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Suggestions for sustainable Eucalyptus clonal cultivation in Mediterranean climate areas of central and southern Italy

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 13, Pages 47-58 (2016)
doi: https://doi.org/10.3832/efor2059-013
Published: Oct 14, 2016 - Copyright © 2016 SISEF

Research Articles

Abstract

The cultivation of eucalyptus clones in areas of central-southern Italy with a Mediterranean climate has become necessary in order to meet, albeit in part, the strong domestic demand of woody biomass for energy use (wood chips, firewood, charcoal, pellets). In the last ten years, in fact, Italy has become one of the world’s largest importers of woody biomass for energy use. In our country the eucalyptus can be grown following the principles and methods of planted forest systems. The aim of the present paper is to point out the main problems that this culture can face in the national pedoclimatic context, together with their possible solution. Among the possible solutions, the most sustainable are suggested, which may contribute to both economic and energy savings for the culture and for other human activities. These solutions, widely used in various contexts, are briefly described, and references to the literature of the sector are provided for a deeper insight.

Keywords

Eucalyptus, Planted Forest, Biomass, Clone, Sustainability

Introduzione 

A partire dall’inizio di questo secolo la politica energetica nazionale, per ridurre le emissioni di CO2, ha favorito l’impiego delle biomasse legnose per la produzione di energia calorifica e/o elettrica in sostituzione dei combustibili fossili (carbone, petrolio, gas). Questo fatto ha comportato un progressivo aumento delle importazioni di biomassa legnosa: nel 2013 l’Italia, infatti, ha importato una quantità di assortimenti potenzialmente destinabili a fini energetici prossima a 3.8 milioni di tonnellate, diventando il primo importatore mondiale di legna da ardere, il terzo di pellet a uso civile e di residui e scarti legnosi ([15], [2]). Si tratta di una tendenza ormai consolidata da almeno un decennio ([15]).

È concreto il rischio che l’Italia, nel medio e lungo termine, non possa continuare ad approvvigionarsi di biomassa legnosa sul mercato internazionale, almeno nelle quantità attuali. Si prevede infatti che dal 2025 si avrà a livello mondiale una contrazione dell’offerta di biomassa legnosa, che determinerà problemi di approvvigionamento e forte competizione tra i Paesi interessati a questo tipo di assortimento legnoso ([15]).

In un tale contesto la coltivazione di cloni di eucalitto nelle zone a clima mediterraneo dell’Italia centro-meridionale, più che una opportunità, si configura come una esigenza ineludibile per soddisfare, almeno in parte, la forte richiesta interna di biomassa legnosa per uso energetico (cippato, legna da ardere, carbone vegetale, pellet).

L’eucalitto, pianta di origine australiana, fa parte della nostra flora da più di due secoli. La prima testimonianza scritta infatti risale al 1803 ad opera del Graefer che descrisse alcuni eucalitti presenti nei giardini della Reggia di Caserta. Le piante avevano già qualche anno per cui presumibilmente erano state piantate alla fine del secolo precedente ([1]). In seguito gli eucalitti si diffusero come piante ornamentali e curiosità botaniche nei parchi e giardini nelle ville dell’Italia centro-meridionale e della Riviera Ligure. La prima piantagione di tipo forestale fu realizzata, nella seconda metà del XIX secolo, vicino al Monastero delle Tre Fontane a Roma e, in seguito, altre in varie regioni italiane, principalmente in Sardegna, Sicilia e Campania ([21], [28]).

Fu largamente impiegato nella costituzione di fasce frangivento nel corso delle bonifiche idrauliche, attuate negli anni ’€˜30 del secolo scorso, come quelle dell’Agro Pontino nel Lazio e di Arborea in Sardegna ([42], [53], [22]). Già in questo periodo si pensò ad un uso multiplo, tipico dell’“agroforesteria”: frangivento ma anche produzione di paleria e legna da ardere per la popolazione rurale ([53]). In seguito si sviluppò anche un impiego come pianta mellifera. Negli anni ’€˜50 e ’€˜60 del secolo scorso fu impiegato nella costituzione di piantagioni a scopo protettivo e produttivo in situazione pedoclimatiche in genere molto difficili interessate da fenomeni erosivi, principalmente in Sicilia e Calabria ([6], [21]). L’ultimo intervento massiccio con eucalitto risale ai primi anni ’€˜80 (Progetto Speciale n. 24 per il Mezzogiorno) sempre nelle regioni meridionali (Campania, Calabria, Sardegna e Sicilia). La superficie ad eucalitto in Italia negli anni ’€˜80 era stimata in 72.000 ettari (54.000 ha puri, 18.000 misti con altre specie - [9]). In seguito si è avuta una riduzione di superficie che secondo Gemignani ([19]) alla fine del secolo scorso ammontava a circa 40.000 ettari.

