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The carbon cycle in the old-growth forests

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 5, Pages 302-305 (2008)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0558-0005
Published: Dec 12, 2008 - Copyright © 2008 SISEF

Commentaries & Perspectives

Abstract

According to a recent paper published in Nature ([14]) the old-growth forests remove carbon dioxide from the atmosphere and should be considered an important carbon sink at the planetary level. This finding is discussed both in relation to the traditional hypothesis that considered the old-growth forests “neutral” in the carbon balance, and in relation to the present and future importance of this sink at the local and at the planetary level.

Keywords

Old-growth forests, Carbon cycle, Sink, Equilibrium, Kyoto protocol

 

Sin dai primi lavori pubblicati da Clements ([4]) il concetto di equilibrio o di omeostasi, cioè di uno stadio di sviluppo nel quale l’ecosistema raggiunge la massima maturità e acquisisce la capacità di autoregolarsi, ha avuto una grande popolarità. Questo concetto è stato ripreso ed applicato al ciclo del carbonio negli anni ’60 quando Eugene Odum ([17]) ha proposto la teoria secondo la quale le foreste stramature o vetuste (quelle che hanno raggiunto lo stadio finale della dinamica forestale) sono neutrali dal punto di vista del ciclo del carbonio. In queste foreste (nello studio originale erano state prese in considerazione foreste originate da impianti artificiali ma aventi più di 150 anni), secondo Odum, la componente attiva del bilancio del carbonio (attività fotosintetica dei vegetali) è bilanciata dalle componenti passive (la respirazione) di modo che il quantitativo di carbonio immagazzinato nel sistema, seppure sottoposto a fluttuazioni, non cambierebbe significativamente.

Questa ipotesi, ritenuta convenzionalmente valida negli ultimi 40 anni, è stata messa in discussione dagli sviluppi recenti di alcuni settori della ricerca in ecologia forestale.

Da un lato la migliore conoscenza dei processi di mortalità e del ruolo dei disturbi naturali nella dinamica forestale ([8], [9]) ha messo in discussione l’esistenza stessa di una fase di equilibrio. Gli ecologi forestali hanno da sempre evidenziato come il concetto di equilibrio non dovesse essere inteso staticamente ma piuttosto come una fluttuazione attorno ad uno stadio di riferimento. Solo recentemente si sono però acquisite lunghe serie di dati quantitativi che hanno permesso di consolidare la consapevolezza che il regime dei disturbi naturali è una componente fondamentale della dinamica forestale ([9]) e non un fatto eccezionale che modifica il normale processo dinamico. Lo stadio finale della dinamica non viene quindi percepita come fase stabile che si mantiene un tempo indefinito di tempo (con i disturbi considerati come fattori eccezionali che modificano la situazione di stabilità) ma, piuttosto, è considerato come una fase che può durare anche a lungo, in funzione del regime di disturbi naturali, ma che è comunque destinata ad essere interrotta da un evento naturale che darà origine ad un nuovo processo dinamico ([3], [18]).

Dall’altro lato è migliorata la conoscenza del ciclo del carbonio negli ecosistemi forestali, in quanto elemento fondamentale nello studio dei cambiamenti climatici e nell’applicazione del protocollo di Kyoto, sia attraverso misure dirette dei flussi di carbonio sia attraverso l’applicazione di modelli ([1]).

Utilizzando questi strumenti, già alla fine del secolo scorso alcuni lavori effettuati in foreste tropicali e in foreste boreali ([10], [23]) avevano suggerito, pur con notevoli incertezze, che le foreste potevano continuare ad immagazzinare carbonio anche dopo il raggiungimento dello stadio finale della dinamica forestale (l’omeostasi sensu Odum). Negli anni successivi sono aumentati i dati disponibili e i lavori pubblicati a sostegno di questa ipotesi ([2], [20]). Recentemente un lavoro pubblicato su Science ([25]) e già commentato su questa rivista ([11]) aveva evidenziato un inatteso elevato accumulo di carbonio nel suolo di una foresta vetusta (di oltre 400 anni) della Cina meridionale.

