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Tree-ring growth and climate response of silver fir (Abies alba Mill.) in Basilicata (Southern Italy)

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 5, Pages 47-56 (2008)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0505-0050047
Published: Mar 26, 2008 - Copyright © 2008 SISEF

Research Articles

Abstract

A dendroclimatic study on silver fir (Abies alba Mill.) was carried out in the Abetina of Ruoti (PZ, Basilicata - southern Italy), a nearly natural mixed Quercus cerris - Silver fir forest. Observations were made on twenty-three large size dominant silver fir trees and dendroecological analyses performed for the period 1866-2007. Results show that late spring/summer precipitations, rather than temperatures, are the most critical factor affecting silver fir growth in this area.

Keywords

Tree-ring growth, Climate response, Abies Alba (Mill.), Southern Italy, Dendroclimatology

Introduzione 

L’abete bianco (Abies alba Mill.) è una specie molto studiata nel settore della dendrocronologia per la sua sensibilità ai fattori di disturbo. Diversi studi sono stati condotti al fine di mettere in relazione l’impatto dei fattori ecologici, climatici e d’inquinamento sulla crescita radiale di questa specie ([36], [33], [14], [15], [35], [34], [42], [32], [28]), tuttavia pochi sono i lavori che riguardano le aree dell’Italia meridionale ([18], [38]).

Nelle ricerche dendroclimatiche di solito si utilizzano soggetti ubicati in zone di tensione, zone critiche, al limite rispetto a uno o più fattori, essendo più facile in tali casi seguire gli effetti di quel o di quei fattori sull’attività cambiale dei soggetti stessi ([6]). Nel nostro caso la ricerca è stata impostata su abeti di grandi dimensioni appartenenti al piano dominante, per minimizzare l’influenza della competizione e dei disturbi sulla crescita ([7], [25], [1], [32], [29], [46]). L’abete bianco occupa ristrette zone della dorsale appenninica lucana con aree diversamente consistenti. La facies più rappresentativa è costituita dal bosco misto abete-faggio presente a Laurenzana (PZ), numerosi i popolamenti sul Pollino; il nostro caso tratta del nucleo lucano più settentrionale in cui l’abete è misto al cerro (Quercus cerris L.).

L’abetina di Ruoti (PZ) è un bosco mutato nella fisionomia dalla mano dell’uomo. Le sconsiderate utilizzazioni del passato hanno provocato la circoscrizione delle aree a partecipazione di abete e la mescolanza di quest’ultimo soprattutto con il cerro. Questo ha determinato, con il passare del tempo, l’instaurarsi di nuove condizioni microclimatiche cui l’abete sembra adattarsi. Con la direttiva 92/43/CEE “Habitat” del 2000, che ha per obiettivo prioritario la conservazione delle biodiversità in Europa, l’abetina rientra nei Siti di Importanza Comunitaria in qualità di sito rappresentativo del patrimonio naturale lucano. Siti di questo genere sono importanti per la componente naturalistica, la conservazione delle biodiversità, la tutela e la ridiffusione della specie ma anche e soprattutto per il contributo scientifico che potrebbe derivare da indagini sul campo.

In tal senso riteniamo che sia importante contribuire allo studio della conifera, considerando una realtà poco studiata, per fornire ulteriori elementi utili alla caratterizzazione delle risposte climatiche dell’abete bianco dell’Italia Meridionale. L’obiettivo della presente ricerca è valutare in che modo l’andamento pluviometrico e i valori medi mensili di temperatura massima e minima influenzano la crescita radiale dell’abete bianco di Ruoti, sottolineando i fattori determinanti.

Area di studio 

Inquadramento territoriale

L’abetina oggetto di studio (Fig. 1) è situata nel territorio comunale di Ruoti (PZ) lungo la S.P. n. 7, tra le località Piano della Pila e Serra le Rocche, con altitudine compresa tra gli 850 e i 1072 m s.l.m., ricopre una superficie di circa 112 ha e da sempre conserva il carattere di bosco privato. L’esposizione prevalente è nord-ovest e la pendenza dei versanti è variabile. La piovosità media annua rilevata per la stazione di Potenza, distante circa 10 km dal sito oggetto di studio, è di 746 mm. Il mese invernale più piovoso è novembre, con una media di 96 mm, quello estivo aprile con 65 mm. La temperatura media annua è di 12.5 °C, la media delle massime 16.7 °C e delle minime 8.2 °C; la temperatura massima media del mese più caldo è pari a 27.6 °C, i valori medi delle minime non scendono oltre 1.2 °C nei mesi più freddi e 16.2 °C in quelli più caldi.

