Standards in coppice woods: current release rules are appropriate?
Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 6, Pages 56-65 (2009)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0572-006
Published: Mar 25, 2009 - Copyright © 2009 SISEF
Commentaries & Perspectives
Abstract
The scientific research has proved how the plentiful presence of standards in the coppices discourages the shoots ’s ability to plunge again and the young survival of the shoots and of the seed plants; with no standards or with grouped standards better results came out.
Keywords
Premessa
Per il trattamento dei boschi cedui le varie leggi e/o regolamenti, che hanno fornito prescrizioni riguardo al rilascio di matricine, hanno generalmente indicato l’obbligo di rilasciare un numero di piante provenienti da seme o, in mancanza di queste, di polloni (ed è questo il caso che in definitiva si presenta) superiore a quello che la letteratura scientifica ([26]) ha in più occasioni indicato.
Con questo studio si intende discutere il modo con il quale si è pervenuti a questa situazione ed esporre un diverso metodo di affrontare il problema della matricinatura.
Per la gestione dei boschi il principio della conservazione della biodiversità e dello sviluppo sostenibile, così come sanciti dalle Conferenze di Rio De Janeiro e di Helsinki, è stato codificato in Italia con l’art. 1, comma 1 e 2, e con l’art. 6, comma 1, del D.Lgs. 227/2001 relativo all’orientamento e modernizzazione del settore forestale.
In sintesi la gestione sostenibile deve salvaguardare e migliorare la funzionalità complessiva del bosco nei suoi aspetti economici (produzione, rinnovazione, infrastrutture connesse), ecologici (biodiversità, equilibrio fitosanitario, difesa del suolo, contributo al ciclo del carbonio) e sociali (tutela dei lavoratori, paesaggio, fruizione pubblica della foresta).
Il principio della gestione sostenibile ha posto per i boschi cedui due interrogativi:
- il sistema ceduo può considerarsi una gestione sostenibile?
- l’attuale meccanismo di rilascio delle matricine, che sono una componente del sistema ceduo, è ancora valido?
Il governo a ceduo, di per sé, non porta alla distruzione del bosco; l’ambiente, temporaneamente alterato dal taglio a raso, è ricostituito nel giro di pochi anni ([22], [32]).
Il degrado dei boschi cedui - perdita di fertilità, mortalità delle ceppaie, assenza di rinnovazione da seme - è stato quasi certamente determinato o favorito da altri fattori, come la coltura agraria ed il pascolo subito dopo il taglio, la raccolta della lettiera e della legna secca e l’incendio, che hanno interagito negativamente con la ceduazione a turni brevi ([28], [29], [30]).
Cambiare forme di governo con gravi sacrifici finanziari per lunghe attese, per poi ricavare a fine turno legna da ardere, appare un non senso.
In letteratura si dà per scontato che il sistema ceduo può considerarsi, in linea di principio, una gestione sostenibile se, ovviamente, ne vengono rispettati i presupposti ([10], [12]).
Regolamenti forestali
La prima legge dello Stato unitario 3917/1877 prevedeva, per la tutela del boschi, due distinti regolamenti, dei quali uno (Prescrizioni di massima) dettava norme per la coltura silvana e per il taglio dei boschi ed era approvato dal Comitato Forestale (art. 4) e l’altro (Prescrizioni di polizia forestale), disciplinava tutte quelle attività (accensione di fuochi, depositi di legnami, movimenti di terreno, pascolo, ecc.) che potevano causare danni ai boschi ed era proposto dallo stesso Comitato, approvato dal Consiglio Provinciale e reso esecutivo dal Ministero Agricoltura, Industria e Commercio (art. 24).
Le normative furono confermate dalla legge Luzzatti 277/1910. Nel Testo Unico 3267/1923 con l’art.10 i due regolamenti furono unificati e sono oggi noti come Prescrizioni di Massima e di Polizia Forestale.
