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Reply to the paper “Actual or virtual habitats?” by C. Urbinati e G. Iorio.

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 13, Pages 62-65 (2016)
doi: https://doi.org/10.3832/efor2276-013
Published: Dec 01, 2016 - Copyright © 2016 SISEF

Commentaries & Perspectives

Abstract

The authors wish to clarify some misrepresenting remarks arising from the reading of the Manual of the Dir. 92/43/EEC Ann. I habitats monitoring ([1]) published in the editorial notes of Forest@ (October 2016). Some aspects of the habitat monitoring protocol for the habitat type 9210* “Apennine beech forests with Taxus and Ilex” are here discussed. The reported comments are intended to provide a useful contribution towards a clarification of any content that, for obvious reasons of brevity, may have been explained in a non-exhaustive way.

Keywords

9210*, Beech Forests, Dir. 92/43/CEE, Habitat, Monitoring, Vegetation

 

La Società Italiana di Scienza della Vegetazione, che ha fornito supporto tecnico-scientifico per la realizzazione del Manuale per il monitoraggio degli habitat di interesse comunitario (Direttiva 92/43/CEE) in Italia ([1]), ritiene opportuna e doverosa una risposta il più possibile chiarificatrice sulle questioni sollevate da Urbinati & Iorio ([14]), nell’ottica di “uno scambio proficuo di opinioni”, come auspicato dagli stessi Autori dell’Editoriale. I commenti e le precisazioni qui forniti intendono dare un contributo utile a chiarire eventuali contenuti che, per ovvie ragioni di sinteticità, possono essere stati spiegati in maniera non esaustiva, come nel caso della scheda dell’habitat 9210*.

La descrizione dell’habitat riportata nelle schede, come esplicitamente dichiarato nel box metodologico ([9]), è conforme alla diagnosi data nel Manuale di interpretazione degli Habitat italiani ([2]), strumento diagnostico ufficialmente adottato dal M.A.T.T.M., costruito partendo dai dettami della Direttiva Habitat ([6]), declinato per il territorio nazionale e condiviso dalla comunità scientifica del settore. L’habitat 9210* è rappresentato da faggete “termofile” ([6]) e per questo codificate preferenzialmente come “basso-montane” nella scheda di monitoraggio ([15]), ancorché correttamente riferite all’intero Piano bioclimatico Supratemperato sia nel Manuale di interpretazione che nella scheda. Infatti, tenendo conto della variabilità di questa tipologia di faggeta in Italia peninsulare (ampiamente documentata e discussa in letteratura), il Manuale di interpretazione ([2]) ne conferma il carattere termofilo, collocandola anche nel Piano Mesotemperato, ma ne indica la presenza in un range esteso a tutto il Piano Supratemperato. Tale affermazione è ulteriormente avvalorata dalla distribuzione altitudinale delle specie indicatrici (e tipiche sensu Direttiva Habitat) Taxus baccata e Ilex aquifolium. Va ulteriormente precisato, come indicato da Zitti et al. ([15]), che T. baccata e I. aquifolium risultano spesso poco abbondanti (o addirittura totalmente assenti) a causa di disturbi locali più o meno accentuati, presenti e passati, ma nonostante questo è possibile ugualmente riconoscere questo habitat grazie all’insieme floristico caratteristico anche a quote superiori. L’interpretazione che le diverse regioni hanno dato, e le cartografie che ne sono derivate (e quindi l’inserimento anche dei consorzi alto-montani all’interno di questo habitat), hanno seguito valutazioni più inclusive, che hanno tenuto conto delle caratteristiche del territorio cartografato.