Fig. 1 - Inquadramento territoriale. Ortofoto con delimitazione dell’area di studio e del sito di campionamento su mappa della distribuzione di Abies alba (Mill.) lungo l’Appennino ([37]).

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I suoli sono mediamente profondi a tessitura franco-argillosa dotati di abbondante sostanza organica fino ai 40 cm di profondità oltre la quale si ha la presenza di calcare attivo. Dal punto di vista pedologico siamo in presenza di un complesso marnoso-arenaceo dell’oligocene a morfologia acclive; microclimi favorevoli determinano buona disponibilità idrica ([26]).

I nuclei a partecipazione di abete si conservano all’interno di ampie particelle perimetrali di cerro estendendo la propria distribuzione fino al margine superiore del bosco. La parte boscata a partecipazione della conifera è popolata da nuclei pluristratificati di abete e prevalentemente cerro; il tipo strutturale descritto è quello di un bosco disetaneiforme a gruppi. Vi sono esemplari di grosse dimensioni con fusti regolari, chioma rigogliosa, diametri superiori a un metro e altezze anche maggiori di 36 m. Alle quote più elevate si osservano casi isolati con segni di sofferenza.

Cenni storici

Da recenti indagini di archivio ([21]) è stato possibile ricostruire a grandi linee gli eventi che hanno caratterizzato il percorso storico del bosco oggetto di studio. Le prime notizie dell’“Apetina” di Ruoti risalgono al 1620, epoca in cui si parlava di un bosco di abeti utilizzati per tavole e travi. Agli ultimi decenni del 1800 è datato un documento di archivio che descrive il bosco come un’area “governata ad alto fusto, mai soggetta a tagli regolari e con una produzione di circa 4 m3 di incremento legnoso annuo per ettaro, con un buon pascolo di erbe”; la superficie ammontava a 200 ettari e le piante di abete per ettaro circa 200, di diverse dimensioni. Le prime utilizzazioni di cui si ha notizia risalgono al 1866 e riportano il taglio di 900 piante di abete.

Testimonianze locali riportano che fino ai primi decenni del 1900 l’abete costituiva un popolamento di alberi in numero e di dimensioni tali da consentire alle persone di attraversarlo tutto camminando sui rami. Gavioli ([20]), lo descrive come “un bosco quasi puro di Abies alba, ricco di magnifici e colossali esemplari di questa specie”. All’inizio del secolo scorso l’area fu adibita al pascolo e “la foresta fu intensamente sfruttata con ripetuti tagli” che, in seguito alle utilizzazioni di 3345 piante nel 1908 e di 1370 martellate nel 1911, culminarono nel 1917 con la requisizione del bosco per scopi bellici da parte del Commissariato Civile (Archivio di Stato, Potenza Commissariato Civile 1904-1923 busta 1493).

“Ora in questo bosco non vi sono che limitate zone di abetina pura, separate da altre più vaste a fittissima boscaglia di latifoglie tra le quali predomina di gran lunga il cerro. L’abetina deve essere quindi considerata come un relitto di ben più vaste abetine, delle quali essa rappresenta l’estrema propaggine nord-orientale, scendendo ad un livello di circa 800 m per le eccezionali condizioni ambientali, specialmente in relazione all’esposizione ed alla freschezza del suolo” ([20]).

Nel 1978 hanno avuto luogo interventi di ricostituzione boschiva (con Abies alba Mill. non autoctono e Abies cephalonica L.), alcuni dei quali presentano danni da asfissia radicale ([26]). Dal 2000 la natura del sito, S.I.C., ha implicato le opportune restrizioni nelle utilizzazioni della conifera.

Materiali e metodi 

Nell’inverno del 2006 e del 2007 sono stati eseguiti i rilievi nell’area di Piano della Pila (970 m s.l.m.; 40° 22’ N, 15° 43’ E) in cui si sono scelti a caso 23 esemplari di abete di grosse dimensioni.

Si è eseguito un solo prelievo per albero, come disposto dagli organi di controllo, mediante il succhiello di Pressler, fatta eccezione per i tre esemplari più vetusti identificati (per i quali se ne sono effettuati due).

Si sono dunque estratte 26 carotine legnose ad un’altezza di 1.30 m dal suolo in direzione perpendicolare all’inclinazione del piano di campagna, considerando l’ipotetica formazione di legno di reazione ([19]) e mirando a raggiungere il midollo. I campioni sono stati opportunamente montati su supporti legnosi, preparati con lame fino a rendere visibile il lume delle tracheidi e cross-datati ([49]).