In tale contesto si colloca un lavoro da poco pubblicato su Nature ([14]) che, a differenza dei precedenti, è basato su un ampio numero di casi di studio. I ricercatori, di sei differenti nazioni, hanno infatti raccolto dati da 519 aree di studio distribuite nelle foreste temperate e nelle foreste boreali (in quanto non sono ancora a disposizione dati sufficienti per ampliare questa ricerca alle foreste tropicali). Secondo questa ricerca la produttività netta di ecosistema (NEP) è positiva anche nelle foreste che raggiungono 800 anni di età e quindi le old-growth forests, o foreste vetuste, continuano a sequestrare carbonio dall’atmosfera. Il meccanismo con cui questo processo avviene e le componenti dell’ecosistema nelle quali il carbonio viene immagazzinato non sono ancora ben chiari (probabilmente il suolo in questa fase della dinamica forestale svolge un ruolo molto più importante della vegetazione) in quanto mancano delle osservazioni dirette. I dati evidenziano però che il ruolo delle foreste vetuste come sink di carbonio nel passato è stato ampiamente sottostimato. Infatti, secondo i dati di Luyssaert et al. ([14]), le foreste vetuste, che rappresentano circa un terzo delle foreste del pianeta ([5]) e circa il 50% delle foreste temperate e boreali (quasi completamente concentrato nelle foreste boreali in quanto nelle foreste temperate sono presenti solo piccoli lembi di old-growth forests), immagazzinano 1.3 ± 0.5 Gt di carbonio all’anno. Questo quantitativo non è sufficiente a bilanciare il carbonio rilasciato a causa della deforestazione e delle utilizzazioni forestali ma costituisce una parte comunque importante (circa il 10%) della produttività netta di ecosistema globale (GNEP).

Questo studio rappresenta una svolta importante nella ricerca sul ciclo del carbonio nelle foreste vetuste in quanto il dataset disponibile è ampio e riguarda una parte importante dei biomi forestali terrestri. Nello stesso tempo occorre evidenziare che il lavoro presenta alcuni punti critici che necessitano di ulteriori ricerche e dati quantitativi:

  • i dati provengono da tipi di vegetazione e da fasi di sviluppo dei popolamenti molto eterogenei mentre per avere un risultato metodologicamente più robusto sarebbe necessario avere più cronosequenze di popolamenti forestali in diversi stadi di sviluppo (dalla fase di insediamento fino alla fase di foresta vetusta) ciascuna appartenente allo stesso tipo di vegetazione o allo stesso tipo forestale;
  • una analisi del ruolo delle foreste vetuste nel ciclo del carbonio a scala planetario non può prescindere dalla descrizione dei diversi regimi di disturbi naturali in quanto il tempo di ritorno delle stand-replacing disturbances, diverso per tipo di vegetazione e regione del pianeta, ci indica il tempo di permanenza medio dello stadio finale del processo di successione forestale ([9], [21]);
  • il cambiamento climatico in atto può modificare il regime di disturbi naturali ([13]) trasformando foreste vetuste in importanti source di carbonio e, infine,
  • esiste una influenza antropica che può modificare il tasso di sequestro del carbonio atmosferico da parte della vegetazione e che non può essere trascurata, come è il caso delle deposizioni azotate ([15]).

I risultati di questo lavoro, e di quelli precedenti che hanno portato a simili risultati, evidenziano però due aspetti di grande importanza:

  • il primo è che le foreste vetuste svolgono un ruolo non secondario nel sequestro di carbonio e quindi non possono essere ignorate nei bilanci di carbonio e nelle valutazioni relative alla mitigazione dell’effetto serra da parte della copertura forestale a scala planetaria;
  • il secondo è che, se vi sono ancora dei margini di incertezza sulla quantità e sulle modalità di accumulo del carbonio nelle foreste vetuste, è invece inconfutabile il fatto che queste foreste sono degli importanti sink di carbonio e che il taglio indiscriminato o la distruzione di queste foreste provocherebbe l’immissione in atmosfera di grandi quantità di carbonio ([12]).

La protezione di queste foreste è quindi di cruciale importanza, anche dal punto di vista del protocollo di Kyoto, e meriterebbe una maggiore attenzione. Ad esempio la protezione delle foreste vetuste potrebbe essere una misura più efficace rispetto al rimboschimento (le Kyoto forests) che, a volte, viene effettuato proprio in aree che erano precedentemente occupate da popolamenti invecchiati ([22]). Anche nel nostro paese, pur in assenza di autentiche old-growth o foreste vetuste nel senso più stretto della loro definizione ([24]) ci sono decine di migliaia di ettari di foreste, un tempo coltivate, che hanno raggiunto età, struttura e biomassa tipiche delle fase più mature della dinamica forestale ([16], [19]). In queste foreste il processo di sequestro di carbonio, negli alberi e nel suolo, è attivo e interessa dei quantitativi tutt’altro che irrilevanti. Delle misure di tutela di queste foreste, sia attraverso una protezione attiva e sia mediante il riconoscimento di indennizzi ai proprietari, sarebbero quindi auspicabili non solo per il ruolo che queste foreste hanno dal punto di vista della biodiversità e della qualità ambientale ([6], [7]) ma anche per il ruolo che questi popolamenti svolgono, e potranno svolgere nei prossimi decenni, nel sequestro di carbonio dall’atmosfera.

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