Il primo schema in applicazione del Testo Unico fu redatto dal Ministero dell’Economia Nazionale nel 1927; un nuovo schema fu redatto nel 1957, successivamente nel 1963 modificato da una Commissione di Studio formata da tecnici e giuristi ([14]).
Con l’istituzione delle Regioni sono stati emanati nuovi regolamenti a carattere non più provinciale, ma regionale.
Per quanto riguarda il ceduo le Prescrizioni di Massima, sia secondo lo schema originario del 1878 che quelli successivi del 1927 e del 1963, prevedevano un numero minimo di matricine da rilasciare abbastanza limitato: 20-50 fusti (formati da piante da seme o da polloni), a seconda delle specie.
In effetti il Corpo Forestale dello Stato prescriveva, in sede di autorizzazione al taglio, un numero superiore di matricine, in contrasto con i regolamenti, per fare aumentare la massa legnosa da destinare a legname da opera, sia nel periodo dell’autarchia ed in quello successivo bellico (1930-1945) sia nei decenni successivi, allorché la crisi dei combustibili vegetali mise in difficoltà il sistema ceduo ed il legname da opera, ricavabile dalle matricine, aveva un buon collocamento sul mercato (traverse ferroviarie, tronchetti per imballaggio, ecc.).
Un notevole incremento all’aumento della matricinatura è stato dato dall’applicazione erronea della legge 431/1985, nota come legge Galasso, oggi transitata nel Nuovo Codice dei beni culturali e dell’ambiente approvato con D.Lgs. 42/2004, modificato con i D.Lgs. 157/2006 e 63/2008.
Notevole è stato il disorientamento provocato dalle circolari n. 37390 del 17.12.1985 e n. 24679 del 4.8.1988 della Direzione Generale per l’Economia Montana e per le Foreste ([15], [16]). In tali circolari (di cui la seconda è un aggiornamento della prima) da un lato si sottolinea l’opportunità di “esaminare la situazione reale” che, per effetto della cessazione delle utilizzazioni, può “rendere sconsigliabile” la ceduazione ed opportuno, invece, il “trattare questi boschi …come fustaie”, dall’altro, sempre dopo aver fatto un “esame obiettivo della situazione reale, raccomanda attenzione al rilascio di un numero adeguato di matricine di più turni…”
Conseguenza di tali indirizzi è il caso della Regione Umbria, ove sono state mediamente rilasciate, rispettivamente per i boschi degli Enti e dei privati, 200 e 270 matricine, con variabilità da 170 a 470 soggetti ([3]).
L’eccessivo numero di matricine, in conseguenza della riduzione della radiazione solare, ha ostacolato la capacità di ricaccio delle ceppaie, l’accrescimento dei polloni, l’eventuale rinnovazione da seme e dalle radici e la possibilità di sostituire le ceppaie vecchie e non più attive con il rigetto dal ceppo delle matricine tagliate, con la conseguenza di causare la riduzione della produzione e la diffusione di specie più tolleranti dell’ombra (carpinella e orniello), meno produttive.
Si è voluto quindi attribuire empiricamente all’aumento del numero delle matricine la funzione paesaggistica (vedi circolari sopra citate), privilegiandola senza salvaguardare le altre, con risultati opposti a quelli sperati.
Tale pregiudiziale, non confortata da riscontri oggettivi, appare viziata da irragionevolezza secondo reiterata giurisprudenza, in quanto la tutela del bene paesaggistico nei suoi aspetti estetici non deve prescindere dal bilanciamento con altri valori ed interessi coinvolti, legati all’economia, allo sviluppo del territorio ed alla salvaguardia ambientale ([9]).
Fra tanti autori, che hanno documentato l’inadeguatezza delle matricine, soprattutto di quelle numerose, alle funzioni attribuite si segnala Zanzi Sulli ([38]), che afferma: “le matricine non possono assolvere la funzione loro attribuita dalla cultura forestale e di conseguenza, non sono essenziali né per aumentare la densità della produzione agamica né per la sostituzione delle ceppaie esaurite”.
