Eco-physiological variations in three Mediterranean coppices along an altitudinal gradient
Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 4, Pages 310-323 (2007)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0470-0040310
Published: Sep 20, 2007 - Copyright © 2007 SISEF
Research Articles
Abstract
Water uptake ability and water-use efficiency (WUE) were indirectly measured utilizing hydrogen and carbon stable isotopes on Mediterranean coppices along an altitudinal gradient. Climate data showed a lower spring rainfall regime and a summer water stress to the bottom areas of gradient respects to those placed in the higher areas, with ecophysiological changes on specific leaf area and on carbon isotope discrimination. In the lower areas of altitudinal gradient we suggest that a stagger of carbohydrates during the leaf spam reflects higher water-use efficiency values of trees. In this study, the opposition of isotopic trends with elevation suggests cautions in the comparisons of δ13 C values along altitudinals gradients.
Keywords
Stable Isotopes, Water-use efficiency, Forest Ecology, Altitudinal gradients, Silvicultural typologies, Mediterranean coppices
Introduzione
L’attività vegetativa delle piante lungo gradienti ambientali offre una via per valutare le potenziali risposte delle piante ai cambiamenti ambientali ([52], [27]).
Variazioni della composizione isotopica del carbonio (δ13C) lungo gradienti altimetrici sono state ampiamente osservate da molti autori su un ampio numero di ecosistemi forestali ([35], [36], [37], [59], [41], [52], [31], [34], [49], [13], [51]). Molti studi hanno anche riportato delle correlazioni tra il δ13C e vari fattori abiotici lungo gradienti altimetrici come l’umidità del suolo ([5], [54]), la temperatura dell’aria ([47]), la concentrazione della CO2 atmosferica ([17], [26]) e la pressione barometrica ([41]). La distribuzione della composizione isotopica del carbonio lungo gradienti altimetrici è stata anche correlata con le caratteristiche morfometriche e fisiologiche che variano con l’altitudine, come l’ispessimento fogliare ([59], [8], [9], [34]) il contenuto fogliare di azoto ([19], [24], [43], [9], [34], [30], [51]) e la densità stomatica (numero di stomi per area fogliare - [35], [31]). Complessivamente, molte ricerche condotte per misurare la variazione del δ13C fogliare lungo gradienti altimetrici hanno osservato un arricchimento del δ13C con l’altitudine (δ13C meno negativo). Tra queste, numerose ipotesi sono state proposte per spiegare tali variazioni; ad esempio alcuni studi hanno osservato che elevate concentrazioni di azoto fogliare presenti su piante di alta quota mostravano un incremento dell’efficienza carbossilativa e un basso rapporto tra pressioni parziali intercellulari e atmosferiche (pi / pa - [22], [19], [42]). Ulteriori interpretazioni includono le differenze della composizione atmosferica (pressioni parziali della CO2 e dell’O2) osservate con l’aumento della quota altimetrica che può alterare la diffusione della CO2 verso i siti di carbossilazione a causa della resistenza stomatica e del mesofillo ([63], [37], [55], [34], [50]).
Sebbene sia possibile trovare in letteratura molte pubblicazioni che studiano queste relazioni, è altrettanto vero che scarse sono le informazioni relative ad ecosistemi forestali tipici dell’ambiente Mediterraneo, quali i boschi cedui. Di fatto, gli ecosistemi forestali di ambiente mediterraneo sono esposti alle alee di un’impredicibilità climatica generalmente caratterizzata da estati siccitose e calde che costituiscono un possente fattore di pressione selettiva verso biocenosi vegetali adattate alle condizioni di stress e capaci di sfruttare le diverse risorse idriche ambientali per garantirsi la capacità riproduttiva ed evolutiva ([45] in [40]).
L’obiettivo del lavoro è di analizzare la risposta funzionale di singole specie, appartenenti a diverse tipologie selvicolturali, poste lungo tre differenti livelli altimetrici caratterizzati da una differente disponibilità idrica nel corso dell’estate 2003. In particolare, si valuterà l’andamento degli isotopi del δ13C fogliare e del δD dell’idrogeno dell’acqua di falda e dell’acqua xilematica, in relazione alle caratteristiche morfologiche e funzionali e si confronteranno i risultati con l’attuale letteratura scientifica. L’utilizzo delle tecniche isotopiche ha avuto particolare risalto nell’indagine sperimentale, poiché capaci di fornire importanti informazioni sulle risposte fisiologiche degli alberi e dei popolamenti forestali alla variazione dei fattori ambientali. Infatti, in campo ecologico è assodato che la composizione isotopica del carbonio dei tessuti fogliari costituisca un indice di lungo periodo dell’efficienza di uso dell’acqua (WUE) poiché riflette il bilancio tra il tasso di consumo interno di CO2 dovuto all’attività fotosintetica e l’ingresso di CO2 mediato dal grado di apertura stomatica ([21]). Il frazionamento isotopico del carbonio durante la fotosintesi è descritto dall’equazione (eqn. 1):
dove i termini pi , pc , pa si riferiscono rispettivamente alle pressioni parziali della CO2 presente all’interno degli spazi intercellulari della foglia, nei cloroplasti e nell’atmosfera. Le costanti a (4.4‰), c (1.8‰) e b (29.0‰) sono rispettivamente le discriminazioni del 13CO2 durante la fase gassosa, liquida e per opera della Rubisco.
