Carbon accumulation in European forests: among evidences and uncertainties
Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 5, Pages 216-217 (2008)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0542-0005
Published: Sep 02, 2008 - Copyright © 2008 SISEF
Commentaries & Perspectives
Abstract
A summary on findings recently published on Nature Geoscience ([1]) is provided. This research, according with the latest studies, confirms the trend of European forests to form a sink of carbon. The sustained accumulation of carbon may result from the combined positive effects of the new favourable environmental conditions and changed forest management in the last five decades. Although this result seems encouragingly, numerous uncertainties still remain on the estimate, on the determinant processes and on the capacity that positive carbon balance could be maintained in the future. For example an increase of renewable energies demand by 2020, as proposed by EU, should double the wood demand for biomass energy, lowering considerably the carbon gains achieved in the last fifty years.
Keywords
Carbon sink, Climate changes, European forests, Forest management, Inventories, NPP
Come è ormai noto, il continuo aumento dell’anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera (la sua concentrazione è passata da 280 ppm a circa 370-380 ppm a partire dalla rivoluzione industriale), è la causa principale del riscaldamento terrestre (circa +0.5 °C negli ultimi 50 anni) e del conseguente cambiamento climatico, che è oggi considerato tra le più serie emergenze ambientali ([3]). Fortunatamente, evidenze sperimentali sempre maggiori indicano che delle 7 Gt C emesse annualmente nell’ultimo decennio a livello globale dalle attività antropiche, circa i 2/3 rimarrebbero nell’atmosfera, mentre la restante parte sarebbe assorbita dagli oceani e dagli ecosistemi terrestri ([5]), calmierando di fatto l’effetto negativo del surriscaldamento.
Da questo punto di vista, il contributo relativo dei diversi biomi forestali quali serbatoi (sinks) di carbonio e il ruolo che le foreste possono esercitare nel contrastare il “cambiamento globale” sono al centro di un ampio dibattito internazionale sia scientifico che politico. Dalla quantità di carbonio assorbito dalle foreste dipendono infatti le quote dei crediti di carbonio assegnate a ciascun paese nel protocollo di Kyoto. Gli inventari forestali, istituiti in tempi non sospetti per la stima del valore commerciale del legname, prima che il problema del bilancio del carbonio diventasse una emergenza globale, possono costituire una preziosa fonte di informazioni per quantificare e capire la distribuzione terrestre dei sinks di carbonio.
Ad esempio, in un recente studio pubblicato su Nature Geoscience, gli autori ([1]) utilizzando questa immensa risorsa di informazione disponibile su un arco temporale di 50 anni (1950-2000), hanno evidenziato che le foreste di 17 paesi europei (15 della UE più Norvegia e Svizzera) stanno accumulando carbonio. L’accumulo nella biomassa forestale (2.3 Pg C) rappresenterebbe circa il 10% delle emissioni di CO2 cumulate tra il 1950 e il 2007. Sebbene lo studio conferma un bilancio netto del carbonio sequestrato, numerose incertezze regnano sui fattori determinanti questo accumulo.
L’aumento della superficie forestale registrata in questi paesi dopo il 1950 (+5% per le conifere e +8% per le latifoglie), associato soprattutto ai rimboschimenti effettuati tra il 1970 e il 1980, non è comunque in grado di spiegare da solo il quasi raddoppiamento della produzione primaria netta (NPP). Mentre le variazioni nella gestione forestale in questi anni potrebbero, secondo questi autori, aver contribuito notevolmente all’accumulo di carbonio. Attualmente le utilizzazione forestali rappresentano una quota del 50% della NPP per le conifere e il 34% per le latifoglie, mentre prima del 1950 tale quota era circa 1.5 volte più alta di quella attuale. In altre parole, le foreste di questi paesi costituirebbero dei sinks di carbonio in quanto la maggiore crescita di biomassa e di produttività non è controbilanciata da una eguale richiesta e sfruttamento di questo surplus di legname.
Le incertezze sull’accumulo di carbonio sarebbero legate anche agli effetti della variazione di alcuni fattori ambientali influenzati dai cambiamenti globali. Con l’ausilio di un modello biogeochimico “ORCHIDEE”, Ciais et al. ([1]) hanno provato a simulare gli effetti dell’aumento della siccità nei paesi Mediterranei, delle condizioni più umide del Centro-Nord Europa, e dell’aumento del livello di CO2 sulla NPP. Tali simulazioni attribuirebbero un 70-80% dell’aumento di NPP proprio alle variazioni climatiche e all’effetto fertilizzante della CO2.
Tuttavia, nonostante il successo nella simulazione del trend di NPP dal 1950 ad oggi, il modello non è stato in grado di riprodurre i valori di NPP osservati con l’ausilio degli inventari. L’esclusione dal modello degli effetti legati alla gestione forestale e dell’effetto fertilizzante delle deposizioni azotate potrebbe aver contribuito a questo mancato risultato. Proprio queste ultime sono al centro di un ampio dibattito scientifico internazionale. Secondo un recente studio ([4]), le deposizioni azotate sarebbero il principale driver dell’accumulo di carbonio nelle foreste, dopo aver escluso tutti gli altri fattori di disturbo. Mentre secondo altri autori ([2]), le deposizioni sarebbero responsabili di non più del 10% di quest’accumulo, principalmente nell’Europa centrale dove l’inquinamento è più consistente, mentre l’effetto sarebbe trascurabile nell’Europa del Nord e Meridionale dove l’input rimane al disotto dei 10 Kg N ha-1 anno-1.
Altra fonte di incertezza è senz’altro legata al metodo inventariale che fornisce stime pluriennali della NPP, basandosi su relazioni allometriche tra il diametro a petto d’uomo e la biomassa delle piante, nel quale solo la componente epigea è misurata. Mentre quella ipogea, relativa soprattutto alla componente delle radici fini viene stimata usando un tasso fisso di mortalità (0.50 per le conifere e 0.45 per le latifoglie). Ed è noto che la stima della longevità delle radici fini è estremamente complicata, poiché condizionata da diversi parametri come la specie, la tipologia dei suoli, dimensioni delle radici, ecc., che impediscono di prevedere con sufficiente accuratezza l’accumulo di carbonio nelle foreste ([6]). Inoltre differenze metodologiche tra inventari nel tempo e tra i paesi complicano ulteriormente il calcolo.
In definitiva, nonostante le numerose incertezze sulla stima e sui principali parametri che influenzerebbero l’accumulo, questo lavoro offre un ulteriore conferma che le foreste europee possono essere considerate un sink di carbonio. Di contro, i nuovi indirizzi dell’Unione Europea di portare al 20% l’energia proveniente da fonti rinnovabili entro il 2020, potrebbe mettere in serio pericolo questo risultato. Infatti per far fronte a questa esigenza, verrebbe raddoppiata la richiesta di biomassa sia aumentando le utilizzazioni e sia accorciando i turni di rotazione; senza contare gli effetti negativi derivanti dall’aumento della siccità e dalle problematiche ad essa legate, come il rischio di incendi e di attacchi patogeni, ecc., che potrebbero ridurre notevolmente la quota di carbonio assorbito negli ultimi decenni.
References
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