Recentemente Giovannini ([18]) ha rilevato che in un bosco di roverella in Provincia di Firenze a distanza di 22 anni dal taglio di ceduazione nessun semenzale, presente al momento del taglio o nato dopo il taglio, ha raggiunto l’altezza di 1 metro, per cui mette in discussione la rinnovazione naturale da parte dei semenzali, “ai quali viene assegnato un ruolo che in realtà difficilmente potranno svolgere”.
L’Istituto Sperimentale per la Selvicoltura di Arezzo ha recentemente eseguito un’interessante ricerca sulla selvicoltura sostenibile nei boschi cedui a prevalenza di cerro.
Dai risultati della ricerca è apparsa del tutto discutibile la funzione di tipo protettivo che si è voluta attribuire alle matricine negli ultimi decenni, con un aumento del loro numero, non suffragata da riscontri oggettivi ([13]).
In Francia il Codice di Buone Pratiche Selvicolturali della regione Languedoc-Roussillon, una specie dei nostri piani di indirizzo forestale previsti dall’art. 3, comma 1, del D.Lgs. 227/2001, derivato dall’omologa legge francese d’orientamento del 2001, considera il rilascio ogni 10 metri ed anche più di piante isolate nei cedui di specie mediterranee da tutti i punti di vista un non senso ([5] ).
Nell’introduzione ad analogo Codice della Regione Provence-Alpes-Côte d’Azur si prescrive che il rilascio di matricine isolate nei cedui di leccio e di roverella non ha giustificazione selvicolturale ed è contestabile in termine paesaggistico. È preferibile il rilascio a ceppaia intera, a gruppi o di soggetti a chioma ampia ([35]).
Il progetto RECOFORME (Regione Umbria - Agence Publique du Massif des Alpilles) per la gestione dei cedui a prevalenza di leccio in ambiente mediterraneo ha messo in evidenza la mancanza di un ruolo significativo delle matricine per generare nuove piante, la capacità di generare nuove ceppaie dall’emissione di polloni radicali e la scarsa efficacia per la difesa del suolo ([23]).
Soluzioni alternative
Perrin ([27]) riferisce che l’effetto nocivo dell’ombreggiamento delle matricine sulla rinnovazione agamica era stato segnalato in Francia fin dal 1772 da Duhamel Du Monceau, il quale consigliava di localizzare le matricine lungo i confini e per piccoli gruppi all’interno della tagliata, delle dimensioni pari al doppio dell’altezza massima delle piante (m 18-20) e quindi della superficie di 10-12 are.
Tale pratica, sempre secondo Perrin, era ancora applicata negli anni ’50 del secolo scorso con successo in Alsazia e in alcune regioni del Centro-Ovest.
Nei regolamenti forestali italiani prevale il criterio del numero e della distribuzione uniforme su tutta l’area; il rilascio a gruppi è previsto in via subordinata nei casi in cui particolari specie non resistono all’isolamento (Fig. 1 e Fig. 2), con preferenza per le zone ove la loro presenza può meglio assicurare la rinnovazione del bosco ([14]).
Fig. 1 - Modesto gruppo di matricine, probabilmente di faggio, in alta montagna, determinato dalla necessità di tutelare le piante dai venti (da [24]).
Fig. 2 - Matricinatura a gruppi tradizionale in un bosco di cerro in Borgo Val di Taro (PR), di scarsa funzionalità, all’infuori della reciproca protezione delle piante dal vento (da [11]).
In genere nei regolamenti redatti dalle Regioni si sono seguite le modalità delle prescrizioni ministeriali, ma con un aumento quasi generalizzato del numero delle matricine, con risultati poco convincenti (Fig. 3).
Fig. 3 - Matricinatura tradizionale a piante singole in un ceduo di castagno in Comune di Conca della Campagna (CE). Si notano matricine soprannumerarie, filate, con chioma carente o asimmetrica.