Allo stesso modo, l’impiego delle tecniche di analisi dell’idrogeno (δD o δ2 H) della linfa grezza, delle precipitazioni e dell’acqua di falda sono particolarmente utili per determinare l’utilizzazione specifica delle risorse idriche ([62], [53], [10], [23], [57], [12]). Infatti, è stato ampiamente dimostrato che durante il trasporto xilematico dalle radici alle foglie non avvengono fenomeni di discriminazione isotopica ([1], [62], [10]) fino a quando non avviene perdita di acqua per mezzo dei processi evaporativi. La composizione isotopica dell’idrogeno dell’acqua xilematica, estratta da porzioni di rametti, riflette esattamente la composizione dell’acqua che la pianta trasloca dal terreno al momento del campionamento. Per tale motivo lo studio relativo alla captazione e all’accesso delle risorse idriche è stato esteso su un’ampia serie di ecosistemi forestali su differenti scale temporali e spaziali ([16], [57], [11], [18], [61], Macuz et al 2006).
Materiali e Metodi
Aree sperimentali e descrizione dei siti
Durante l’estate del 2003 sono state individuate lungo un gradiente altimetrico, tre aree sperimentali situate a diverse quote altimetriche (rispettivamente, 850, 660 e 280 m s.l.m.). In queste aree sono in corso già da diversi anni studi sulla dinamica dei soprassuoli a seguito di interventi selvicolturali per la conversione del ceduo ad alto fusto condotti secondo direttive aziendali (Azienda Foreste Demaniali della Regione Sardegna) e sperimentali (Istituto Sperimentale per la Selvicoltura di Arezzo, CRA-ISSA - [2], [3], [4], [15]).
Le tre aree sperimentali sono localizzate nella foresta di Pula (CA) situata nella Sardegna sud-occidentale nel complesso montuoso meridionale della regione del Sulcis. Tale foresta, estesa per 9500 ettari, è in gran parte caratterizzata da popolamenti cedui di leccio (Quercus ilex L.) interessati recentemente da ripetuti interventi di conversione ad alto fusto. Associate al leccio si trovano altre specie caratteristiche della vegetazione mediterranea, quali: Quercus suber L., Arbutus unedo L., Phillyrea latifolia L. e Juniperus communis L., che vanno a realizzare soprassuoli densi, monoplani ed a copertura completa. L’intero complesso montuoso presenta un’altitudine media di 900 m. s.l.m., un’esposizione prevalentemente ad est e una pendenza del suolo del 15 - 20%. Il substrato geologico è quasi interamente formato da rocce granitiche a struttura porfirica (Paleozoico). I suoli sono ascrivibili agli Eutric Cambisol o alle terre brune mediterranee delle foreste xerofile e mesofile.
Le prime due aree di studio, situate ad altitudini di 850 e di 660 m s.l.m., sono fisionomie forestali della foresta di Is Cannoneris (39°03’ N, 8°50’ E) originate da una ceduazione eseguita nei primi anni sessanta e con un’età compresa tra i 40 e i 45 anni. Le matricine di leccio rilasciate durante la ceduazione hanno mostrato un’età non inferiore ai 70 anni (2T).
L’analisi strutturale dei tre popolamenti del gradiente altimetrico condotta da Atzori ([4]) insieme alle indagini termo-pluviometriche, eseguite da Di Matteo ([14]) hanno mostrato come le aree situate nella parte alta del gradiente (rispettivamente, 850 e 660 metri di altitudine) fossero caratterizzate da una buona produttività in relazione a una minore limitazione idrica stagionale. Infatti, la densità delle ceppaie è stata pari a 7560 ceppaie ha-1, di cui circa il 42% non più vitali. La biomassa epigea viva presente era pari a 161 Mg ha-1. Il diametro medio dei polloni vivi è stato pari a 7.1 cm, quello dei morti di 2.5 cm. L’area basimetrica della popolazione viva era circa pari a 44.09 m2 ha-1, costituita per circa 1/3 da leccio e per la quota restante da corbezzolo.
Il clima è caratterizzato da temperatura media annua di 15 °C, del mese più freddo di 9.0 °C e del mese più caldo di 21 °C. Il regime pluviometrico è influenzato dalla vicinanza del mare ed è caratterizzato da un massimo autunnale e uno primaverile. L’esame del diagramma termopluviometrico (Fig. 1) rende immediatamente visibile la presenza di un vero periodo di aridità estiva (da giugno a settembre) con una precipitazione totale annua di 1179 mm, distribuito in 89 giorni piovosi. Il clima secondo Thornthwaite ([56]) in Amorini et al. ([2]) è di tipo subumido, con forte deficienza idrica estiva.
Fig. 1 - Diagramma Walter & Lieth della stazione Is Cannoneris. Legenda parte alta del grafico: [38] = anni di osservazione; 15 °C = temperatura media annua; 1179 = precipitazione media annua. Legenda parte sinistra del grafico: 41 °C = temperatura massima assoluta; 34.4 °C = media delle temperature massime del mese più caldo; 0.22 °C= media delle temperature minime del mese più freddo; -5 °C = temperatura minima assoluta. Legenda parte bassa del grafico: rettangoli neri = mesi nei quali la media delle temperature minime è minore di 0 °C (gelate sicure); rettangoli a righe = mesi nei quali le temperature minime assolute sono minori di 0 °C (gelate occasionali o probabili). Notare che la scala delle precipitazioni è il doppio della temperatura.