Le misure delle ampiezze anulari, al centesimo di mm, sono state realizzate al dendrocronografo Lega Smil 3 ([13]) giungendo alla composizione di una serie elementare per ciascun campione. In due casi si dispone di cronologie frammentate, poiché non è stato possibile estendere le letture fino al midollo per problemi di marciume, tuttavia si sono recuperati gli intervalli legnosi leggibili e si sono accuratamente datati. L’insieme delle cronologie è stato sottoposto al confronto visivo all’operatore per verificare ogni eventuale anomalia, quindi a controllo qualitativo mediante il software COFECHA ([23]) che, con l’analisi comparata di ciascuna serie individuale con l’insieme delle serie datate, ha valutato la qualità della cross-datazione. I parametri di riferimento di maggior rilievo per la cronologia dei dati grezzi sono l’autocorrelazione media, che esprime l’influenza dell’anno precedente sul corrente anno di crescita, e la lunghezza media della serie, in base alla quale si procede con il successivo filtraggio dei dati.

Si è quindi proceduto alla standardizzazione dei dati mediante il software Arstan ([10]). Al fine di amplificare il segnale climatico (alta frequenza) sono stati rimossi gli effetti dei fattori non climatici (bassa frequenza) dalle serie individuali utilizzando una curva spline pari a 50 anni considerata la lunghezza media della serie pari a 76.6 anni ([19], [11], [8]). Ogni serie misurata è stata modellata con un processo autoregressivo in cui l’ordine è stato selezionato in base al minimo AIC (Akaike Information Criterion); la varianza, dovuta a misure di ampiezza lontane dai valori medi, è stata opportunamente stabilizzata.

I riferimenti statistici dei dati filtrati riguardano, per l’intera cronologia, la media, la sensitività media (MS), la deviazione standard (SD), l’autocorrelazione di primo ordine e i parametri Skewness e Kurtosis. In particolare la MS esprime la misura della variabilità nelle ampiezze di anelli adiacenti e riflette la capacità potenziale di risposta a variazioni climatiche di breve termine, l’autocorrelazione di primo ordine misura l’influenza che l’anno precedente ha sull’anno successivo nel determinare la crescita arborea, Skewness e Kurtosis sono indici che esprimono le asimmetrie nelle curve e la concentrazione o dispersione dei dati attorno al valore medio.

Per quanto concerne l’intervallo comune, oltre la media, la deviazione standard e le correlazioni medie tra gli alberi e i campioni, si sono presi in considerazione il rapporto segnale/rumore (S/N) e il valore dell’Expressed Population Signal (EPS). Per rapporto S/N si intende la proporzione della variabilità attribuibile a fattori climatici o casuali rispetto a quella non spiegata, individuata come “rumore” e pertanto non attribuibile ad alcuna fonte di variabilità identificata nelle serie temporali ([27]); inteso anche come grado di somiglianza tra i campioni da cui è stata realizzata la cronologia, il rapporto aumenta con l’aumentare delle serie e dell’importanza dei fattori ambientali nel determinare la crescita della pianta ([3]).

Infine l’EPS fornisce una stima indicativa dell’affidabilità della cronologia quantificando la variabilità comune in tutte le serie anulari di un particolare sito ([45]): se tutti gli alberi sono influenzati da simili variabili climatiche, tale informazione può essere utilizzata come un’informazione climatica ([5]).

Unitamente ai parametri statistici si è elaborata una cronologia standard e una dei residui seguendo le suddette procedure. Le osservazioni coprono l’arco di tempo che va dal 1866 al 2007, l’intervallo comune si estende dal 1944 al 2005.

La cronologia dei residui è stata utilizzata per valutare le relazioni tra crescita radiale e clima ([11]). I valori degli accrescimenti medi annui residui sono stati messi in relazione con i valori medi mensili di precipitazione e temperatura massima e minima.

Con riferimento a quanto riportato da Tessier ([44]) e Serre-Bachet & Tessier ([41]) si è considerato l’anno biologico come la distinzione di due periodi: il primo precedente alla formazione dell’anello di crescita, compreso tra Ottobre e Marzo, e il secondo, determinante la crescita, tra Aprile e Settembre. I parametri di riferimento per lo studio climatico, quindi, coprono l’arco di tempo che va dall’Ottobre dell’anno t-1 al Settembre dell’anno t, periodo in cui viene elaborato l’anello in tutto il bacino del Mediterraneo ([44]).