Solo la Regione Umbria con il regolamento n. 7/2002 ha dato le prime prescrizioni sul rilascio delle matricine a gruppi (Art. 30); i gruppi debbono avere larghezza minima non inferiore alla metà dell’altezza media delle matricine, misurata al piede degli alberi posti ai margini del gruppo e la distanza fra gruppo e gruppo, misurata dalle proiezioni delle chiome esterne, deve essere compresa fra una volta ed una volta e mezza la stessa altezza.
Il rilascio delle matricine a gruppi è stato poco praticato nel passato, anche se molti tecnici si sono espressi favorevolmente per il loro rilascio, come Pavari ([26]), SILTEM ([34]), Gori Montanelli ([19]), Perrin ([27]), Avolio ([1], [2]), Cappelli ([8]), IPLA ([21]).
I rilasci delle matricine a gruppi, dei quali si è potuta avere la documentazione fotografica, sono di modesta entità e sono stati condizionati dalla preoccupazione, non verificata sperimentalmente, di lasciare senza protezione ai fini idrogeologici aree troppo ampie (Fig. 4 e Fig. 5).
Fig. 4 - Un modesto gruppo di matricine di castagno in Comune di Conca della Campania (CE), dopo il taglio del ceduo nell’anno 2002, condizionato, secondo autorizzazione, dal timore di scoprire troppo il terreno ai fini idrogeologici.
Esperienze eseguite in Umbria con il rilascio di matricine a gruppi di una ventina di piante hanno messo in luce i seguenti vantaggi: maggiore stabilità e minori difetti derivati da un brusco isolamento delle piante, creazione di microhabitat, maggiore vigoria della rinnovazione, maggiore diversità biologica vegetale nelle aree tagliate e maggiore diversità biologica animale nei gruppi, semplificazione e minori danni nelle operazioni di esbosco ([20] - Fig. 6).
Fig. 6 - Un più consistente gruppo di matricine di cerro, secondo il progetto SUMMACOP, ripreso nell’anno 2002. I gruppi sono troppo ravvicinati e quindi con scarsa funzionalità.
Nell’ambito della stessa esperienza è risultato che in seguito alla più numerosa e più rigogliosa rinnovazione agamica, già al secondo anno dal taglio, le precipitazioni sono state intercettate in quantità simili a quelle del bosco prima del taglio ([37]).
Da una recente ricerca dell’Istituto Sperimentale per la Selvicoltura di Arezzo è risultato che un eccesso di copertura determina effetti deprimenti sulla rinnovazione agamica con la riduzione della capacità di ricaccio delle ceppaie, sulla sopravvivenza giovanile dei polloni e della rinnovazione da seme a causa della riduzione della radiazione solare.
Delle quattro tesi messe a confronto (assenza di matricine, 50 matricine, 140 matricine, matricinatura a gruppi di dimensioni variabili da 7 ad oltre 200 m2) i migliori risultati, in termini di rinnovazione agamica e da seme, sono stati ottenuti dalle tesi “assenza di matricine” e “matricinatura a gruppi” ([7]).
Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare con Decreto in data 17 ottobre 2007 sui criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone Speciali di Conservazione (ZSC) e a Zone di Protezione Speciale (ZPS), ha elencato, solo per le ZPS, fra le attività da favorire, “il mantenimento degli elementi forestali di bosco non ceduato, anche di parcelle di ridotta dimensione, nei pressi di bacini idrici naturali e artificiali e negli impluvi naturali”.
Codificazione, abbastanza ovvia, che andava eventualmente estesa all’interno delle tagliate ed alle aree ZCS; in alcuni casi è stata adottata la pratica di rilasciare, da almeno 20 anni, anche fuori delle aree protette, fasce intatte di bosco lungo gli impluvi ed i corsi d’acqua, senza che questa prassi fosse stata imposta dall’autorità forestale.
In Corsica nei cedui di leccio è ormai diventata pratica consolidata, dopo l’abbandono della matricinatura a piante singole (Fig. 7 e Fig. 8) il rilascio di pochi gruppi di matricine per ettaro, della superficie minima di 200 metri quadrati ([25], [36], [6]).