Il terzo livello di indagine, la foresta di Monte Nieddu (39°05’ N, 8°53’ E) situata ad un’altitudine di 280 m. s.l.m., è costituito prevalentemente da cedui invecchiati composti di Q. ilex, A. unedo e Q. suber che realizza soprassuoli densi ed a copertura completa poiché tutte le specie citate partecipano all’edificazione dello strato arboreo dominante. I l soprassuolo attuale, è stato originato dall’ultimo taglio del ceduo che corrisponde al periodo in cui la foresta è stata acquisita dalla Regione Sardegna (1984), e ha quindi un’età compresa tra i 22 e i 25 anni. La pregressa gestione selvicolturale caratterizzata dall’assenza di un piano colturale, ha favorito la conservazione di alcune matricine di sughera oggi di grandi dimensioni (diametro massimo anche superiore a 45 cm) che si trovano ad occupare il piano dominante insieme ai polloni di leccio.
In questa area, la forte limitazione idrica primaverile ed estiva si riflette in una minore produttività rispetto ai siti presenti nella parte alta del gradiente altimetrico. Infatti, nonostante sia stata rilevata una densità di ceppaie superiore (8286 ceppaie ha-1 di cui 8.8% non più vitali) probabilmente a causa della giovane età del popolamento, la biomassa epigea viva della popolazione è risultata pari a 81.6 Mg ha-1 e pertanto inferiore rispetto a quella osservata nei siti presenti nella parte alta del gradiente. Sono risultati inferiori anche i valori relativi al diametro medio dei polloni vivi (3.8 cm), dei morti (1.7 cm) e di area basimetrica della popolazione viva (27.1 m2 ha-1), che risultava costituita per 2/3 dal leccio e per la restante quota dal corbezzolo, erica, fillirea e sughera. La composizione specifica mostra la prevalenza del leccio rispetto al corbezzolo, erica e fillirea, sia in termini di ceppaie sia di polloni portati.
Il clima risulta caratterizzato da una temperatura media annua di 15.3 °C, del mese più freddo di 8.2 °C e del mese più caldo di 24.0 °C. L’esame del diagramma termopluviometrico (Fig. 2) rende immediatamente visibile la presenza di un periodo di aridità estiva che inizia nel mese di maggio e termina nel mese di settembre. La precipitazione annua è di 773 mm e pertanto notevolmente inferiore a quella osservata nei siti presenti nella parte alta del gradiente. Il regime delle piogge è caratterizzato da un periodo di aridità estiva che culmina con il mese di luglio (4.8 mm) e da un picco autunnale (353 mm), pari al 45.6% della precipitazione media annuale. L’inverno si presenta ancora relativamente umido, con 230 mm di pioggia (29.7%), mentre la primavera risulta caratterizzata da un minore apporto idrico in cui cadono mediamente 125.2 mm (16.2%) che diviene ridottissimo in estate 65.6 mm (8.5%). I giorni di pioggia nell’anno sono in media 82, con un minimo in luglio coincidente con quello delle precipitazioni, ed un massimo in novembre, e dicembre-gennaio, dove avviene la coincidenza con il massimo delle precipitazioni. Il numero dei giorni piovosi si ripartisce nelle quattro stagioni come segue: autunno 33, inverno 25, primavera 14 ed estate 10.
Fig. 2 - Diagramma Walter & Lieth della stazione Monte Nieddu. Legenda parte alta del grafico: [7] = anni di osservazione; 15.3 °C = temperatura media annua; 773 = precipitazione media annua. Legenda parte sinistra del grafico: 41 °C = temperatura massima assoluta; 35.1 °C = media delle temperature massime del mese più caldo; 0.34 °C = media delle temperatura minime del mese più freddo; -4 °C = temperatura minima assoluta. Legenda parte bassa del grafico: rettangoli a righe = mesi nei quali le temperature minime assolute sono minori di 0 °C (gelate occasionali e probabili). Notare che la scala delle precipitazioni è il doppio di quella delle temperature.
Procedure di campionamento
Per ciascuna area di studio sono stati selezionati cinque alberi campione in relazione alle specie e alle tipologie selvicolturali presenti lungo il gradiente altimetrico. Le specie selezionate sono state il leccio (Quercus ilex L.), il corbezzolo (Arbutus unedo L.) e la sughera (Quercus suber L.) quest’ultima presente solo nel sito di bassa altitudine mentre le tipologie selvicolturali identificate sono state Q. ilex/matricine, Q. suber/matricine, Q. ilex/polloni e A. unedo/polloni. Nelle formazioni forestali studiate, su ogni singolo albero sono state raccolte 5 foglie mature, ben espanse ed esposte alla luce lungo il piano esterno della parte superiore della chioma degli alberi e formate durante la precedente stagione vegetativa. Per determinare il rapporto isotopico dell’idrogeno sono stati inoltre raccolti alcuni campioni di acqua di falda da pozzi situati in prossimità delle aree sperimentali e di acqua xilematica estratta da porzioni di rametti lignificati e distanti dall’inserzione fogliare delle piante. Tuttavia, non è stato possibile procedere alla raccolta di un sufficiente numero di campioni di acqua di pioggia, pertanto sono stati utilizzati i dati di composizione isotopica dell’idrogeno dell’acqua di pioggia estiva della stazione meteorologica dell’Agenzia Internazionale Atomica Europea (IAEA) di Genova-Sestri (44° 25’ N, 8°51’ E, situata ad un’altitudine di 2 m. s.l.m.) lungo un periodo temporale di circa 20 anni con un valore medio di -21.5 ± 1.4 ‰. Valori statisticamente non diversi sono stati osservati anche sui dati della stazione meteorologica dell’IAEA di Pisa (43° 43’N, 10° 24’E) su un arco temporale di 8 anni (-23.7 ± 3.8 ‰). Pertanto, il segnale isotopico dell’acqua di pioggia estiva osservato nelle due stazioni dell’IAEA pur non rispecchiando il valore isotopico delle tre aree del gradiente altimetrico, poiché non tiene conto dell’effetto elevazione sulle precipitazioni, è stato riportato come semplice riferimento per la comparazione con i valori di acqua di falda e xilematica.