Per quanto riguarda il paragrafo “Criticità e impatti”, esso elenca gli elementi di minaccia o di rischio attuali e/o potenziali per l’habitat considerato di cui l’operatore deve tenere conto per valutarne lo stato di conservazione. L’elencazione di questi elementi riportata nella scheda dell’habitat 9210* non fornisce alcun commento che avvalori un’immagine di “cenosi molto compromesse” nel caso delle faggete italiane, come estrapolato da Urbinati & Iorio ([14]). Non si capisce come gli stessi Autori abbiano tratto questa conclusione. Lo scopo del Manuale di monitoraggio è infatti solo quello di fornire strumenti appropriati per valutare lo stato di conservazione degli habitat da oggi in poi. La valutazione dello stato attuale di conservazione degli habitat è stata oggetto del Terzo Report ([8]).

Le considerazioni riguardanti le singole voci elencate tra le criticità dimostrano una certa strumentalità del ragionamento. Nella struttura delle schede tali voci hanno il semplice ruolo di evidenziare fenomeni che hanno la possibilità di influenzare negativamente lo stato di conservazione dell’habitat in questione. Sarà proprio il monitoraggio delle criticità indicate a permetterne la quantificazione, fornendone il peso effettivo sullo stato di conservazione dell’habitat.

Entrando nel particolare, per quanto riguarda le pratiche selvicolturali nel Manuale di monitoraggio queste non sono evidenziate come le principali cause di impatto per l’habitat 9210*, ma costituiscono semplicemente la prima voce di una elencazione sintetica di possibili minacce. D’altronde esse non possono essere escluse a priori dal novero delle possibili criticità in quanto, come evidenziato dagli stessi Urbinati & Iorio ([14]), “un intervento selvicolturale costituisce un disturbo al sistema e può essere più o meno impattante”. È ovvio che l’aggettivo “naturale” si debba riferire agli effetti dell’intervento e non alle pratiche utilizzate. La sinteticità del testo, derivante dall’impostazione stessa della scheda, non dovrebbe essere utilizzata per travisarne il senso.

Nella scheda dell’habitat 9210*, così come nelle altre, non viene proposto alcun metodo di gestione ma si forniscono gli indicatori per valutare il ruolo (positivo o negativo) delle attività antropiche sullo stato di conservazione dell’habitat. Non va dimenticato che ampie superfici dell’habitat 9210*, uno dei più estesi in Italia, come attestato in Genovesi et al. ([8]), risultano al di fuori di aree protette e quindi non sono necessariamente soggette a pratiche selvicolturali orientate al ripristino della naturalità. È proprio in questi territori che le buone pratiche selvicolturali potranno giocare un ruolo attivo nella conservazione degli habitat forestali.

In ogni caso, come riportato nella maggior parte delle schede degli habitat forestali, il Manuale di monitoraggio prevede esplicitamente, per la valutazione di questi aspetti, l’affiancamento di un esperto in discipline forestali ([1]).

Per eliminazione della componente arbustiva, anche in questo caso la sinteticità della scheda può aver generato un’errata interpretazione. Infatti non si esprime alcun giudizio sulle pratiche utilizzate ma semplicemente si raccomanda di rilevare ex-post eventuali alterazioni imputabili al tipo di trattamento che possano in qualche in modo incidere sullo stato di conservazione dell’habitat. È ovvio che tali alterazioni, rilevate mediante l’attività di monitoraggio, rappresentano un campanello d’allarme e vanno poi interpretate scientificamente attraverso opportuni strumenti di analisi.

Anche per quanto riguarda il pascolo all’interno del bosco, per quanto possa trattarsi di una pratica vietata e ormai obsoleta, il fatto che esso sia stato inserito tra le criticità da sottoporre a monitoraggio sottolinea la necessità di avere un quadro completo delle attività che di fatto esercitano ancora oggi, in alcuni ambiti territoriali, e degli effetti sullo stato di conservazione.

Per quanto riguarda le strade e le piste forestali, anche in questo caso si fa riferimento a possibili eventi che, pur rappresentando un fenomeno di limitata estensione, potrebbero esercitare impatti negativi che è giusto e necessario prevedere in un protocollo di monitoraggio.

