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Forest research in southern Italy: experiences and perspectives

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 8, Pages 228-233 (2011)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0682-008
Published: Dec 19, 2011 - Copyright © 2011 SISEF

Commentaries & Perspectives

Abstract

The paper presents the lectio inauguralis held at the VIII Congress of the Italian Society of Silviculture and Forest Ecology (Cosenza, October 4, 2011). In the first part, the institution of research Centres in southern Italy is analyzed and the main lines of forest research in the Mediterranean area are presented. In the second part, the Author suggests some reflections to foster a new line of scientific research in forestry in the near future.

Keywords

Forest research, Complexity, Complex biological system, Systemic theory, Scientific paradigm

Introduzione 

Chi non rispetta i boschi non ne conosce il valore. Sono il cuore della terra, l’anima del mondo (Pietro Annigoni)

Signor Presidente, desidero ringraziarLa per avermi invitato a svolgere la lectio inauguralis dell’ottavo Congresso SISEF su un argomento che per diversi lustri mi ha visto promotore e partecipe. Le sono poi particolarmente grato perché ciò avviene in questa città dove oltre 40 anni fa iniziai la mia attività di ricerca.

A quanti partecipano e illustrano questo importante evento scientifico e culturale porto il saluto dell’Accademia Italiana di Scienze Forestali che ho l’onore di presiedere.

Nel mio intervento, dopo aver ricordato l’istituzione nel tempo dei Centri di ricerca nel Mezzogiorno d’Italia e indicato le principali ricerche che hanno interessato e continuano a interessare il nostro Meridione e, di conserva, i Paesi del bacino del Mediterraneo, proporrò alcune ipotesi di lavoro per promuovere una innovativa linea di ricerca scientifica in ambito forestale.

L’istituzione di Centri di ricerca nell’Italia meridionale e insulare 

Gli orizzonti erano ampi ed era naturale guardare avanti di un centinaio d’anni, il tempo necessario a una quercia per crescere (Freeman Dyson)

La ricerca in campo biologico forestale e, più in generale, ambientale, assume un ruolo rilevante nei Paesi del bacino del Mediterraneo, dove le modificazioni apportate dall’uomo alle cenosi naturali - trasformazioni di coltura, pascolo eccessivo e incontrollato, incendi, sfruttamento irrazionale - hanno provocato profonde lacerazioni difficilmente rimarginabili. Per di più, il cambiamento climatico e la desertificazione sono fenomeni preoccupanti che, assommandosi agli altri fattori di disturbo, causano l’alterazione degli equilibri dinamici instauratisi nel tempo e la progressiva perdita di biodiversità.

Forse è bene ricordare che fino agli anni sessanta in un’area forestalmente importante qual è il nostro Meridione non esistevano specifici Centri di ricerca. In quegli anni si comprese che lo scarso interesse per il progresso scientifico costituiva un fattore limitante non solo per l’avanzamento culturale ma anche, e soprattutto, per lo sviluppo socio-economico. A questa presa di coscienza si giunse anche a seguito di varie catastrofi, verificatesi in diverse regioni del Sud e in particolar modo in Calabria, che tanti lutti hanno provocato. Catastrofi in gran parte connesse alla vastità delle aree disboscate durante e subito dopo il secondo conflitto mondiale.

La costituzione di Centri di ricerca, universitari e non, ha dato un grande impulso alla ricerca e alla sperimentazione in campo, promuovendo la conoscenza scientifica e tecnica.

Nel 1967, congiuntamente alla riorganizzazione della rete degli Istituti dell’allora Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste (MAF), furono istituite due sezioni operative periferiche dell’Istituto Sperimentale per la Selvicoltura di Arezzo: l’Unità di ricerca per la Selvicoltura in Ambiente Mediterraneo a Cosenza (CRA-SAM) - che ho avuto il piacere di inaugurare nel 1969 e diretto per oltre dieci anni - e l’Unità di ricerca per la gestione dei sistemi forestali dell’Appennino a San Pietro Avellana, in provincia di Isernia (CRA-SFA).