Determinazione della concentrazione di clorofille
Per la determinazione del contenuto di clorofilla, i campioni fogliari prelevati in campo sono stati immediatamente sigillati in cryovials mantenuti al buio e in azoto liquido fino al momento delle analisi in laboratorio. L’estrazione delle clorofille (a& b) dai campioni fogliari è stata effettuata con Etanolo al 95%. La lettura di assorbanza è stata effettuata allo spettrofotometro (Lambda 3B, Perkin Elmer, Norwalk, USA) alle lunghezze d’onda di 664.2 nm e di 648.6 nm. Il calcolo delle concentrazioni delle clorofille è stato realizzato in accordo con quanto descritto da Lichtenthaler ([39]).
Determinazione della composizione isotopica del carbonio fogliare (δ13C)
I campioni fogliari, dopo la raccolta in campo, sono stati essiccati in stufa ventilata ad una temperatura di 70 °C per 48 ore. Successivamente sono stati polverizzati in azoto liquido. Sub-campioni di 1.5 mg sono stati analizzati con spettrometro di massa per gli isotopi stabili (ThermoQuest delta S, Brema, Germania). La composizione isotopica del carbonio (δ13C), relativamente allo standard Pee Dee Belemnite (PDB), è stata calcolata usando l’equazione (eqn. 2):
dove Rcampione e Rstandard sono, rispettivamente, i rapporti isotopici assoluti del campione e dello standard. Il fattore di moltiplicazione 1000, permette di esprimere il risultato in per mille (‰).
Determinazioni morfologiche fogliari
Le variabili morfometriche misurate sui campioni fogliari, raccolti e trasportati in modo da evitare modificazioni di forma, sono state: superficie fogliare, lunghezza fogliare (LI-3100, Li-Cor Inc, Lincoln, NE) e rapporto tra superficie e peso secco (SLA). Per la determinazione del peso secco, i campioni sono stati posti in stufa ventilata, ad una temperatura di 70 °C, per il periodo necessario al raggiungimento del peso secco costante.
Determinazione della concentrazione di azoto e carbonio fogliare
Gli stessi campioni fogliari utilizzati per le determinazioni isotopiche sono stati sottoposti ad analisi elementare (Analizzatore Elementare Carlo Erba, 1108, Milano, Italia). I risultati elaborati mediante software via- Carlo Erba, sono espressi in percentuale del peso di ogni campione.
Risultati e Discussione
Clorofille
Nella Fig. 3 sono riportati i risultati del contenuto di clorofilla totale, espressi per unità di superficie fogliare, delle quattro tipologie selvicolturali presenti lungo le tre aree del gradiente altimetrico.
Fig. 3 - Confronto tra il contenuto medio di clorofilla totale delle tipologie selvicolturali presenti lungo le tre aree del gradiente altimetrico. Le barre indicano l’errore standard della media (n=5, per tipologia selvicolturale).
Il contenuto di clorofilla totale misurato sulle matricine di Q. ilex non ha mostrato differenze significative lungo le tre aree di studio. Valori più elevati sono stati osservati nel sito di altitudine intermedia (94.4 ± 6.2 m g cm-2) mentre valori simili sono stati rilevati nelle aree a 850 e 280 metri s.l.m. (rispettivamente, 87.3 ± 4.6 e 87.7 ± 7.7 m g cm-2). Allo stesso modo anche sui polloni di Q. ilex non sono state osservate differenze significative lungo il gradiente altimetrico, con valori di clorofilla totale simili tra i siti (82.2 ± 6.9 m g cm-2 a 850 m., 84.4 ± 7.2 m g cm-2 a 660 m. e 83.4 ± 7.5 m g cm-2 a 280 m s.l.m.). Al contrario, A. unedoè stata l’unica specie che ha mostrato una marcata e significativa variabilità lungo il gradiente, con valori più elevati nelle aree a 660 e 850 m. (rispettivamente, 103.1 ± 8.3 e 90.8 ± 3.9 m g cm-2, P < 0.05 tra area a 660 e 850 m s.l.m.) e valori inferiori nel sito a bassa altitudine (77.4 ± 6.15 m g cm-2, P < 0.01 rispetto all’area di 660 m s.l.m.). Considerando i valori medi di ciascuna tipologia selvicolturale lungo le tre aree del gradiente, valori più elevati sono stati osservati sui polloni di A. unedo (90.4 m g cm-2) rispetto alle altre tipologie del gradiente altimetrico (rispettivamente, 89.8 e 83.3 m g cm-2 per le matricine e i polloni di Q. ilex). Rispetto al nostro studio, contenuti di clorofilla totale notevolmente più bassi sono stati osservati in ambienti Mediterranei composti prevalentemente di A. unedo,Q. ilex e Q. suber da Faria et al. ([20]) e Oliveira & Penuelas ([46]), i quali riportavano valori compresi tra 42.8 e 62.8 m g cm-2. Inoltre, negli stessi ambienti, variazioni stagionali sul contenuto di clorofille e xantofille sono state descritte da numerosi autori ([33], [28], [44]). Molti di questi studi hanno osservato una riduzione del contenuto di clorofilla durante il periodo estivo relativamente ad un decremento dell’assorbimento fogliare per aumentare la fotoprotezione in condizioni di stress idrico. Nel nostro studio, tranne A. unedo, nessuna delle tipologie selvicolturali a Q. ilex del sito a bassa altitudine ha mostrato una riduzione del contenuto di clorofille. Tali risultati indicherebbero un aggiustamento del contenuto di clorofille lungo il gradiente altimetrico e suggeriscono che i processi di fotoprotezione non sono la principale risposta fisiologica a periodi di stress idrico.
