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Thoughts on minimum standards for scientific research

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 6, Pages 50-52 (2009)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0574-0006
Published: Mar 25, 2009 - Copyright © 2009 SISEF

Editorials

Abstract

The evaluation procedures for scientific research applied by the Alma Mater University of Bologna are described as a possible example for wider application in Italian universities. In particular, an illustration is provided of the advantages and limits of the ISI Journal IF in the evaluation of the setting of minimum standard requirements for different scientific fields.

Keywords

University, Evaluation, Research, Criteria, Impact factor

 

Sembra ragionevole che l’AISSA cerchi una risposta comune e condivisa alla richiesta da parte del MIUR di definire requisiti minimi dell’attività di ricerca. Non si possono, tuttavia, nascondere o comunque sminuire le difficoltà di trovare un accordo tra aree disciplinari diverse per impostazione teorico-metodologica e per tematiche trattate.

Il mio obiettivo è di dare un contributo alla discussione partendo dall’esperienza ultradecennale dell’Osservatorio della ricerca dell’Università di Bologna, che ha portato alla creazione dell’Anagrafe della ricerca d’Ateneo e del relativo sistema di valutazione. Nonostante l’estrema eterogeneità della produzione di una comunità scientifica numerosa e complessa (23 facoltà, 70 dipartimenti e 3250 docenti), l’Alma Mater ha scelto di adottare un approccio unitario di valutazione di cui cercherò di esporre per grandi linee la struttura. Il primo passo consiste nella identificazione e rilevazione dei diversi contributi scientifici: tipo di prodotto (monografia e trattato scientifico, capitolo di libro, articolo su rivista, atto di convegno, brevetto ecc.), autori, titolo, sede editoriale. Un problema ricorrente è quello di distinguere il contributo in forma estesa dal summary, distinzione che non è sempre agevole e non equivoca in quanto il testo nella forma estesa può variare a seconda dell’ambito disciplinare da una lunghezza minima di 2 fino a 10-20 pagine e oltre. Per comprendere la dimensione del problema della identificazione e rilevazione, che richiede non pochi controlli sulle dichiarazioni degli Autori allo scopo di evitare sempre possibili errori e duplicazioni, è sufficiente pensare che l’osservatorio di Bologna tratta annualmente oltre 20000 prodotti, di cui più della metà sono rappresentati da articoli su rivista. La valutazione è basata su di una griglia che consente di classificare ogni tipo di prodotto in cinque classi (AA, A, B, C, D). Per tutti gli ambiti disciplinari, le diverse classi devono esprimere lo stesso grado di selettività, mentre i criteri di assegnazione alle classi possono differenziarsi. Una differenziazione sostanziale tra le aree scientifiche e quelle umanistiche è rappresentata dai diversi criteri utilizzati nella valutazione degli atti di convegno e degli articoli su rivista. Per la prima, gli atti di convegno hanno una rilevanza secondaria (categorie C e D), per la seconda possono raggiungere anche l’eccellenza (A e B). Ma la maggiore differenziazione consiste nell’uso di indici bibliometrici, in particolare dell’Impact Factor (IF) nella valutazione degli articoli su rivista. Per l’area scientifica è generalizzato l’uso dell’IF come misura dell’eccellenza della sede editoriale. Per ciascuna categoria ISI, le riviste sono classificate dall’Osservatorio della Ricerca in A, B o C a seconda che il relativo IF ricada nel primo, secondo o terzo terzile. Bisogna rimarcare che circa il numero di riviste con IF e alle frequenze di pubblicazione (mensile, trimestrale, semestrale) esiste una grande variabilità tra le diverse categorie. Nelle aree scientifiche, le riviste non classificate dall’ISI vengono, di norma, valutate dall’osservatorio nelle classi C e D, in relazione al prestigio della sede editoriale e della diffusione. L’area umanistica, nella quale l’uso dell’IF è assente o sporadico, fissa autonomamente propri criteri di valutazione delle riviste, che devono rispondere a requisiti di selettività e comunque non entrare in contraddizione con i criteri ISI, qualora esistenti.

Relativamente alle monografie e ai capitoli di libro è prevista per tutte le aree una notevolissima varietà di classificazione, che va dall’estrema importanza (AA) alla valutazione marginale (D), anche se si rileva che questo tipo di contributo scientifico è maggiormente diffuso e apprezzato nell’ambito delle discipline umanistiche e sociali. Certamente ci sono sedi editoriali di elevato prestigio nazionale e internazionale, che possono garantire la qualità del contributo, ma in non pochi casi la medesima casa editrice può pubblicare lavori di valore scientifico molto diverso.