È curioso notare che parallelamente al progressivo disinteresse nell’impiego dell’eucalitto nel nostro Paese, a partire dai primi anni ’€˜80 si assiste invece a un incremento eccezionale della superficie a livello mondiale. Infatti dai 4.000.000 di ettari circa stimati a livello mondiale alla fine degli anni ’€˜70, la superficie si è quintuplicata in circa un trentennio (1979-2009), nel 2009 sono stati superati i 20.000.000 di ettari ([23]). In contemporanea alla crescita esponenziale delle piantagioni, la ricerca, nei paesi dove l’eucalitticoltura è una risorsa economica (Brasile, Congo, Cile, Argentina, Marocco, Portogallo, Spagna ecc)., ha ottenuto risultati importanti che hanno permesso di raggiungere produzioni impensabili fino a poco tempo prima. L’impiego in piantagione di cloni inter-intraspecifici di elevata capacità di crescita selezionati per caratteristiche desiderate sta ormai soppiantando quello di semenzali di specie pura. L’adozione di interventi colturali in grado di favorire lo sviluppo delle piante e al contempo il mantenimento della fertilità dei suoli è ormai consuetudine e in continua evoluzione. Questo ha portato l’eucalitto ad essere un des champions de la biomasse in grado di produrre biomassa per uso energetico e industriale, ma anche legname da opera ([3]), avvicinando sempre più l’eucalitticoltura ad una coltura agricola che segue i canoni tipici dell’arboricoltura da legno più avanzata ([32]).

Nel nostro Paese ci sono i presupposti per operare con l’eucalitto secondo i canoni dell’arboricoltura da legno. Scopo di questo lavoro è evidenziare le principali criticità che questa coltura può incontrare nel contesto pedoclimatico nazionale, con particolare riferimento alla regioni meridionali, e le possibili soluzioni. Tra queste ultime si suggeriranno quelle più sostenibili che nel contempo contribuiscano a un risparmio economico ed energetico per la coltura e per altre attività umane. Tali soluzioni, ampiamente impiegate in vari contesti, verranno brevemente descritte rimandando per gli approfondimenti alla letteratura di settore.

Arboricoltura da legno, non selvicoltura 

Le piantagioni di eucalitto realizzate in passato in Italia avevano in genere una doppia finalità: protettiva e produttiva. In generale, risultati positivi si sono ottenuti per quanto riguarda la protezione del suolo e la regimazione delle acque, ma non si può dire altrettanto per quelli produttivi. Ciò è stato determinato dalle situazioni ambientali, veramente difficili, in cui furono realizzati gli impianti, in genere terreni argillosi poco profondi interessati frequentemente da fenomeni calanchivi ([11] e bibliografia ivi citata, [28]).

Si tratta di una esperienza importante, nel complesso positiva, ma ormai conclusa, l’eucalitticoltura oggi deve essere impostata secondo i canoni dell’arboricoltura da legno.

L’arboricoltura da legno si può definire come la coltivazione con metodi agronomici di specie arboree selezionate per la produzione sostenibile di legname su terreni agricoli eccedentari, intendendo per eccedentari terreni di buona giacitura e profondità (almeno un metro di profondità), per vari motivi, non impiegati per produzioni agricole. Un impianto di arboricoltura è temporaneo e la sua finalitàè quella di produrre elevate quantità di legname per unità di superficie per le attività umane ([10]). Una volta finita la sua funzione può essere rimosso e sostituito da altre colture, se considerato non più necessario.

Un rimboschimento invece ha come finalità la costituzione di una cenosi forestale permanente che, una volta affermata, verrà perpetuata nel tempo con interventi di tipo selvicolturale. Avrà finalità multiple in cui la produzione di legname sarà una delle tante, in molti casi, non la più importante. Più in generale, un bosco o una foresta naturale sono cenosi forestali permanenti in cui gli interventi selvicolturali hanno lo scopo di perpetuarne la continuità nel tempo, assicurando una produzione legnosa, ma al contempo mantenendo la loro biodiversità. Per mantenimento della biodiversità in questo caso si deve intendere non solo la mescolanza di più specie, se presente, ma piuttosto il mantenimento della loro variabilità genetica, che è un aspetto fondamentale per avere soprassuoli in grado di contrastare l’insorgenza di eventuali criticità biotiche o abiotiche (ad es., cambiamenti climatici).

L’arboricoltura da legno in generale, e quindi anche quella con eucalitto, ha una notevole importanza ecologica e ambientale: il legname prodotto con essa permette di ridurre i prelievi dalle foreste naturali, che possono così essere gestite in modo meno invasivo e più conservativo in termini di mantenimento della biodiversità, contrasto alla desertificazione e accumulo di CO2 ([32]).