Nelle analisi dendroclimatiche sono comunemente utilizzate le funzioni di correlazione e le funzioni di risposta. Nelle prime i coefficienti sono stimati mediante il metodo di Pearson mentre nelle seconde derivano da stime multivariate di modelli di regressioni che tengono conto dell’analisi delle componenti principali ([10]). La significatività e la stabilità dei coefficienti di regressione calcolati è basata sulla tecnica statistica bootstrap ([17]) che permette di determinare l’errore associato ad una funzione di dati campionari ripetendo l’estrazione casuale dei dati stessi in modo da aumentare artificialmente la dimensione del campione ([22], [27]).

Per le elaborazioni dei valori di correlazione (P) e delle funzioni di risposta (FFRR) si è utilizzato il software DENDROCLIM2002 che utilizza 1000 valori ottenuti a random dal data set iniziale per ottenere coefficienti di correlazione e funzioni di risposta con un livello di significatività pari a 0.05 ([4]).

Le serie climatiche adottate si riferiscono alla stazione termopluviometrica di Potenza (766 m s.l.m.; 40° 38’ N, 15° 48’ E). Le lacune nei dati di temperatura presenti si sono stimate mediante regressioni lineari (R2 pari a 0.97 e 0.95 per Tmax e Tmin, rispettivamente) con la serie delle temperature di Teana (PZ, 534 m s.l.m.; 40° 07’ N, 16° 09’ E); quelle nei dati di pioggia mediante regressione lineare (R2 = 0.51) con la serie di pioggia di Cosenza (388 m s.l.m.; 39° 18’ N, 16° 15’ E). Le osservazioni coprono il periodo compreso tra il 1924 e il 2000.

Risultati 

La curva dendrocronologica (Fig. 2A) mostra, a partire dagli ultimi anni del 1800, un trend positivo di crescita a cui fa seguito un repentino abbassamento dei valori di incremento che culmina, in seguito ai picchi negativi degli anni 1888 e 1898, nel 1910 con 0.5 mm anno-1. Fino al 1936 la curva denota un progressivo innalzamento con successiva stabilizzazione intorno ai 4 mm anno-1 nella seconda metà del secolo scorso, intervallata da bassi picchi di crescita. A partire dagli anni ’80 si intuisce un trend di decremento.

Fig. 2 - A): curva dendrocronologica dell’abete bianco di Ruoti (PZ) con valori di incremento reali, la linea tratteggiata indica il numero dei campioni. (B): curva master per valori di incremento indicizzati, la linea tratteggiata indica la curva spline pari a 32.

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I risultati (Tab. 1) relativi ai dati grezzi riportano 0.528 come valore di intercorrelazione tra le serie e 0.24 per la sensitività media; l’autocorrelazione media, pari a 0.729, sembra indicare una discreta influenza dell’accrescimento dell’anno precedente sul corrente anno di crescita.

Tab. 1 - Caratteristiche della cronologia media dell’abete bianco di Ruoti (PZ).

Numero di campioni 26
Numero di alberi 23
Anno di inizio 1866
Anno di fine 2007
Estensione della cronologia 142
Numero di anelli 1992
Intercorrelazione tra le serie 0.528
Sensitività media 0.242
Autocorrelazione media 0.729
Lunghezza media della serie 76.6

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Per quanto riguarda i dati filtrati (Tab. 2) la sensitività media è pari a 0.19 nella curva standard e a 0.17 nella curva dei residui: può considerarsi di tipo medio, classica delle zone mediterranee ([40]). Secondo Fritts ([19]) un’alta sensitività media e una buona deviazione standard sono indicative della reattività della specie al mutare delle condizioni climatiche.

Tab. 2 - Parametri statistici considerati per la cronologia dei residui e per l’intervallo comune.

Cronologia (1866-2007)
142 anni, 23 alberi, 26 campioni
Intervallo comune (1944-2005)
65 anni, 17 alberi, 19 campioni
Tipo di cronologia Standard Residui Serie Detrendizzata Residua
Media 0.969 0.999 Media 0.983 0.992
Deviazione standard 0.224 0.156 Deviazione standard 0.157 0.129
Sensitività media 0.199 0.178 Corr, media tra gli alberi 0.503 0.495
Skewness -0.507 0.42 Corr, media tra i campioni 0.21 0.263
Kurtosis 1.503 0.597 S/N 4.433 5.994
Autocorrelazione di I ordine 0.365 -0.038 EPS 0.816 0.857

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Il valore dell’EPS per l’intervallo comune, 1944-2005, dei residui è pari a 0.85, soglia accettabile per studi di dendroclimatologia, in considerazione della soddisfacente qualità della cronologia ([48]). Il rapporto S/N è pari a 4.43 nella serie detrended e a 5.99 nella serie dei residui. La curva master del sito studiato è stata costruita (Fig. 2B) con valori di incremento indicizzati (residui).