La presenza eccessiva di ungulati selvatici è un fenomeno noto in tutte le regioni italiane comprese le maggiori isole, come è evidenziato ad esempio dai numerosi programmi e progetti pilota per la gestione del cinghiale. Anche in questo caso la scheda si propone di segnalare il problema, raccomandando la raccolta oggettiva di dati sul campo per poi dare spazio alle opportune valutazioni degli effetti del fenomeno sullo stato di conservazione dell’habitat.

Anche per il rischio di erosione del suolo, nella scheda non si esprime un giudizio sulla sua consistenza ma si raccomanda al rilevatore l’attenzione al fenomeno, la cui possibile presenza, più o meno diffusa, viene ammessa dagli stessi Urbinati & Iorio ([14]).

Sulla fruizione turistica è evidente che l’interpretazione data da Urbinati & Iorio ([14]) denota la non volontà di cogliere nella sinteticità della scheda l’esigenza degli autori di evidenziare pochi parametri concreti che mettano il rilevatore nella condizione di annotare eventuale presenza e ruolo dei vari fattori di disturbo. Anche in questo caso, nella scheda non si fornisce alcun giudizio di merito sull’entità del fenomeno, ma si intende fornire al rilevatore la possibilità di segnalare eventuali criticità, per quanto locali o puntiformi, laddove presenti.

Sul tema della frammentazione, la particolare attenzione ai territori collinari è dovuta all’importanza di questi frammenti forestali per la conservazione della biodiversità. L’ampia letteratura relativa ai frammenti di faggete eterotopiche o “depresse” (e non “azonali” - [3]) legati a passate condizioni climatiche, ha già evidenziato il forte valore biogeografico e documentale di questi popolamenti. Tutta la catena appenninica conserva in ambito collinare stazioni eterotopiche (cioè al di sotto dell’abituale quota) più o meno significative ([11], [12], [4], [10], [16]). Molte di queste comunità rientrano nell’habitat 9210* e ne sono esempi paradigmatici e fortemente significativi. Esse necessitano di un monitoraggio altrettanto accurato, da compiersi possibilmente anche negli ambienti contigui.

I box metodologici inseriti nel Manuale di monitoraggio su richiesta di ISPRA hanno la finalità di approfondire alcuni argomenti. In particolare, per quanto riguarda il box 7 ([7]) si tratta di un approfondimento che intende spiegare al vasto pubblico i lineamenti principali delle analisi dendrometriche che, contrariamente a quanto asserito da Urbinati & Iorio ([14]), non hanno alcun valore “diagnostico” ma possono dare un contributo nell’interpretazione della struttura dell’habitat. Laddove tali analisi siano state previste o consigliate, viene contestualmente suggerito il supporto di un esperto forestale che applicherà le metodologie ritenute più congrue ([15]).

Alla luce di quanto esposto, riteniamo che la domanda “Habitat reali o virtuali?” denoti una non comprensione degli scopi del Manuale, visto che il volume non si occupa della diagnosi e del riconoscimento degli habitat - discussione scientifica già avvenuta ([2]) - bensì della costruzione di procedure standardizzate per il loro monitoraggio.

Lo spirito del Manuale è quello di fornire agli operatori uno strumento agile e flessibile, di facile comprensione e applicazione. Per quanto riguarda la futura elaborazione e interpretazione dei dati raccolti e le loro variazioni spazio-temporali, tali aspetti esulano dagli obiettivi del Manuale di monitoraggio, che (come si intuisce dal nome) si pone come un primo passo verso un protocollo nazionale di monitoraggio condiviso da tutte le regioni, come si è verificato anche per le specie vegetali e animali ([5], [13]).

Cogliamo questa occasione per ribadire l’importanza di approcci multidisciplinari, come esplicitamente affermato nelle schede del Manuale di monitoraggio, e per ringraziare I.S.P.R.A. e M.A.T.T.M. per aver promosso un contributo così importante, necessariamente sintetico e implementabile che, ci auguriamo, possa rappresentare un punto essenziale di confronto tra l’accademia, gli operatori di settore e gli enti che a diverso titolo dovranno occuparsi del monitoraggio e della conservazione degli habitat.

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