Nello specifico italiano permetterebbe un miglioramento ecologico-ambientale ed economico di alcuni nostri boschi (ad es., cedui di faggio o di quercia a prevalenza di farnetto) impiegati attualmente solo per prelievi a fini energetici. Questi potrebbero essere trasformati in fustaie, privilegiando le specie di maggior valore economico adatte per legname da opera, migliorando nel contempo il loro ruolo di serbatoi di biodiversità, di sink di CO2 e la qualità paesaggistica. È infatti purtroppo accertato che i prelievi a fini energetici nei nostri soprassuoli sono in continua crescita, nel 2012 sono arrivati a circa il 70% dei prelievi totali nazionali “percentuale che risulta in continua crescita dalla fine degli anni ’€˜70 in ragione del processo di despecializzazione delle utilizzazioni forestali, sempre più indirizzate verso produzioni di minor valore assoluto e minore valore aggiunto rispetto a quello di legname ad uso industriale” ([2]).

Sostenibilità della coltura 

Perché una coltura agricola o forestale sia sostenibile è necessario che la fertilità del suolo, in tutte le sue componenti (strutturale, chimica e organica), si mantenga inalterata nel tempo. Perché questo avvenga è fondamentale che vi siano apporti nel corso del ciclo colturale di sostanza organica, nutrienti e acqua nei suoli.

Gli apporti di queste tre componenti però devono avvenire senza esaurire le fonti di approvvigionamento, altrimenti viene a mancare la “durabilità” nel tempo della coltura. Ad esempio, la concimazione inorganica con fosforo proveniente da giacimenti è da considerarsi non sostenibile o non durevole nel tempo, in quanto destinata a finire con l’esaurimento della fonte di approvvigionamento. Insostenibile nel tempo è anche l’impiego per l’irrigazione di acque di falda in quantità superiori alla loro capacità di ricarica. Sappiamo che tale pratica sta comportando in alcune zone agricole costiere in Italia l’abbassamento delle falde e la conseguente introgressione di acqua marina. Sostanza organica, nutrienti e acqua devono pertanto provenire o dal riciclo di altre attività umane o da un uso della fonte di approvvigionamento in equilibrio con i cicli di accumulo.

Materiale d’impianto e loro caratteristiche 

L’impiego di cloni di eucalitto invece che di semenzali è giustificato dal fatto che i cloni permettono di avere produzioni maggiori e più omogenee per i caratteri desiderati. Nella selezione si possono sfruttare le caratteristiche genetiche additive, come pure quelle non additive. Inoltre nel caso di cloni interspecifici si può sfruttare l’eterosi ibrida che si manifesta quando si combinano parentali di specie diversa. Normalmente la strategia di miglioramento genetico adottata è quella della selezione ricorrente reciproca che permette ad ogni ciclo generazionale di costituire e selezionare cloni con caratteristiche desiderate superiori a quelli della generazione precedente ([32]).

Per quanto riguarda il nostro paese, la strategia di miglioramento genetico portata avanti dal Centro di Sperimentazione Agricola e Forestale di Roma (CSAF) del ENCC/SAF e, alla sua chiusura, continuato dall’Unità di Ricerca per le Produzioni Fuori Foresta (PLF) di Roma del CREA, è stata quella precedentemente accennata per costituire e selezionare cloni ibridi adatti alle situazioni pedoclimatiche mediterranee ([38]).

Le condizioni pedoclimatiche mediterranee sono molto particolari, per cui i requisiti richiesti ad un clone, oltre alla elevata capacità rizogena e di accrescimento, sono molteplici: (1) adattabilità a lunghi periodi siccitosi ma anche al ristagno idrico; (2) adattabilità alla più ampia varietà possibile di terreni, con particolare riguardo a quelli, molto comuni in area mediterranea, argillosi, argillosi limosi, argillosi compatti; (3) resistenza alle alte temperature; (4) fusto il più possibile diritto.

Per ottenere cloni che combinassero queste caratteristiche si è impiegato, come parentali, genotipi di Eucalyptus camaldulensis Dehnh provenienza Lago Albacutya (VIC), la migliore per le condizioni ambientali mediterranee ([26], [20], [37]) e di E. globulus subsp. bicostata (Maiden, Blakely & J.Simm.) J.B. Kirkp, E. grandis Hill ex Maiden, E. viminalis Labill., anch’essi individuati nell’ambito delle migliori provenienze disponibili ([38]).

E. camaldulensis, in generale, e la provenienza lago Alabacutya in particolare, assomma in sé le caratteristiche sopra elencate con l’esclusione della buona forma mentre le altre tre specie risultano avere buona forma ed elevata capacità di crescita. E. grandis ha anche elevata capacità rizogena, mentre E. viminalis e E. globulus subsp. bicostata una discreta resistenza al freddo.

Attraverso un programma di incroci controllati sono state ottenute progenie ibride di E. camaldulensis × E. globulus subsp. bicostata, E. camaldulensis × E. grandis, E. camaldulensis × E. viminalis. Da queste, sottoposte ad una selezione prima per capacità rizogena ed in seguito per accrescimento ed adattabilità, sono stati selezionati cloni con caratteristiche superiori ai parentali. In particolare, i cloni CREA PLF hanno capacità di crescita nettamente superiori a E. camaldulensis (50-100 % in più), buona forma e adattabilità alla siccità, al ristagno idrico e ai terreni argillosi ([38]). Due cloni, Viglio e Velino, entrambi ibridi E. camaldulensis × E. globulus subsp. bicostata sono in attesa di commercializzazione insieme ad altri 8 ([39] - Fig. 1, Fig. 2).