Pertanto, per i libri e le monografie, come per gli atti di convegno, non è sempre agevole trovare parametri oggettivi e generalmente condivisi, per cui è spesso necessario ricorrere a valutazioni specifiche del singolo contributo. Nell’anagrafe della ricerca di Bologna, la valutazione individuale interessa meno della metà di tali prodotti.

I criteri di classificazione dei prodotti della ricerca finora esposti hanno carattere di generalità, ma richiedono una diversa applicazione a seconda delle finalità della valutazione.

L’Osservatorio della ricerca di Bologna calcola un indicatore della produttività scientifica attribuendo pesi diversi alle cinque classi comprese nella griglia di valutazione, mediati con coefficienti di proprietà in relazione al numero degli autori per singolo prodotto e di opportuni correttori che tengono conto della produttività scientifica delle singole aree CUN dell’Ateneo bolognese.

Veniamo ora alla valutazione dei requisiti minimi ministeriali, che possono essere definiti per diversi scopi: idoneità a partecipare ai giudizi comparativi per l’accesso alla carriera universitaria; idoneità all’elezione nelle commissioni di concorso; avanzamenti di carriera.

Nel primo caso, il procedimento di valutazione riguarda la produzione scientifica dell’intera carriera del candidato. A mio parere l’accertamento dei requisiti minimi dovrebbe essere sottratto alla soggettività delle singole commissioni di concorso e quindi, oltre che rispondere alle caratteristiche di obiettività, correttezza e trasparenza, dovrebbe essere basato su procedure molto semplici, quasi automatiche. I requisiti minimi riguardano esclusivamente la rilevanza della sede editoriale in cui appaiono i contributi scientifici e non possono in alcun modo servire per stabilire ranking di merito, compito che è legittimamente e opportunamente affidato alle Commissioni incaricate dei giudizi comparativi. Tali giudizi giustamente prendono in esame la validità scientifica e l’originalità oltre che una svariata serie di elementi della carriera accademica, in primis l’attività didattica. Data questa premessa, pur dando per scontato che tutti i prodotti della ricerca, e non solo, sono indispensabili per la formulazione di un corretto giudizio comparativo, mi sembra opportuno ancorare la verifica del requisito minimo ai prodotti trasversalmente più diffusi e omogenei e più facilmente misurabili. Quindi per i settori disciplinari rappresentati nell’AISSA, certamente gli articoli su rivista devono avere un ruolo principale se non esclusivo. Per molti settori l’IF rappresenta, per le sue caratteristiche di referenzialità allargata e di facile accesso, un elemento imprescindibile pur con tutti i noti limiti. Per alcuni settori disciplinari rappresentati nell’AISSA, che dispongono di un ridotto numero di riviste classificate dall’ISI (nove ciascuna per Agricultural Economics & Policy e Agricultural Engineering), sembra opportuno considerarne anche alcune senza IF, purché selezionate con criteri obiettivi, razionali, trasparenti, coerenti e non contradditori con quelli ISI (diffusione internazionale, referaggio ecc.), secondo le indicazioni provenienti dalle relative comunità scientifiche. Si tratterebbe di eccezioni giustificate, che però non dovrebbero ridurre lo sforzo dei singoli settori disciplinari per acquisire un’adeguata base editoriale, internazionalmente riconosciuta e certificata.

Per la valutazione dell’attività di ricerca ai fini degli scatti stipendiali e per l’idoneità a partecipare alle commissioni di concorso, la valutazione deve necessariamente essere limitata all’attività svolta in un periodo limitato di tempo (presumibilmente l’ultimo triennio o quinquennio) e sembra, quindi, opportuno estendere l’analisi a tutti i tipi di prodotto scientifico derivanti dall’attività di ricerca.

È indubbio che la definizione di requisiti minimi a diversi livelli pone in primo piano l’esigenza di realizzare un’anagrafe nazionale della ricerca e un sistema di valutazione basato su principi molto seri e solidi. Il punto di partenza potrebbe essere l’archivio costruito per il finanziamento dei PRIN.

L’esperienza maturata nell’Università di Bologna evidenzia il grande impegno e sforzo organizzativo richiesto e come la cultura della valutazione necessiti di opportuni tempi di maturazione. Solo il confronto costi-benefici porta all’accettazione anche degli inevitabili limiti e imperfezioni insiti in ogni esercizio di valutazione e alla consapevolezza che il meglio è nemico del bene.

Conclusione un po’ amara: sarebbe stato meglio che l’attenzione alla valutazione della ricerca fosse scaturita più da un’esigenza interna di autoregolamentazione che da richieste ministeriali.

 
 
 

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