Composizione isotopica del carbonio (δ13C)
In ordine altimetrico decrescente è stato osservato un generale incremento della composizione isotopica del carbonio (Fig. 4). Tutte le tipologie presenti lungo il gradiente altimetrico hanno evidenziato un aumento dell’efficienza di uso dell’acqua (WUE) concomitante ad un grado di aridità crescente dal sito più elevato a quello più basso. La comparazione dei valori di δ13C sulle matricine di Q. ilex ha mostrato delle differenze significative tra i siti a 850 e di 660 m. di altitudine (rispettivamente, -27.9 ± 0.3 ‰, -26.6 ± 0.4 ‰, P < 0.05) e un incremento altamente significativo dei valori di δ13C nell’area a 280 m. rispetto ai siti a 850 e 660 m s.l.m. (-25.4 ± 0.2 ‰, P < 0.001). Le matricine di sughera, presenti nel solo sito di bassa altitudine, hanno mostrato un valore medio del δ13C di -27.1 ± 0.3 ‰. Il corbezzolo è risultato la specie con valore medio del δ13C più alto (-24.7 ± 0.3 ‰) rispetto alle altre tipologie studiate, evidenziando una maggiore efficienza di uso dell’acqua. Per tale tipologia l’analisi della varianza ha mostrato differenza significativa (P < 0.05) tra i siti a 850 e 280 m. di altitudine.
Fig. 4 - Confronto tra i valori medi di composizione isotopica del carbonio-13 fogliare delle tipologie selvicolturali presenti lungo le tre aree del gradiente altimetrico. Le barre indicano l’errore standard della media (n=5, per tipologia selvicolturale).
Morfologia fogliare
Analisi morfometriche relative a superficie fogliare, lunghezza fogliare e del parametro SLA sono state condotte lungo il gradiente altimetrico.
A. unedo ha mostrato una lamina fogliare di dimensioni mediamente superiori rispetto alle altre specie con valori massimi di superficie fogliare riscontrati nel sito di altitudine intermedia (9.70 ± 0.26 cm2) e di lunghezza fogliare nel sito di altitudine superiore (6.5 ± 0.4 cm). Il leccio e la sughera, come atteso, hanno presentato foglie di superficie limitata (rispettivamente, 4.1 ± 0.7 e 3.95 ± 0.3 cm2) con valori massimi nel sito a 660 m s.l.m. e minimi in quello a 850 m. Nonostante tali variazioni, l’analisi della varianza non ha evidenziato differenze significative lungo il gradiente altimetrico relativamente alla superficie fogliare (Q. ilex/matricine P = 0.42, Q. ilex/polloni P= 0.44, A.unedo/polloni P = 0.32), ed alla lunghezza fogliare (Q. ilex/matricine P = 0.33, Q. ilex/polloni P = 0.06, A. unedo/polloni P= 0.19).
In A. unedo/polloni e Q. ilex/matricine il rapporto superficie/peso fogliare è diminuito con l’altitudine di 4.6 e 7% rispettivamente. Nelle matricine di leccio tali valori sono risultati significativamente più bassi nel sito a bassa altitudine (45.4 ± 0.95 cm2 g-1, P < 0.05) rispetto al sito di 850 metri (52.7 ± 3.1 cm2 g-1), mentre sui polloni di corbezzolo non si è osservato un effetto significativo dovuto al gradiente altimetrico (Fig. 5). Se consideriamo i valori medi di ciascuna tipologia selvicolturale lungo le tre aree del gradiente, sono state osservate differenze inter-specifiche altamente significative in A. unedo (60.7 ± 2.8 cm-2 g-1, P < 0.001) che ha mostrato delle foglie più sottili rispetto alle altre tipologie del gradiente altimetrico (rispettivamente, 49.8 ± 2.8 e 52.2 ± 1.7 cm-2 g-1 per le matricine e i polloni di Q. ilex).