Fig. 1 - Cloni di eucalitto Viglio e Velino del CREA PLF. 1.600 piante ad ettaro, età 2 anni.

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Fig. 2 - Cloni di eucalitto Viglio e Velino del CREA PLF. 800 piante ad ettaro, età 3 anni.

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Purtroppo, la commercializzazione di questo materiale è attualmente bloccata dalla mancanza in Italia di un Registro delle varietà clonali di piante da legno che deve essere istituito dal MiPAAF. Si attende che il MiPAAF risolva in tempi brevi questa annosa questione che riguarda tutte le varietà clonali di piante da legno, non solo quelle di eucalitto.

Questo materiale clonale selezionato deve essere considerato però solo un risultato iniziale e non definitivo. Infatti, la suscettibilità ad attacchi parassitari delle colture clonali, dovuta alla ridotta variabilità genetica del materiale d’impianto impiegato, è una delle principali critiche rivolte a questo tipo di coltura. Questo problema riguarda anche le piantagioni di eucalitto e non solo quelle clonali. Il fatto di essere una pianta esotica ha evitato per molto tempo l’insorgenza di pericolose fitopatie ma, a partire dagli inizi di questo secolo, l’insorgenza di parassitosi nelle piantagioni è pericolosamente aumentata a causa di insetti importati accidentalmente dall’Australia. In questi casi, il problema è stato risolto in modo efficace sostituendo le specie più suscettibili con altre meno attaccate o resistenti (è il caso di E. globulus ssp. in zona mediterranea dove è suscettibile alla Phoracanta semipunctata F.) o, più frequentemente, con la lotta biologica (importazione di parassitoidi). Nella Tab. 1 sono riportati i principali insetti dannosi e i parassitoidi che hanno permesso di contenere gli attacchi a livelli accettabili. Come capita per qualsiasi pianta che ha subito un processo di “domesticazione”, anche per l’eucalitto il contrasto alle fitopatie avverrà sempre di più o con la lotta biologica (insetti) o con il miglioramento genetico (insetti e funghi). A questi andrebbe aggiunto il controllo chimico che però per l’eucalitto è da escludere per motivi economici e più che altro ecologico-ambientali. È pertanto auspicabile che anche nel nostro paese, così come accade nei paesi in cui l’eucalitto è una risorsa economica, si attivino programmi di lotta biologica e di miglioramento genetico permanenti in grado di contrastare le possibili emergenze biotiche che potrebbero nel tempo manifestarsi. I cloni frutto di questi programmi dovrebbero essere il più possibili distanti geneticamente tra loro, frutto di parentali di specie e provenienze diverse. Cloni nuovi di maggior capacità di crescita ed adattabilità e resistenti alle principali avversità abiotiche e biotiche (funghi, insetti) dovrebbero essere selezionati ad ogni ciclo colturale in modo da poter attuare una diversificazione genetica in campo nel tempo (sostituzione dei cloni ad ogni turno) e nello spazio (mosaico di parcelle monoclonali o popolamenti multiclonali - [33]). L’acquisizione di nuove conoscenze nel campo della genetica e delle biotecnologie permetteranno di ottenere sempre più importanti risultati nella costituzione e selezione di nuove varietà clonali.

Tab. 1 - Principali insetti dannosi per l’eucalitto presenti in Italia. Tra parentesi bibliografia italiana di riferimento.

Insetto Annorinvenimento Antagonista Introdotto
in Italia
Phoracanta semipunctata F. ([54]) 1969 - -
Gonipterus scutellatus Gyllenhal 1833 ([4], [48]) 1976 Patasson nitens Girault, 1928 Si
Ophelimus maskelli Ashmead ([5], [56], [8]) 2000 Closterocerus chamaeleon Girault Si
Leptocybe invasa Fisher & LaSalle ([8], [57]) 2002 Quadrastichus mendeli Kim & La Salle Si
Phoracantha recurva Newman, 1840 ([47], [35]) 2003 - -
Glycaspis brimblecombei Moore ([29], [18]) 2010 Psyllaephagus bliteus Riek Si
Thaumastocoris peregrinus Carpintero & Dellape 2006 ([30], [31], [50]) 2011 Cleruchoides noackae Lin & Huber No

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Interventi colturali 

L’eucalitto, come tutte le piante a rapida crescita, nella fase giovanile ha bisogno di notevoli quantità d’acqua per esaltare al massimo le sue potenzialità produttive. Si stima che per produrre un kg di biomassa anidra di eucalitto siano necessari mediamente 300 litri di acqua ([41], [24]). D’altro canto, nelle zone a clima mediterraneo dell’Italia centro-meridionale il periodo estivo, quello in cui le condizioni termiche sono più favorevoli alla crescita, è caratterizzato da lunghi periodi siccitosi e la piovositàè concentrata invece in quello autunno-invernale. Inoltre la piovosità media annua non è elevata, compresa tra 350 e 750 mm, ma con valori più frequenti intorno ai 500 mm ([49], [12]).