In quell’epoca la Regione Autonoma della Sardegna promosse la creazione della Stazione Sperimentale del Sughero di Tempio Pausania per esaminare le problematiche biologiche legate alla sughericoltura. Per quanto riguarda il Consiglio Nazionale delle Ricerche (C.N.R.), a Cosenza dal 1981 è attivo l’Istituto di Ecologia e Idrologia Forestale, divenuto nel 2001 una Sezione dell’Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo.

In ambito universitario sono stati istituiti sette Corsi di Laurea in Scienze forestali e ambientali. Dapprima presso l’Università di Bari e successivamente a Potenza e a Reggio Calabria; nel 1991 presso l’Università di Palermo e più recentemente nelle Università del Molise, di Napoli e di Sassari. Devo anche ricordare che presso i Corsi di laurea in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio dell’Università della Calabria e presso il Corso di laurea in Scienze Naturali dell’Università del Molise insegnano e svolgono la loro attività di ricerca, dando contributi di assoluto valore, docenti del settore scientifico disciplinare afferente alle scienze forestali.

La sperimentazione e le principali linee di ricerca  

La frontiera di oggi è il limite di domani (John D. Barrow)

L’istituzione di Centri universitari e Istituti di ricerca ha consentito di consolidare a livello nazionale una formazione professionale scientificamente e tecnicamente articolata e di promuovere una sperimentazione puntuale e calibrata in base alle diverse problematiche forestali e ambientali.

Le tematiche di ricerca affrontate hanno preso in considerazione argomenti che sono ancora di attualità. Il tema della realizzazione e gestione dei rimboschimenti, a esempio, è stato ed è tuttora studiato con sistematicità in molte sedi di ricerca e alcune esperienze, come quelle relative alla gestione delle pinete, maturate nell’ambito dei Progetti MEDPINE, sono condivise in sede europea.

Nel complesso, le sperimentazioni svolte nell’Italia meridionale e insulare, oltre ad aver delineato interessanti prospettive riguardo a specifiche problematiche territoriali, hanno tracciato innovative linee guida a carattere operativo.

Più in generale, le principali linee di ricerca sulle quali il nostro Paese fornisce un utile contributo sul piano scientifico e sul piano tecnico riguardano: l’ecofisiologia e l’adattamento della vegetazione al cambiamento climatico; la gestione forestale come strategia di lotta alla desertificazione e alla degradazione dei suoli e come strumento per migliorare la disponibilità delle risorse idriche; la gestione forestale dei soprassuoli di origine artificiale e di quelli di origine naturale e seminaturale; la selvicoltura sistemica; gli inventari; la gestione integrata tra pascolo e bosco; la prevenzione dagli incendi boschivi; le produzioni legnose di quantità e di qualità.

Prospettive per una nuova strategia di ricerca  

Niente è più forte di un’idea per cui il tempo giusto è arrivato (Victor Hugo)

L’Accademia Italiana di Scienze Forestali da sempre è un “laboratorio di idee”. Ritengo quindi utile svolgere alcune riflessioni sull’innovazione nella ricerca. Il progresso scientifico e lo sviluppo sociale richiedono una ricerca moderna, creativa e propositiva che tenga conto della complessità forestale che caratterizza l’area intorno al bacino del Mediterraneo.

Se si considera il bosco un insieme di piante giustapposte o, tutt’al più, un assemblaggio di alberi forestali, ovvero una macchina per produrre legno, allora - entro certi limiti e a certe condizioni - valgono o, meglio, possono valere le ipotesi e i principi della selvicoltura classica. Le difficoltà nascono quando si considera il bosco un sistema biologico complesso. Per spiegare la complessità, e i fenomeni a essa connessi, il vecchio paradigma non può venirci in aiuto. Occorre avanzare altre ipotesi e ricercare altri principi. Fors’anche definire altre convenzioni scientifiche.