Fig. 5 - Confronto tra i valori medi di area fogliare specifica (SLA) delle tipologie selvicolturali presenti lungo le tre aree del gradiente altimetrico. Le barre indicano l’errore standard della media (n=5, per tipologia selvicolturale).
Relazioni tra morfologia fogliare e δ13C
Relazioni tra il parametro-SLA e il δ13C fogliare sono state elaborate per valutare se le differenze inter-specifiche osservate nelle tre distinte situazioni ambientali possono aver evidenziato effetti eco-fisiologici della SLA sul δ13C fogliare (Fig. 6).
Fig. 6 - Relazioni tra i valori di SLA e di δ13C fogliare delle tipologie selvicolturali presenti lungo le tre aree del gradiente altimetrico (n = 15 nell’area a 850 m.; n = 15 nell’area di 660 m.; n = 20 nell’area di 280 m.).
Non sono emerse delle relazioni significative sulle tipologie selvicolturali del gradiente, eccetto che sui polloni di Q. ilex del sito a 660 m (R2 = 0.64). Nei siti presenti nella parte alta del gradiente (850 e 660 metri) sono state osservate deboli relazioni inverse tra SLA (aumento della SLA, e in altri termini una diminuzione dello spessore fogliare) e il δ13C fogliare (diluizione del δ13C, e in altri termini una riduzione dell’efficienza di uso dell’acqua). Un inversione del trend (eccetto Q.ilex/Polloni), seppur non significativo, tra la SLA (aumento della SLA, e in altri termini un incremento dello spessore fogliare) e il δ13C (incremento del δ13C, e in altri termini un decremento dell’efficienza di uso dell’acqua) è stato osservato su tre delle quattro tipologie selvicolturali del sito di bassa altitudine (rispettivamente, A. unedo/polloni, Q.ilex/matricine e Q.suber/matricine) probabilmente a causa del forte grado di stress idrico estivo osservato lungo il sito a bassa altitudine. Tale condizione si ripercuote con un segnale isotopico arricchito in 13 C che riflette un decremento del grado di apertura stomatica e quindi dell’attività fotosintetica, che in ambiente mediterraneo si risolve in una maggiore limitazione idrica all’accrescimento. Infatti, i diagrammi di Walter & Lieth (Fig. 1 e 2) mostrano un maggior periodo di aridità primaverile-estivo nel sito di bassa altitudine (Maggio-Settembre) rispetto ai siti presenti nella parte alta del gradiente (Giugno-Settembre) e un diverso regime udometrico primaverile. In particolare, lungo il periodo Aprile-Giugno sono state registrate nel sito di bassa altitudine precipitazioni medie complessive di 125.2 mm che sono state inferiori del 32.2% rispetto alle fisionomie forestali delle aree più alte del gradiente (182 mm). Tali risultati suggeriscono che le differenze inter-specifiche osservate sul δ13C fogliare non dipendono completamente dagli effetti esercitati dalla SLA.
Contenuto di azoto e carbonio fogliare
L’azoto fogliare, espresso in % del peso secco, ha raggiunto valori medi massimi sulle matricine di Q. suber (1.26 ± 0.04 %) e minimi sui polloni di Q. ilex (0.92 ± 0.05 %). Entrambi i valori sono stati misurati sul sito di bassa altitudine (Fig. 7). Trasformando i dati per unità di superficie fogliare, sono stati osservati rispettivamente valori mediamente più elevati sulle matricine di leccio, di sughera e sui polloni di leccio (0.22 μg cm-2) e più bassi sui polloni di corbezzolo (0.17 μg cm-2). Una relazione diretta tra δ13C fogliare e azoto (quando espresso in percentuale del peso secco) è stata osservata su Q.ilex/Matricine dell’area a 280 m. (Y = 3.37 x - 29.21, R2 = 0.73), considerando anche che la stessa tipologia aveva mostrato un decremento significativo della SLA. Un meccanismo che potrebbe collegare tali relazioni è che sulle foglie spesse sarebbero contenuti grandi quantità di enzimi fotosintetici (cioè, alti contenuti di azoto) che aumentano l’efficienza carbossilativa, diminuendo il rapporto p i /p a (pressioni parziali intercellulari e atmosferiche della CO2 - [9], [31]).
Fig. 7 - Confronto tra i valori medi di azoto fogliare delle tipologie selvicolturali presenti lungo le tre aree del gradiente altimetrico. Le barre indicano l’errore standard della media (n=5, per tipologia selvicolturale).
A. unedo ha mostrato mediamente una percentuale di carbonio fogliare più alta (50.9%) rispetto alle altre tre tipologie selvicolturali (rispettivamente, Q. ilex/matricine 48.9%, Q.ilex/polloni 48.4% e Q. suber/matricine 49.2%) nonostante non sia stato osservato alcun effetto significativo lungo il gradiente altimetrico.
Complessivamente, lungo le tre aree del gradiente altimetrico, il rapporto C/N non è variato per le matricine di leccio (valori compresi tra 44.0 e 45.5 %), per i polloni di leccio (valori compresi tra 42.2 e 44.1 %) e per quelli di corbezzolo (valori compresi tra 45.9 e 49.4 %).