Il deficit idrico estivo dovrebbe essere compensato, come capita per molte colture agricole, con apporti irrigui, che però nel caso dell’eucalitto sono improponibili per i seguenti motivi: (1) l’elevato costo non giustificato economicamente dalla coltura; (2) il conflitto che si creerebbe con le esigenze idriche agricole e umane. È inoltre improponibile l’impiego di terreni con falde superficiali raggiungibili dagli apparati radicali, in quanto anche in questo caso si avrebbe un conflitto con le colture agricole. È ipotizzabile pertanto l’uso dell’irrigazione solo per limitati interventi di soccorso localizzati, il più ridotti possibili, di solito nella fase d’impianto per assicurare la sopravvivenza del postime messo a dimora.

Per questi motivi, nell’arboricoltura da legno con eucalitto nel nostro paese in zone a clima mediterraneo, si rende necessaria l’adozione di tecniche tipiche dell’aridocultura per compensare l’improponibilità di ricorrere ad interventi irrigui.

Immagazzinamento dell’acqua nel suolo

La preparazione del terreno prima della piantagione, seguendo le tecniche di aridocultura, diventa fondamentale per favorire l’immagazzinamento dell’acqua nel suolo. Essendo l’eucalitto una pianta arborea, per creare una buona riserva idrica è fondamentale che i terreni abbiano una profondità non inferiore ad un metro ([43]). In questi casi, le lavorazioni del terreno dovrebbero consistere in arature a due strati, specialmente se si tratta di terreni argillosi, da effettuarsi prima della piantagione, per incrementare il volume del terreno atto al contenimento delle riserve idriche, aumentare la porosità totale dello strato utile, facilitare gli scambi idrici e gassosi tra soprassuolo e sottosuolo, e consentire l’aumento dello strato utile di suolo esplorabile dalle radici ([49]). Sempre per favorire l’immagazzinamento delle acque si dovrebbe ricorrere ad una sistemazione del terreno, ben conosciuta ed impiegata in zone a clima caldo arido, che favorisca l’intercettazione delle acque di ruscellamento superficiale e/o quelle di esondazione che si generano in occasione di eventi meteorici di forte intensità ([59], [43]). Ci riferiamo a eventi meteorici, ormai purtroppo frequenti a causa dei cambiamenti climatici in atto, la cui intensitàè superiore alla velocità di infiltrazione dell’acqua nel terreno.

Nella Fig. 3 è rappresentato schematicamente il tipo di sistemazione che dovrebbe essere data al terreno dove effettuare la piantagione di eucalitto. I terreni dovrebbero essere pianeggianti o con pendenza minima (non superiore al 2%), posti in zone di impluvio, perimetrati con un sistema di argini in terra su tre lati, lasciando libero quello posto verso la zona acclive. Gli appezzamenti, così sistemati, possono arrivare a superfici anche di 200 ettari. In tale modo le acque meteoriche di ruscellamento superficiale, bloccate dal sistema di argini, si accumuleranno nell’appezzamento. Stessa sorte subiranno le acque provenienti da corpi idrici in fase di piena, convogliate nell’impianto per mezzo di un argine di diversione. Il sistema apporta mescolati all’acqua anche nutrienti, sostanza organica e terra (frazioni granulometriche di piccole dimensioni), attuando anche una azione fertilizzante.

Fig. 3 - Schema generale di una sistemazione del terreno per la raccolta delle acque di ruscellamento superficiale e di esondazione. (ripreso da [43] e modificato).

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L’adozione di questo tipo di sistemazione dei terreni, se attuata su ampie superfici, può contribuire alla tutela del territorio, riducendo l’azione rovinosa delle acque di ruscellamento superficiale o di inondazione.

Come accade per le casse di espansione, è probabile che si formino veri e propri “laghi”, le cui acque impiegheranno un certo tempo prima di essere assorbite dal terreno. Questo fenomeno non crea in genere problemi all’eucalitto e nello specifico a E. camaldulensis, E. grandis e i loro ibridi che tollerano molto bene il ristagno idrico per lunghi periodi ([45], [36]).