Si riscontrano funzioni di correlazione (P) positive del corrente anno di crescita con le precipitazioni di giugno(t) e luglio(t) correlate alle temperature sia massime che minime. Le temperature medie mensili massime evidenziano P negative per luglio(t) ed agosto(t), positive per febbraio(t) e marzo(t); per le temperature minime il mese di febbraio(t) mostra P positive.

Le funzioni di risposta (RRFF) presentano un singolo regressore positivo per le precipitazioni di giugno(t) che mostra un alto valore di correlazione (con livello di significatività pari a 0.05), le temperature medie mensili minime mostrano un regressore positivo per il mese di febbraio(t) mentre le temperature medie mensili massime non hanno evidenziato alcun regressore significativo.

Discussione 

I soggetti vetusti attualmente presenti sul territorio e appartenenti al piano dominante rappresentano gli esemplari scampati ai grandi tagli di inizio secolo. La curva dendrocronologica (Fig. 1A) mostra la presenza di un marcato trend d’accrescimento a partire dalla prima decade del 1900, in seguito al quale le dimensioni degli anelli di crescita aumentano sensibilmente. Nonostante il numero di campioni ridotto per quest’epoca d’indagine, sembra opportuno sottolineare che al 1866 risale la prima utilizzazione, cui fanno seguito quelle del 1909, del 1911 e la requisizione del bosco nel 1917.

L’incremento successivo a questi periodi può essere interpretato come risposta alla riduzione della densità del soprassuolo. Potrebbe, infatti, sussistere una correlazione con i grandi tagli effettuati nella prima metà del secolo scorso: il cambiamento dei rapporti di competizione, la maggiore disponibilità di luce e di elementi nutritivi ha favorito la crescita delle piante circostanti.

Si osservano inoltre oscillazioni nei valori di incremento radiale medio annuo che periodicamente si portano a grandezze inferiori ai 2 mm. Come si può notare, nel periodo 1940-1960, ha luogo un fenomeno di questo tipo cui seguono nuovamente oscillazioni di incremento. Dalla seconda guerra mondiale in poi non si dispone di documenti relativi a grandi utilizzazioni sebbene, trattandosi di bosco privato, non sono da escludere tagli a scelta sugli esemplari migliori. Sembra che in assenza di utilizzazioni, in presenza delle variabili climatiche associate alle condizioni stazionali, l’incremento radiale medio annuo tenda naturalmente a queste grandezze.

Dal 1980 in poi si osserva un graduale abbassamento della curva fino a raggiungere valori vicini ai 2 mm alla fine degli anni ’90, probabilmente questo indica il periodo d’inizio per il ripristino delle naturali condizioni di crescita dell’abete bianco di Ruoti.

La curva master con valori indicizzati (Fig. 2B) ha permesso di minimizzare le variazioni di lungo periodo, attribuibili a fattori sia locali e fisiologici sia globali, per meglio evidenziare la variabilità interannuale, più spesso legata a fattori macroclimatici ([2]).

Le funzioni di risposta dell’abete bianco (Fig. 3) sembrano indicare in primo luogo una maggiore significatività per i dati di temperatura massima associati alla piovosità. In generale si evince l’esigenza da parte della conifera di estati umide e non eccessivamente calde.

Fig. 3 - Relazioni clima-crescita. Funzioni di correlazione e funzioni di risposta tra le variabili climatiche e valori di incremento indicizzati. Sull’asse delle ascisse il periodo compreso tra Ottobre(t-1) e Settembre(t), sull’asse delle ordinate i coefficienti di correlazione (livello di significatività pari a 0.05).

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La correlazione con le temperature di febbraio, riscontrata anche da diversi autori ([33], [39], [29], [28]) insieme a quella di gennaio, è stata sempre letta come risposta positiva della crescita della conifera ad un inverno mite. L’abete, specie sensitiva al gelo, mostrerebbe una buona crescita radiale durante il periodo vegetativo in assenza di temperature molto basse e di lunghi periodi di gelo durante la stagione invernale ([15]). Il sito oggetto di studio presenta bassi valori medi di temperature minime (Fig. 4) da dicembre a marzo: i periodi di gelo invernale potrebbero essere causa di stress poiché responsabili sia di gravi defogliazioni con successive riduzioni di chioma ([47]), che porterebbero ad una diminuzione della resistenza e della crescita potenziale dell’albero, sia di mortalità a livello del sistema radicale fine ([32]).