Ma attenzione, è noumenale, per dirla con Platone e Immanuel Kant, tutto ciò è valido fin quando anche queste eventuali, nuove e diverse convenzioni non potranno spiegare quello che sta ancora più oltre. Da sempre è - e per sempre sarà - il problema dell’impresa scientifica. Cioè una questione di livelli conoscitivi.

È giunto il momento di considerare il presente non in base al passato, ma in relazione al futuro e di proporre idee nuove e progetti coerenti con i cambiamenti in atto. È necessario rapportarsi al bosco in modo differente. Ovvero come a un sistema vivente che, appunto perciò, ha “valore in sé”. Un sistema la cui anima si manifesta nella sua unicità e, al tempo stesso, nella sua molteplicità. Un sistema biologico complesso il cui “disordine” è un “ordine” non compreso. Un sistema la cui vitalitàè misurata dalla ricchezza della biodiversità.

Ciò comporta il superamento del modello tecnocratico e produttivistico che è ancora considerato nel mondo forestale - italiano e non - come il più consono per conservare o ripristinare l’efficienza della foresta. Ciò costituisce la base per un ampio e articolato dibattito scientifico al fine di delineare una nuova strategia di ricerca dagli sviluppi futuri imprevedibili.

I paradigmi scientifici di riferimento e la complessità dei sistemi viventi 

Se in un primo momento l’idea non è assurda allora non c’è nessuna speranza che si realizzi (Albert Einstein)

Il sapere forestale, si sa, è stato definito e accettato dalla comunità scientifica in base a concetti, principi, teorie, proposizioni, tecniche che fanno riferimento e si connettono al paradigma meccanicistico-deterministico. Per interpretare correttamente i fenomeni naturali connessi alla foresta e le interrelazioni con l’ambiente e la societàè necessario invece orientarsi verso un nuovo processo di conoscenza connesso al cambiamento del paradigma di riferimento. Il che, in termini scientifici, comporta l’adozione del paradigma olistico o sistemico.

La ricerca forestale classica da sempre adotta il paradigma Newtoniano. Il risultato di un qualsiasi esperimento è considerato non influenzato dall’osservatore ricercatore e lo si accetta come indubitabile, immutabile e, appunto perciò, generalizzabile. La “certezza” del risultato ha dominato e continua a dominare l’operatività scientifica e culturale. Consapevolmente o inconsapevolmente, poco importa, si tende a sostenere che la scienza può raggiungere, come amava dire Galileo, una “certezza” in grado di eguagliare quella di Dio.

Nelle assunzioni della ricerca classica si adotta tale paradigma anche perché è il mezzo più comodo e più semplice. Epperò, questo utilizzo fornisce risposte solo e solo relativamente alla conoscenza macroscopica. Pertanto, il suo impiego a fini conoscitivi non è accettabile nello studio della complessità dei sistemi viventi.

Per lungo tempo si è pensato di poter descrivere compiutamente gli organismi e i sistemi viventi con le teorie della fisica e della chimica. Ma poi si è compreso, lo dicono gli stessi fisici, che tali discipline non possono darne una descrizione completa. Uno dei punti fondamentali della cultura positivista è venuto a cadere nel momento in cui ci si è resi conto che la complessità degli organismi e dei sistemi viventi non può essere interpretata e spiegata attraverso tale linguaggio.

Il fisico Giorgio Parisi ([6]) afferma: “Nella fisica Newtoniana la predizione ha un significato forte ma un dominio di applicazione stretto; il linguaggio è matematico e si traduce in un sistema lineare di equazioni differenziali; nella fisica dei Sistemi Complessi: la predizione ha un significato debole ma un dominio di applicazione ampio; il linguaggio non è ancora codificato. Si tratta di un sistema non lineare poiché il sistema si può comportare in modi diversi: molte componenti interagiscono e soggiacciono a forze contrastanti”.