Nei casi in cui la messa a dimora del postime avvenga prima che si sia creata una sufficiente riserva idrica nel terreno è consigliabile l’impiego di idrogel o gel idroretentore. L’idrogel è un policrilammide reticolato usato in agricoltura e in arboricoltura da legno, in grado di assorbire elevate quantità di acqua. Posto a contatto delle radici o del pane di terra (1.5-2 litri di gel idratato per pianta) all’atto della messa a dimora, crea una riserva idrica per le piante che riduce la crisi da trapianto, la mortalità e gli interventi d’irrigazione di soccorso localizzata. In Italia il suo impiego non è molto diffuso in agricoltura ed è sconosciuto nell’arboricoltura da legno. Al contrario, in Brasile viene impiegato con successo da molti anni in eucalitticoltura, rientrando ormai negli interventi suggeriti nella manualistica per questo tipo di coltura ([58], [46]). I risultati della sperimentazione avviata nel nostro paese dal PLF e dalla Unità di Ricerca per l’Ingegneria Agraria (ING) del CREA, ancora non pubblicati, stanno confermando la validità del suo impiego anche nelle nostre situazioni pedoclimatiche.

Riduzione dell’evaporazione dal suolo

La riduzione di perdita dell’acqua immagazzinata nel suolo per evaporazione è un aspetto fondamentale in zona mediterranea ed anche in questo caso è consigliabile l’impiego di pratiche tipiche dell’aridocultura. Si deve infatti attuare una serie di interventi che eliminino la perdita dell’acqua presente nel terreno a causa della traspirazione delle infestanti e dell’evaporazione dal suolo. La pratica del diserbo chimico, di solito con glifosate, nella fase preimpianto è ormai consolidata per eliminare qualsiasi tipo di infestante. Tale pratica prosegue dopo la piantagione irrorando a pieno campo o sulle file delle piante messe a dimora con prodotti antigerminello (oxifluorfen 0.50-0.70 l ha-1 p.a.). Tali prodotti possono essere somministrati anche bagnando le piante, in quanto l’eucalitto ne tollera l’impiego. I trattamenti possono essere ripetuti nel tempo e sospesi quando le piante si saranno affermate. Assolutamente sconsigliato invece è l’uso di glifosate sulle giovani piantine che sono estremamente sensibili al principio attivo. Nelle interfile sono consigliate lavorazioni superficiali dei primi 5-10 cm di terreno con erpice, ripuntatore o fresa a seconda del tipo di terreno. Le lavorazioni superficiali, oltre a eliminare le infestanti, evitano la fessurazione del terreno e ne bloccano la capillarità superficiale, riducendo così la perdita per evaporazione dell’acqua, e inoltre prevengono il rischio di incendi. È importante che questo tipo di interventi vengano effettuati ciclicamente ogni volta siano necessari. Il numero di interventi, di solito, diminuisce quando le piante chiudono le chiome, in quanto l’ombreggiamento riduce lo sviluppo delle infestanti e l’evaporazione dal suolo.

Apporto di nutrienti e sostanza organica nel suolo

La fertilizzazione, intesa come apporto di nutrienti e sostanza organica, nell’arboricoltura da legno con eucalitto ha una importanza basilare. Lo scopo è duplice: incrementare la produzione e mantenere la fertilità dei suoli. Nel nostro paese questo tipo di intervento assume una importanza notevole visto che l’eucalitticoltura ha come potenziale area di diffusione, come già citato, i terreni agricoli eccedentari delle aree a clima mediterraneo. Terreni che, è immaginabile, saranno tra quelli esclusi dalla coltivazione agricola in quanto di scarsa fertilità. Si stima che in una tonnellata di biomassa anidra vi siano orientativamente circa 5-6 kg di azoto (N), 1 kg di fosforo (P), 2 kg di potassio (K), 2 kg di calcio (Ca), 1 kg di magnesio (Mg - [27], [17]). Inoltre, risulta che la percentuale più elevata di nutrienti (70%) è contenuta nelle foglie, nei rami e nella corteccia, che corrispondono a circa il 30 % della biomassa anidra epigea ([27], [51]).

In linea di massima il modello di concimazione che sembra soddisfare meglio le esigenze nutrizionali dell’eucalitto è riconducibile al seguente ([32]):

  1. Concimazione di fondo pre-impianto;
  2. Concimazione di partenza, con prodotti a lenta cessione di azoto localizzata al momento della messa a dimora del postime;
  3. Concimazione di produzione durante il ciclo colturale concentrata principalmente nei primi 3 anni e di compensazione a fine turno dopo il taglio.

Nell’ottica della sostenibilità della coltura, avendo cura di impiegare il meno possibile concimi inorganici di sintesi, la concimazione dei punti 1 e 3 può essere effettuata impiegando sottoprodotti, scarto di altre attività umane, già da tempo impiegati come ammendanti in agricoltura, quali: (1) ceneri di biomassa delle centrali elettriche o di impianti di riscaldamento; (2) liquame zootecnico; (3) digestato di impianti per la produzione di biogas o bioetanolo; (4) acque di vegetazione; (5) fanghi di depurazione urbana; (6) compost. L’impiego di questi ammendanti organici permette risparmi energetici ed economici: (1) si evita l’impiego di concimi di sintesi risparmiando l’energia necessaria per la loro fabbricazione e la conseguente produzione di CO2; (2) si riducono o eliminano i costi di smaltimento per le imprese o gli enti che li producono.