Composizione isotopica dell’idrogeno (δD)
Comparando i valori di δD di acqua xilematica lungo le tre aree del gradiente altimetrico è stato possibile osservare in tutte le piante di età avanzata (matricine di leccio e di sughera) valori più negativi di δD rispetto alle tipologie giovani (polloni di leccio e di corbezzolo - Fig. 8). In particolare nelle aree di 660 e 280 metri di altitudine le matricine hanno mostrato valori di δD intermedi tra il segnale di falda e quello delle precipitazioni estive delle stazioni IAEA di Genova-Sestri e di Pisa. Le tipologie selvicolturali più giovani, al contrario, hanno mostrato valori di δD dell’acqua xilematica molto simili al segnale isotopico delle precipitazioni estive delle stazioni IAEA evidenziando probabilmente un apparato radicale superficiale capace di approvvigionarsi dell’acqua di pioggia. Considerando i valori medi di ciascuna tipologia selvicolturale lungo le tre aree del gradiente, A. unedo ha mostrato i valori di δD meno negativi e pertanto con un maggiore contenuto di deuterio (-17.3 ‰). In particolare, per i polloni di A. unedo dell’area a 660 m. di altitudine è risultato evidente un valore medio del δD particolarmente arricchito in deuterio (-11.2 ± 1.5 ‰) quando comparato con le stesse tipologie delle altre aree del gradiente in relazione al fatto che in questo sito, alcuni giorni precedenti al campionamento, erano caduti circa 0.7 mm di pioggia. Essendo la foresta di Pula situata a pochi chilometri dal Mar Mediterraneo è probabile che le precipitazioni cadute sulla foresta provengano dalle prime nuvole formate sul mare (assenza di effetto continentale).
Fig. 8 - Confronto tra i valori medi di composizione isotopica del deuterio dell’acqua xilematica delle tipologie selvicolturali presenti lungo le tre aree del gradiente altimetrico. Le barre indicano l’errore standard della media (n=5, per tipologia selvicolturale).
La Fig. 9 mostra come la composizione isotopica dell’acqua di falda sia diventata più negativa con l’altitudine. L’area di altitudine più elevata (850 m.) ha mostrato un valore medio di δD di -42.8 ± 0.7 ‰ mentre le aree di 660 e 280 metri si sono attestate rispettivamente a valori di -38.7 ± 0.9 e -36.4 ± 0.0 ‰. L’impoverimento in deuterio dell’acqua di falda con l’altitudine potrebbe essere causato da una diversa origine geografica delle falde freatiche e dalla mescolanza delle differenti fonti di precipitazioni (cioè, pioggia, nebbia e/o dalla neve sciolta) esistenti nell’acqua del terreno. Un’ipotesi aggiuntiva è che il deuterio delle precipitazioni diminuisce con la quantità di pioggia caduta e con l’altitudine (effetto temperatura ed effetto altimetrico) ([60], [48], [6]). In questo modo, essendo l’acqua di falda costituita da varie componenti idriche tra cui quella principale è attribuita al valore medio delle precipitazioni locali ([29]) è lecito pensare che la composizione isotopica dell’idrogeno dell’acqua di falda rispecchi in larga misura quello delle precipitazioni locali.
Fig. 9 - Comparazione dei valori di δ13C fogliare e di δD dell’acqua di pioggia estiva, di falda e xilematica delle tipologie selvicolturali presenti lungo le tre aree del gradiente. I livelli medi dell’acqua di pioggia estiva sono indicati dalla barra tratteggiata rossa mentre il segnale dell’acqua di falda è indicato dalla linea rossa. Le barre indicano l’errore standard della media (n=5, per tipologia selvicolturale).
Relazioni tra δD e δ13C
Alcune interessanti comparazioni tra il δD e il δ13C sono state osservate lungo il gradiente altimetrico (Fig. 9). In particolare per quasi tutte le tipologie di studio è stato osservato un diverso comportamento nell’efficienza di uso dell’acqua delle piante in relazione al tipo di approvvigionamento idrico. In questo senso le tipologie selvicolturali capaci di approvvigionarsi delle risorse idriche presenti a profondità maggiori (Q. ilex/matricine e Q. suber/matricine) risultavano impoverite in 13 C, evidenziando bassi valori di efficienza di uso dell’acqua, quando comparati con le tipologie selvicolturali capaci di approvvigionarsi direttamente di risorse idriche di superficie (Q. ilex/polloni e A. unedo/polloni). Inoltre, sulle matricine di leccio, un aumento dei valori di azoto associati ad una riduzione della SLA potrebbe spiegare l’incremento dell’efficienza di uso dell’acqua. Una minore efficienza di uso dell’acqua può indicare, a parità di flussi di assimilazione, una maggiore perdita di acqua dovuta a traspirazione sostenuta. A parità di traspirazione, variazioni di WUE possono essere determinate però da differente capacità fotosintetica. Tuttavia, la relazione indicata per i siti in quota non è stata osservata nel sito di bassa altitudine poiché alcune tipologie selvicolturali (Q. ilex/matricine e A. unedo/polloni) pur riflettendo il segnale del δD delle stesse tipologie degli altri siti mostrava un segnale del δ13C meno negativo (-25.44 ± 0.24 ‰) rispetto a quelle presenti nei siti di 660 e 850 metri di altitudine (rispettivamente, -26.63 ± 0.44 e -27.89 ± 0.24 ‰).