Il motivo è insito nei processi biologici. Il biologo Ernst Mayr ([5]) afferma: “La piena comprensione degli organismi non è assicurata attraverso le sole teorie della fisica e della chimica”. I nuovi filosofi della biologia, egli afferma, non sono e non debbono essere né vitalisti, né finalisti, né deterministi, né riduzionisti.

E a tal proposito il fisico Freeman Dyson ([2]) annota: “Se tentiamo di costringere a forza la scienza all’interno di un’unica visione filosofica come il riduzionismo, ci comportiamo come Procuste che troncava le membra ai suoi ospiti se non stavano nel letto”.

Nel campo della ricerca forestale, e in particolare in quello della selvicoltura, il riduzionismo e il determinismo non sono compossibili con le caratteristiche bioecologiche del bosco. A ogni evento naturale o a ogni azione umana il sistema bosco reagisce determinando una nuova realtà, sintesi di molteplici interazioni e interconnessioni. Una realtà irreversibile, imprevedibile, irripetibile, dunque.

La relazione di incertezza nella valutazione teoretica dei risultati  

Quando le affermazioni matematiche si riferiscono alla realtà, non sono certe; quando sono certe non si riferiscono alla realtà (Albert Einstein)

Se così stanno le cose, la domanda da porsi è come procedere qualora si adotti la nuova linea paradigmatica che peraltro ha ricadute dirette sia sul piano scientifico sia su quello filosofico.

L’interpretazione teoretica di un esperimento relativo a un sistema vivente sottende che l’osservazione-misurazione iniziale sia connessa a una funzione di probabilità. Funzione che dovrà essere tenuta in debita considerazione lungo tutto il corso dello svolgimento dell’esperimento.

Ciò significa che sin dalla preparazione dell’esperimento si deve essere consapevoli che nella valutazione del risultato conseguito c’è sempre e comunque una relazione d’incertezza che per certi versi, e sottolineo per certi versi, può essere rapportata al principio di indeterminazione di Werner Heisenberg ([3]), premio Nobel per la fisica nel 1932.

In un esperimento, quindi, è possibile conoscere l’osservazione-misurazione iniziale e il dato acquisito a distanza di tempo con l’osservazione-misurazione finale. Per converso, quello che non è dato conoscere è ciò che avviene nel sistema in esame nello spazio temporale che intercorre tra l’osservazione-misurazione iniziale e quella finale.

In sintesi, si possono conoscere, seppure allo stato congetturale, i dati acquisiti con le osservazioni-misurazioni, ma non è possibile descrivere ciò che si verifica nel sistema tra i vari momenti dell’osservazione-misurazione. Se il protocollo sperimentale prevede più osservazioni-misurazioni, allora il processo conoscitivo dei fenomeni che avvengono nel sistema si complica ulteriormente anche perché fin dall’inizio il sistema bosco è sottoposto a trauma sperimentale.

Questo è un punto che al momento non è patrimonio culturale di gran parte del mondo scientifico e tecnico forestale, italiano e non. Il motivo è semplice: evidentemente serve un salto di qualità, un “salto sistemico”. Occorre acquisire cioè la consapevolezza che allo stato attuale delle conoscenze nei sistemi viventi non è possibile descrivere ciò che non è descrivibile e non è possibile misurare ciò che non è misurabile.

Un principio che i ricercatori forestali non sono propensi ad accettare perché da sempre convinti che il progresso della scienza avviene nella direzione della comprensione del tutto attraverso la conoscenza delle parti. Il criterio adottato è quello dell’accumulazione di dati su dati nella convinzione che questo sia il solo modo per ampliare la conoscenza.

Ma, come prima osservato, in campo biologico forestale tale criterio non è sufficientemente valido. François Jacob ([4]), premio Nobel per la medicina 1965, afferma: “Si può sicuramente esaminare un oggetto per anni senza mai trarre la minima osservazione d’interesse scientifico […]. Nel procedimento scientifico è sempre la teoria ad avere la prima parola”.