Tutti questi ammendanti contengono N, P, K, Ca e Mg, con l’eccezione delle ceneri dove manca N. La cenere, proprio per la mancanza di N, può trovare miglior impiego nella concimazione di fondo pre-impianto, mentre gli altri ammendanti elencati, per il motivo opposto, nella concimazione di produzione e di compensazione. Se si dispone solo di ceneri, l’azoto potrebbe essere formito inserendo nella piantagione leguminose arboree. Nelle nostre situazioni pedoclimatiche, la specie adatta potrebbe essere Acacia saligna (Labill.) Wendl. che è azotofissatrice. L’azoto nel terreno verrà incrementato attraverso il riciclo della lettiera. Si tratta di un sistema adottato in alcune situazioni all’estero con buoni risultati (una fila di acacia ogni 2-5 di eucalitto) impiegando però altre specie del genere Acacia, come ad esempio Acacia mangium Willd. o Acacia mearnsii De Wild. ([7], [32], [16]). Queste due specie, a differenza di Acacia saligna, sono molto produttive, ma purtroppo non impiegabili nei nostri climi per problemi termici.

È opportuno che la concimazione di produzione venga effettuata nei primi tre anni dopo l’impianto, a causa dell’elevata assunzione di nutrienti da parte della pianta, che comporta un impoverimento nel suolo non compensato dal riciclo attraverso la lettiera ([52], [27]). L’apporto di nutrienti con la concimazione compensa tale squilibrio, permettendo alle piante di immagazzinarli. Questi, a partire dal quarto anno, verranno restituiti al terreno con la lettiera, innescando un riciclo che favorirà, senza ulteriori concimazioni, la crescita delle piante fino alla fine del turno ([52], [32], [27])

La concimazione di partenza invece normalmente viene praticata usando concimi inorganici a lenta cessione (8-12 mesi) che vengono posti nella buchetta sotto la pianta al momento della messa a dimora. Si tratta di prodotti con un alto titolo di fosforo (9+20+8+3.0MgO+0.1B) formulati appositamente per l’eucalitto e latifoglie in genere, in quantità consigliata di 40 grammi per pianta.

Nei paesi in cui l’eucalitticoltura è una importante risorsa economica, si adotta ormai da tempo un sistema di taglio a fine turno che favorisce il mantenimento della fertilità dei suoli e riduce i quantitativi della concimazione di compensazione. Le piante vengono tagliate, sramate, scortecciate e depezzate con mezzi meccanici specializzati direttamente in campo (Fig. 4). Rami, foglie e corteccia vengono lasciati sul posto, e solo il tronco scortecciato viene asportato. In questo modo si lascia in campo circa il 70% e il 30 % rispettivamente degli elementi nutritivi e della sostanza organica presenti nella parte epigea ([27]). Il tutto viene triturato e incorporato nel terreno insieme alla concimazione di compensazione.

Fig. 4 - Mezzo meccanico impiegato nel taglio di eucalitti a fine turno che, dopo aver tagliato la pianta, la srama, la scorteccia e la depezza direttamente in campo.

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Fertirrigazione con acque reflue urbane

La fertirrigazione con acque reflue urbane pretrattate non è una novità in agricoltura e in arboricoltura da legno, non solo nei climi caldo aridi, ma anche in quelli piovosi dell’Europa centrale e settentrionale ([44], [40], [25], [14], [13]). La novità consiste nel metodo innovativo di pretrattamento che si descrive di seguito e che permette notevoli risparmi economici ed energetici.

Le acque reflue urbane sono pretrattate con il metodo di depurazione messo a punto dal Dipartimento di Ingegneria e Fisica dell’Ambiente (DIFA) dell’Università degli Studi della Basilicata (UNIBAS), che riduce il costo di depurazione del 50% nei confronti dei sistemi tradizionali ([34]). Il sistema di depurazione del DIFA lascia in sospensione nel refluo la maggior parte della sostanza organica e dei nutrienti, eliminando così i costi di smaltimento dei fanghi e il processo di separazione dei nutrienti. Il refluo viene poi distribuito nelle piantagioni attraverso un impianto di irrigazione a goccia, permettendo così di somministrare in una unica soluzione acqua, sostanza organica e nutrienti. Il sistema ha ormai superato da tempo la fase sperimentale: gli autori dispongono di più di 15 anni di dati del ciclo completo (prototipo depuratore e fertirrigazione di un uliveto), ed è pronto per l’impiego commerciale.