Fig. 4 - Relazioni clima-crescita riportate in Fig. 3 con in evidenza gli andamenti delle medie mensili delle temperature massime, delle precipitazioni e delle temperature minime.

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Alla correlazione di febbraio segue quella diretta con le temperature massime di marzo: siamo nel periodo antecedente la ripresa dell’attività cambiale ([43]). In questo periodo la conifera si prepara anche alla schiusura delle gemme e alla produzione di macrosporofilli e microsporofilli, che alla fine di aprile si presentano maturi e pronti alla disseminazione. In tal senso, le funzioni di risposta dell’abete legate a questi mesi possono essere riconducibili a condizioni sia microclimatiche che fenologiche.

Durante la stagione vegetativa l’abete rivela una relazione diretta con la piovosità di giugno e luglio: si riscontra quindi l’esigenza di apporto di acqua nel periodo di vita attiva ([9]).

Il mese di giugno vede il cambio dell’abete in piena attività con il quadruplicarsi del numero di tracheidi e con il successivo completamento della prima serie di cellule parenchimatiche in luglio ([18]). La disponibilità di acqua in questa parte del periodo vegetativo oltre a stimolare l’attività del cambio, garantendo un buon turgore cellulare, favorisce l’attività di mitosi e di distensione cellulare e la sintesi delle proteine, processi che influiscono positivamente sull’accrescimento degli anelli. Lo stesso vale per l’area fogliare che, aumentando, fa crescere la quantità di fotosintetati prodotti e destinati all’accrescimento ([31], 2000). Ai mesi di giugno e luglio corrispondono anche le correlazioni inverse con le alte temperature del periodo estivo che, generalmente attribuibili all’ecologia della specie, acquistano maggiore significato se lette in corrispondenza a quanto riportato per le precipitazioni: in presenza di alte temperature il ritmo vegetativo del sistema della pianta richiede un adeguato apporto idrico, solo in parte soddisfatto dai 25 mm medi registrati (Fig. 4).

Inoltre ricordiamo che il sito indagato è composto da un piano dominato di querceto trattato in diversi punti a ceduo. La presenza della quercia potrebbe enfatizzare gli effetti delle alte temperature a livello del suolo sia per la sua spesso rada copertura di chioma sia per l’instaurarsi di condizioni tendenti alla mesofilia che, inoltre, ostacolano anche la naturale possibilità di rigenerazione della conifera ([16]).

In generale i fattori determinanti la crescita per l’abete lucano possono attribuirsi alle piogge estive combinate alle temperature massime non elevate e a inverni miti. Più che la temperatura si può assumere come fattore limitante la pioggia.

Conclusioni 

Le risposte climatiche dell’abete bianco in una ristretta zona dell’Italia meridionale evidenziano quindi la necessità da parte della conifera di estati piovose e non troppo calde. Si assume come fattore limitante la pioggia e come elemento critico il gelo invernale.

Lo studio climatico ha fornito alcune indicazioni convergenti con gli studi di altri autori, i punti di divergenza potrebbero sottolineare l’adattamento che questa specie ha dovuto sviluppare in risposta alle condizioni climatiche, ambientali e di disturbo antropico che hanno determinato le peculiarità del sito oggetto di studio. Non si esclude che le relazioni clima-crescita possano essere in parte enfatizzate dalla presenza di un piano dominato costituito da querceto.

Sebbene in uno studio a piccola scala o sito mosaico (sensu [24]) i parametri di controllo da considerare dovrebbero comprendere oltre ai fattori climatici l’influenza del suolo, l’eventuale attacco da parte di patogeni e non ultimo il fattore antropico, possiamo considerare i risultati ottenuti come un ulteriore contributo alla conoscenza delle esigenze eco-fisiologiche dell’abete bianco dell’Italia meridionale.

Ringraziamenti 

Gli autori ringraziano il prof. Marco Borghetti per le preziose indicazioni utili allo svolgimento del lavoro di ricerca, il prof. Nicola Moretti, il dott. Francesco Ripullone e la dott.ssa Maria Rosa Guerrieri per la gentile disponibilità, il tecnico Antonio Lapolla per l’indispensabile collaborazione nei rilievi di campo.

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