tra le amministrazioni forestali regionali, insieme ai responsabili del governo del territorio, della tutela ambientale e della protezione del paesaggio, il mondo della ricerca e gli operatori impegnati nella gestione dei cedui, e potrebbe trovare spazio elettivo nell’ambito delle attività di indirizzo affidate alla nuova Direzione foreste del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali.

Ringraziamenti 

Lavoro realizzato nell’ambito del Programma Rete Rurale Nazionale - Scheda 22.2 Foreste e con il contributo parziale del Progetto LIFE14 ENV/IT/000514 Shaping future forestry for sustainable coppices in southern Europe: the legacy of past management trials (LIFE FutureForCoppiceS).

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