Il sistema può essere applicato ad impianti di depurazione tradizionali, apportando piccole modifiche, oppure costruendone di nuovi che sono meno costosi dei tradizionali. È implicita la ricaduta positiva: meno spese di costruzione e di gestione, meno spese per la collettività. È bene ricordare che l’Italia è ormai da anni inadempiente per quanto riguarda la depurazione delle acque reflue urbane in un numero elevato di realtà, ed in corso una procedura di infrazione al proposito da parte della Unione Europea ([55]). Quanto proposto potrebbe contribuire alla risoluzione del problema e assicurare elevate produzioni di legname durevoli nel tempo.

Il sistema descritto necessita di terreni pianeggianti o al massimo con pendenze del 5%. Non sono necessarie le sistemazione dei terreni (argini) e gli apporti nutrizionali (ammendanti organici) descritti in precedenza.

Densità d’impianto e turni 

Nel caso precedentemente descritto di un sistema che preveda concimazioni con ammendanti organici e taglio a fine turno con i mezzi meccanici, densità d’impianto e turni sono di fatto obbligati. Per rendere agevole il transito dei mezzi che devono distribuire gli ammendanti in campo è opportuno che la distanza tra le file sia di almeno 4 metri. Inoltre, per il taglio le piante devono raggiungere diametri a petto d’uomo almeno di 20 cm, per cui la densità d’impianto deve essere bassa e i turni di media lunghezza.

Densità di 800 piante ad ettaro (4 metri tra le file, 3 sulla fila), o di 1.250 piante ad ettaro (4 tra le file 2 sulla fila) con turni di 7-15 anni appaiono i più idonei. Anche densità di 1.100 o 1.600 piante ad ettaro (rispettivamente 3 metri tra e sulla fila, e 3 metri tra le file e 2 sulla fila) possono essere idonee, ma necessitano di mezzi per la distribuzione degli ammendanti di dimensioni ridotte, a volte non facilmente reperibili.

La situazione cambia impiegando il sistema di fertirrigazione con acque reflue. Le densità d’impianto e i turni possono essere gli stessi già citati, ma si può anche adottare densità maggiori e turni più brevi.

Se si adottano densità di 5.000-5.500 piante ad ettaro (rispettivamente 2 metri tra le file ed 1 metro sulla fila, e 3 metri tra le file e 0.6 m sulla fila) e turni di 2-3 anni, il taglio deve essere effettuato con cippatrici semoventi a causa delle ridotte dimensioni delle piante (Fig. 5). Foglie, rami e corteccia sono asportati in toto e pertanto anche i nutrienti e la biomassa in essi contenuti. In confronto al sistema precedente, maggiori quantità di nutrienti dovranno essere distribuiti nel corso della crescita delle piante e a fine turno per reintegrare quelli asportati.

Fig. 5 - Cippatrice semovente impiegata per la raccolta della biomassa in piantagioni a elevata densità e turni brevissimi (2-3 anni).

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Un ultimo aspetto da considerare per definire turni e densità sono gli assortimenti ritraibili. Densità elevate pari a 5.000-5.500 piante ad ettaro e turni brevi (2-3 anni) permettono di ottenere solo cippato, che è l’assortimento di minor valore commerciale. Densità comprese tra 1.100-800 piante ad ettaro con turni di 7-15 anni, invece, permettono di ottenere, oltre al cippato, assortimenti di maggior valore commerciale come legna da ardere e legname da lavoro.

Considerazioni conclusive 

L’arboricoltura da legno clonale con eucalitto è possibile nelle nostre aree a clima mediterraneo ed è una esigenza ineludibile per soddisfare, almeno in parte, la forte richiesta interna di biomassa legnosa per uso energetico (cippato, legna da ardere, carbone vegetale, pellet). Si dispone del materiale genetico (cloni) e delle conoscenze per attuarla. È però fondamentale che venga realizzata seguendo i criteri descritti sommariamente nel testo per ottenere buone produzioni e mantenere la fertilità dei suoli.

La sinergia tra eucalitticoltura e altre attività umane comporterebbe benefici per entrambe attuando un risparmio economico ed energetico, contribuendo ad un miglioramento della qualità ambientale.

Progetti pilota di tipo dimostrativo sarebbero auspicabili a tal fine, con lo scopo di mostrare i vantaggi ottenibili con piantagioni clonali di eucalitto gestite con gli interventi colturali descritti in termini produttivi, ambientali e socio-economici. È opportuno infatti tenere presente che l’eucalitto nel nostro paese deve superare una radicata diffidenza, frutto in molti casi di disinformazione.

La ricerca invece dovrebbe riguardare programmi permanenti di lotta biologica e di miglioramento genetico per contrastare eventuali criticità biotiche o abiotiche. A queste dovrebbero aggiungersi ricerche sulle piantagioni clonali riguardanti la capacità di accumulo di CO2, l’evapotraspirazione e il ciclo degli elementi nutrivi pianta suolo. Tali aspetti sono già da tempo studiati all’estero, ma necessiterebbero di approfondimenti nel contesto delle aree italiane a clima mediterraneo in cui potenzialmente diffondere l’arboricoltura da legno clonale con eucalitto.

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