Fig. 7 - Schema di rilascio tradizionale di matricine singole di leccio in Corsica, sconsigliato dall’autorità forestale, perché non favorisce la rinnovazione per mancanza di luce e non tutela a sufficienza il terreno dall’erosione, facendo perdere alla tagliata gran parte del suo potenziale di rinnovazione ([25]).
Fig. 8 - Schema di rilascio di matricine di leccio a gruppi in Corsica, della superficie di 200 m2, lungo i confini e all’interno della tagliata, consigliato dall’autorità forestale, con il fine di assicurare meglio la rinnovazione da seme e dalle ceppaie. È consigliato il rilascio di 2 gruppi per ettaro ([25]). Goulottes = canalette.
Presupposti tecnici
Nei boschi cedui la rinnovazione vegetativa è assicurata dall’emissione di polloni al di sotto della sezione di taglio della pianta madre dalla gemme precostituite, dette anche proventizie o dormienti; se il taglio della pianta è ben fatto ed effettuato ad un altezza non superiore ai 4-5 cm, i polloni nati formeranno un sistema radicale proprio, affrancandosi dalla piante madre.
Per alcune specie, tra cui faggio, cerro, leccio, tiglio, ontano, si verifica l’emissioni di polloni dalle radici superficiali, ad una distanza anche di 15 metri dalla pianta madre (matricina o ceppaia), quando per un qualsiasi trauma del fusto o della chioma s’interrompe il legame fra apparato radicale e parte aerea della pianta o della voliera (ossia di tutti i polloni di una ceppaia) ed il suolo è abbondantemente illuminato. Le radici, disconnesse dalla pianta madre, restano prive di organi sintetizzanti e quindi con la scorta delle riserve ancora disponibili (glucidiche o ormonali) sono indotte ad emettere nuove strutture aeree ([4], [31]).
La rinnovazione vegetativa è possibile solo in condizioni favorevoli di radiazione solare, che diventa quindi un fattore indispensabile, anche se non sempre sufficiente ([31]). Per Roussel ([33]) l’acido indolo 3-acetico, che regola vari processi di accrescimento secondo la sua concentrazione, gioca, nella rinnovazione agamica, un ruolo determinante. Tale auxina, allorché nei tessuti della pianta viene modificata nella concentrazione per ossidazione, in misura proporzionata alla radiazione solare ricevuta in seguito all’azione contrastante delle operazioni di taglio (maggiore radiazione) e di rilascio delle matricine (minore radiazione), stimola la comparsa di polloni proventizi al di sotto della sezione di taglio, di getti epicormici sul tronco delle matricine bruscamente isolate e, secondo le specie ed in particolari casi, anche di polloni radicali.
Dispositivo del rilascio delle matricine
Il dispositivo che si ritiene utile proporre nel caso dei boschi di proprietà comunale, ove l’assegno delle matricine è fatto dal tecnico forestale prima dell’inizio delle operazioni di taglio, prevede la distribuzione delle matricine nella tagliata a gruppi più o meno grandi, da non diradare, da non decespugliare e da non ripulire del legno morto, a terra o in piedi. Per gruppo si intende una porzione di bosco, di estensione e forma non codificata, lasciata intatta al momento del taglio, come dotazione di matricine nel ceduo ([7]).
I gruppi potranno avere forme e distanze diverse, a seconda della struttura del soprassuolo oppure a superficie costante, di superficie direttamente proporzionale all’altezza dei polloni dominanti ma di almeno m2 200 e ubicazione sistematica e sfalsata, alla distanza di m 50 da centro a centro (nei boschi uniformi), in modo da ricoprire almeno l’8 % della superficie.
In un recente assegno effettuato in Provincia di Caserta (Fig. 9) si è preferito il rilascio sistematico al fine di poter impiegare i rilievi eseguiti per il calcolo della massa legnosa ricavabile dal taglio, con una riduzione parziale delle spese di assegno, che risultano maggiori rispetto al rilascio a piante singole ([17]).