Conclusioni
Il gradiente altimetrico di questo studio si è rivelato un utile strumento per monitorare le variazioni microclimatiche legate alla funzionalità fogliare. La letteratura internazionale riporta chiaramente che il δ13C e la concentrazione fogliare di azoto aumentano, la conduttanza stomatica si riduce con l’altitudine mentre la SLA o resta invariata o decresce all’aumentare dell’altitudine (ad esempio: [35], [38], [25], [32], [52], [8], [31], [34], [51]). Recenti studi hanno anche dimostrato che l’incremento del δ13C fogliare con l’altitudine è correlato a un decremento delle pressioni parziali dei gas presenti a quote più elevate (inclusi CO2 e O2) influenzando in questo modo le caratteristiche diffusionali (conduttanza stomatica e conduttanza del mesofillo) e non-diffusionali della fotosintesi ([55], [34], [50], [51]). I risultati del nostro studio sono invece specularmente opposti a quelli osservati in letteratura poiché riportano rispettivamente un decremento del δ13C fogliare, un effetto non-significativo sul contenuto di azoto fogliare e sul contenuto di clorofilla totale e un aumento della SLA, associati con l’incremento di altitudine. È da notare, tuttavia, che molti lavori in letteratura sono stati focalizzati in regioni umide, dove la disponibilità idrica non è un fattore limitante rispetto ad altri fattori biotici e abiotici. In questo studio la variazione altitudinale è accompagnata da un diverso grado di aridità, causato dal ridursi delle precipitazioni e dalle più alte temperature del sito di bassa quota ma non da una riduzione delle temperature invernali, che non sono comunque particolarmente severe. Con tali presupposti si può affermare che il decremento della composizione isotopica del carbonio (valori del δ13C più negativi) osservato nei siti a 660 e 850 metri di altitudine sia direttamente proporzionale a un minore grado di stress idrico rispetto al sito di bassa altitudine. Tali risultati, sono in accordo con quanto osservato da Van de Water et al. ([58]) lungo un gradiente altimetrico caratterizzato rispettivamente da ambienti aridi e umidi.
Le variazioni osservate sul regime udometrico primaverile, sul parametro SLA e sul δ13C fogliare del sito di bassa altitudine dimostrano che in ambiente mediterraneo le precipitazioni primaverili sono in grado di influenzare marcatamente l’efficienza di uso dell’acqua delle piante, così come stimato via-δ13C fogliare. Eventuali effetti della disponibilità idrica primaverile andrebbero tuttavia presi in considerazione poiché capaci di influenzare lo sviluppo fogliare con effetti su δ13C dovuti al ricircolo, al turnover o alla neo-sintesi di pool carboniosi isotopicamente distinti.
L’assenza di differenze marcate del δD tra le matricine, ovvero quelle tipologie che dovrebbero affidarsi alle acque più profonde, lascerebbe supporre l’uso preponderante per tutte di acque solo relativamente negative (valori mediamente di -25 ‰) ma ben distanti dai valori delle falde, presumibilmente troppo profonde anche per gli apparati radicali più agguerriti. Le acque profonde del suolo si accumulano generalmente in corrispondenza di abbondanti precipitazioni autunno-vernine nelle aree mediterranee generando una relativa somiglianza isotopica alle acque di falda. La forte discrepanza desumibile dall’acqua xilematica delle matricine potrebbero indicare che le acque profonde si sono stratificate in condizioni meteorologiche anomale rispetto alle medie di lungo periodo.
In conclusione, i risultati di questo studio hanno evidenziato comportamenti contrastanti su molte delle variabili eco-fisiologiche misurate, in quanto le condizioni di aridità osservate nel sito a bassa altitudine hanno in gran parte dominato gli effetti fisiologici sull’efficienza di uso dell’acqua, sull’uso delle risorse idriche e sulla morfologia fogliare, rendendo trascurabile l’effetto altitudinale.
Ringraziamenti
Un sentito ringraziamento è rivolto a due anonimi revisori per il prezioso contribuito al miglioramento del manoscritto.
Studio finanziato dal programma di ricerca del Ministero per le Politiche Agricole e Forestali RI.SELV.ITALIA - Sottoprogetto 3.2. “Selvicoltura, funzionalità e gestione sostenibile dei cedui nell’area appenninica e mediterranea”, coordinato dal Dr. Gianfranco Fabbio, area di ricerca 3.2.1 “Efficienza funzionale e interventi selvicolturali in boschi cedui mediterranei”, coordinato dal Prof. Giuseppe Scarascia Mugnozza.
Gli autori ringraziano il personale dell’Azienda Foreste Demaniali della regione Sardegna, in particolare, i tecnici dei cantieri forestali di “Is Cannoneris” e di “Monte Nieddu” e il dott. Tiziano Mei per la preziosa collaborazione durante le indagini sperimentali. Si ringraziano inoltre G. Fabbio, E. Amorini e A. Cutini, (CRA - Istituto Sperimentale Selvicoltura di Arezzo), per il contributo nell’ideazione e la realizzazione delle aree sperimentali. Un ringraziamento particolare a Paolo Atzori per la collaborazione durante i rilievi, Matilde Tamantini (tecnico presso il DISAFRI dell’Università di Viterbo) per il contributo durante la fase di analisi di laboratorio e Ermenegildo Magnani (tecnico presso il laboratorio Isotopi Stabili del Consorzio Agrital-Ricerche di Maccarese, Roma) per il contributo durante le analisi isotopiche ed elementari.
References
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