E Claude Allègre ([1]) sostiene: “Senza un modello teorico, un’osservazione o un esperimento non hanno alcun significato. Contrariamente a quanto hanno creduto i naturalisti ingenui, non esiste scienza obiettiva che si accontenti di descrivere e di classificare gli oggetti in attesa che questa accumulazione di fatti finisca per sfociare automaticamente in una sintesi teorica”.

I dati sperimentali possono essere acquisiti, assumere significato, soltanto in funzione di una teoria, dunque. Il che porta a concludere che si deve procedere con il metodo ipotetico-deduttivo, ovvero dall’alto verso il basso, dal tutto alle singole parti.

In breve: nell’interpretazione teoretica dei risultati degli esperimenti sui sistemi viventi sussiste sempre e comunque una relazione di incertezza o principio di indeterminazione. Ciò apre la porta a un nuovo modo di fare ricerca. Nel campo dei sistemi biologici complessi, qual è appunto il bosco, la ricerca ha ben poco a che vedere con i metodi impiegati nella ricerca forestale classica.

Non vi è dubbio che la strada indicata contrasta con il modo di fare ricerca che tuttora è largamente impiegato in campo biologico forestale. Ma è pur vero che una parte importante dei ricercatori forestali ha compreso che occorre preparare ed eseguire gli esperimenti esaminando con estremo rigore le varie nuove problematiche che si pongono sul piano scientifico. Ciò significa che essi stanno prendendo confidenza con il paradigma sistemico.

Si deve pur dire che non è da escludere, anzi è plausibile, che la nostra conoscenza del sistema bosco possa ampliarsi e arricchirsi a seguito dell’enunciazione di nuove ipotesi che per essere accettate devono però essere prima verificate nel reale e successivamente dimostrate in termini formali. Tuttavia, se si vuole descrivere ciò che si verifica in un esperimento a matrice biologica, come prima osservato, tale descrizione è valida solo per l’osservazione-misurazione iniziale e quella finale, mentre non lo è per ciò che si verifica tra i due momenti.

Un passaggio difficile da accettare per molti ricercatori forestali perché ciò comporta un nuovo approccio mentale verso il bosco che non è più considerato un oggetto che fornisce un utile finanziario in tempi relativamente brevi, ma un sistema biologico complesso e, in quanto tale, un “soggetto di diritti”. Il che richiede un cambiamento culturale, filosofico e scientifico come ho teorizzato ormai da oltre venti anni, ma che solo recentemente, e lo annoto con soddisfazione, sta interessando a livello internazionale molti Centri di ricerca e alcune Università.

La ricerca scientifica nel futuro prossimo 

Quanto più esattamente l’ipotesi sarà formulata, tanto più significativa sarà la risposta (Jakob von Uexküll)

La scienza, si sa, ha valore se è in grado di spiegare e di predire. La cultura scientifica dominante è tesa a programmare il futuro sulla base dei dati acquisiti con esperimenti e osservazioni. In selvicoltura le attuali conoscenze non consentono di essere certi che il cambiamento di alcune condizioni non influisca sui risultati. La relazione di incertezza o principio di indeterminazione deriva sia dall’impossibilità nel corso degli esperimenti di descrivere e misurare i processi che si verificano nel sistema sia dal fatto che si opera in ambiente mutevole.

In questi ultimi anni abbiamo raggiunto la consapevolezza che il bosco fa parte dei “sistemi biologici a complessità organizzata”, intendendo con questa espressione quanto proposto da Warren Weaver ([7]) in merito ai sistemi dinamici esistenti in natura, che sono caratterizzati da un considerevole numero di variabili connesse in un tutto organico. I problemi posti da tali sistemi - egli afferma - sono troppo complicati per sottomettersi alle vecchie tecniche del XIX secolo che avevano un successo così evidente nei problemi di semplicità a due, tre o a quattro variabili. I componenti del sistema costituiscono una rete interconnessa di relazioni. Le proprietà dell’intero non sono deducibili da quelle delle parti.