Fig. 9 - Rilascio di matricine a gruppi di cerro e farnetto, della superficie di 200 m2, secondo il dispositivo illustrato nell’articolo, in Comune di Vairano Patenora (CE), eseguito nell’anno 2008 prima del taglio del ceduo. Nessun intervento è previsto all’interno del gruppo.
Non si esclude che possa essere lasciata, se non inclusa in numero sufficiente nei gruppi, qualche pianta isolata di pregio, per dimensione o per rarità botanica o per assicurare la presenza di habitat adatti a determinate specie animali.
Al fine di favorire, con la maggiore radiazione solare, la nascita e lo sviluppo dei polloni (dalle ceppaie o dalle gemme radicali) dovrà essere eliminato ed esboscato, dalla superficie oggetto di utilizzazione, anche il soprassuolo arbustivo.
Il legno morto (necromassa), in piedi o a terra, dovrà essere lasciato sul posto; la ramaglia minuta potrà essere lasciata sul posto, distribuita in modo discontinuo, sempre per il fine di assicurare al terreno la maggiore radiazione possibile.
In occasione del primo o del secondo taglio di utilizzazione, successivi a quello in cui si sono rilasciati i gruppi, questi potranno essere abbattuti e ricostituiti in altre zone oppure, preferibilmente, saranno lasciati intatti come isole d’invecchiamento, in applicazione delle direttive del Decreto del Ministero dell’Ambiente in data 17 ottobre 2007.
I gruppi hanno notevole importanza nel sistema ceduo in quanto si dà la possibilità di conservare indisturbata la necromassa e altri alberi che presentano lesioni meccaniche, o segni di deperimento, oltre che il cespugliame, di solito tagliato ed esboscato per assicurare alla rinnovazione la maggiore radiazione solare possibile.
Al posto di matricine sparse, spesso morfologicamente scadenti o incapaci di resistere al vento o alla neve si avrà un mosaico di gruppi più stabili, più funzionali, capaci di conservare e di favorire la biodiversità e in definitiva anche di migliore effetto paesaggistico.
La procedura di assegno delle matricine singole, come disposto dall’autorità amministrativa, non è applicabile a quella delle matricine a gruppi; dovrà essere disposta una procedura specifica semplificata, altrimenti il dispositivo del rilascio a gruppi avrà un futuro molto limitato.
Conclusioni
Dopo che la ricerca dell’Istituto Sperimentale di Selvicoltura di Arezzo ha confermato ancora una volta quanto era empiricamente e scientificamente noto sull’azione deprimente della matricinatura sulla rinnovazione e soprattutto sui migliori risultati conseguiti dalla matricinatura a gruppi, in merito alla produzione, alla tutela idrogeologica e all’aspetto estetico-paesaggistico, rispetto a quella a piante isolate, eccessiva o regolamentare o addirittura assente, è giunto il momento per una svolta per modificare tutto il sistema.
La presenza delle matricine, contrariamente alle aspettative, non solo non è oggi, nella maggioranza dei casi, necessaria alla rinnovazione ma anzi, con la tendenza degli ultimi anni ad aumentarne il numero, costituisce un danno per il bosco, per cui possiamo dire che trattasi di procedure, imposte dall’autorità amministrativa, non suffragate da riscontri di ricerca scientifica e quindi selvicolturalmente sbagliate.
È ora quindi di considerare superato il concetto di “numero delle matricine” (molto vago, soggettivo, non più rispondente alle aspettative) e di introdurre quello di “superficie di terreno occupata dalle matricine” (più preciso, più funzionale, più idoneo a favorire la biodiversità, con aspetti paesaggistici migliori di quelli delle matricine singole e, almeno per il castagno, anche la produzione di tronchi con migliori requisiti tecnologici.
Il dispositivo proposto non va considerato come definitivo, ma migliorabile secondo le risultanze delle prime esperienze.
References
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