Le soluzioni multiple che accompagnano il bosco nel processo di formazione configurano ramificazioni non lineari di cui occorre tener conto nella definizione degli obiettivi da conseguire, ben sapendo che i meccanismi di retroazione del sistema sono i veri e soli responsabili delle forme e dei ritmi naturali.

Il bosco ha un suo linguaggio nel quale il reale e il possibile non sono dati immutabili. Studiare nel laboratorio bosco è determinante per formulare una serie di ipotesi da valutare e mettere a punto successivamente al fine di elaborare i principi delle discipline biologiche forestali.

Se è vero che la ricerca scientifica è insieme pensiero creativo e visione prospettica che scaturisce da una problematica di natura reale, allora la conoscenza diviene lo strumento preparatorio affinché la ricerca ne determini la soluzione, ma questa non si realizza se prima non si risolve in un problema di pensiero. In altre parole, se prima non si adempie a un lavoro di costruzione di ipotesi. Ed è, appunto, l’uso che si fa delle ipotesi, che costituisce l’elemento centrale della teoria sistemica.

Conclusioni 

La teoria ci aiuta a sopportare la nostra ignoranza dei fatti (George Santayana)

I problemi inerenti la ricerca in ecologia forestale e in selvicoltura sono legati all’influenza del processo che dà vita a una serie di retroazioni del sistema bosco così come previsto dal postulato assiomatico degli ecosistemi. Ciò comporta la necessità di conoscere le innumerevoli variabili connesse alle molteplici interazioni tra organismi e ambiente e l’adozione di una ricerca innovativa, sistemica, in grado di ampliare gli orizzonti scientifici, culturali ed etici.

L’invito che rivolgo ai giovani che si occupano di ricerca è quello di eliminare i grumi culturali che talvolta possono offuscare anche le menti più scrupolose. Per farlo occorre essere creativi, pensare fuori dagli schemi, cancellare quelle idee che acriticamente si ricevono e sistematicamente si ripetono. Un aforisma di Albert Einstein recita: “Dedica mezz’ora al giorno a pensare al contrario di come stanno pensando i tuoi colleghi”.

In breve, bisogna accettare la sfida della ricerca del nuovo con il conseguente ineludibile rischio che ogni sfida comporta. Solo così si potranno provocare quelle che comunemente si definiscono “rivoluzioni scientifiche”.

Mettere l’innovazione al centro del proprio credo costituisce una delle ragioni della cultura forestale che si è formata negli ultimi tempi. Si tratta di un concetto più ampio, che va oltre la tradizionale ricerca e include la sfera legata alla cultura umanistica e all’etica. E in quanto tale va a toccare la qualità degli scienziati ricercatori che si mettono al centro del sistema foresta.

Il successo di questo incontro, che cade nell’Anno Internazionale delle Foreste, risiederà nella capacità di sostenere e promuovere una ricerca che contempli l’esistenza di un rapporto paritario tra bosco e uomo. Rapporto in cui l’uomo si pone come il referente delle necessità del bosco, le interpreta e le asseconda, nella certezza che, come ho ripetuto più volte, il principio fondamentale della scienza è “sapere che ignoriamo”.

Ai giovani scienziati ricercatori forestali ricordo l’importanza del significato scientifico che nella descrizione dei sistemi viventi è fortemente ancorato ai principi che caratterizzano la complessità ecosistemica - autorganizzazione, non equilibrio, non linearità.

Concludo con un mio aforisma che ho assunto come guida nel corso della lunga carriera di ricercatore: “Il bosco è un sistema biologico complesso indispensabile per rendere vivibile il presente e possibile il futuro”. In questa consapevolezza risiede la speranza di nuovi importanti successi della ricerca scientifica forestale.

References

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