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New perspectives of the diffusion of forest non-wood products in the multiethnic Europe

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 3, Pages 446-448 (2006)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0427-0003
Published: Dec 18, 2006 - Copyright © 2006 SISEF

Editorials

Abstract

Issues related to non-wood forest products, whose consumption in Europe increased largely in recent years due to immigration, is discussed with reference to sustainable forest management of tropical forests.

Keywords

Non-wood products, Consumption, Immigration, Forest, Tropic, Management, Sustainability

 

Il fenomeno dell’immigrazione ha assunto in questi ultimi anni dimensioni preoccupanti. Interessa, secondo le Nazioni Unite, oltre 190 milioni di persone che vivono al di fuori del paese di origine, suddivise tra il 28% negli Stati Uniti, il 34% in Europa ed il 38 % in Asia ed in Africa.

Il nostro continente rappresenta un’area privilegiata per posizione geografica e facilità di accesso, soprattutto per coloro che provengono dall’Africa e dall’Asia,

L’Italia costituisce, inoltre, un ponte ideale per raggiungere il cuore dell’Europa ed è nello stesso tempo una meta ambita per trovare condizioni favorevoli per il lavoro e la sopravvivenza.

Le conseguenze dell’Europa multietnica in corso di formazione sono facilmente rilevabili nelle città e nelle campagne di tutte le regioni del nostro paese, dal settentrione al meridione, e non potevano venire previste, quando l’idea della casa comune europea aveva mosso i primi passi nel lontano 1957.

Lo dimostra il fatto che, nel 2006, all’apertura dell’anno scolastico, sono stati immatricolati oltre cinquecentomila alunni stranieri, di cui 200000 nella scuola formativa.

Se si prende a riferimento quanto si è verificato nei paesi che possiedono una lunga tradizione nell’immigrazione, si nota che la presenza di stranieri residenti ha subito un costante aumento ed ha raggiunto il 4% della popolazione in Gran Bretagna, il 6% in Francia, l’8%, in Germania con una ripartizione delle aree di provenienza, rispettivamente, dall’India, dal Marocco, Tunisia, Algeria, Turchia.

Per il nostro paese i gruppi di immigrati hanno raggiunto i 3 milioni e questo significa che se il tasso d’immigrazione, di circa 200000 unità all’anno, sarà mantenuto anche in futuro, le quote delle etnie dell’Europa centrale saranno predominanti rispetto a quelle asiatiche ed africane e l’Italia è destinata a raggiungere i valori più alti tra i paesi industrializzati nel 2015.

Nell’Europa multietnica, il fenomeno migratorio non è neutro nei riguardi degli attuali regimi alimentari e di quelli che si formeranno con il passare del tempo.

Infatti, il comportamento degli immigrati passa attraverso tre fasi: la prima è rappresentata dal periodo iniziale di adattamento, durante il quale le abitudini del paese di origine e della località di provenienza rimangono sensibili e trovano possibilità di soddisfacimento negli alimenti che vengono trasportati nei bagagli, durante il viaggio.

Si tratta di una fase che si mantiene viva mediante gli scambi che si stabiliscono con la ricerca di nuovi arrivati, a cui si richiede di portare determinate derrate fresche, come foglie e tuberi.

Un esempio facilmente verificabile a Roma, è rappresentato dai tradizionali scambi che avvengono tra migliaia di persone che convergono, in giorni prestabiliti a seconda delle etnie, nei piazzali antistanti le stazioni Termini (Sudamericani e Africani) e Tiburtina (Europa orientale, Asiatici), e nei punti di collegamento tra la rete di trasporti metropolitani e quelli extraurbani.

Il consumo di queste derrate è in aumento, poiché i punti vendita tradizionali nei mercatini rionali sono diventati più numerosi ed ai frutti secchi si affiancano anche quelli freschi.

Nella seconda fase, sempre legata al fenomeno migratorio, i prodotti non legnosi del bosco trovano impiego in molti ristoranti etnici, che si vanno affermando nelle grandi città, ma anche nei centri minori.

Si assiste, così, alla comparsa di ristoranti etnici di classe, ma soprattutto di trattorie in cui si pratica anche la consegna a domicilio o il take away dei cibi asiatici o africani.

La terza fase, destinata ad affermarsi nel nostro paese nei prossimi anni, è rappresentata dal mantenimento o dal ritorno degli immigrati di seconda generazione e quindi nati e con la cittadinanza del paese di residenza, alle abitudini alimentari tradizionali di quello di origine.

Infatti, con il passare degli anni si sono create delle enclave legate allo sviluppo industriale formate da migliaia di persone provenienti dallo stesso continente, paese o villaggio che richiedono, in maniera regolare, le derrate dell’alimentazione locale.

I motivi possono essere vari, ma non facilmente definibili, e sono generalmente legati al miglioramento della dieta, al significato nutrizionale in aggiunta alla diversità dei sapori, ed in alcuni casi, ad esigenze curative.

Ad esempio, gli ingredienti contenuti in molte foglie per le minestre o per le salse che accompagnano i cibi di base rappresentano un’eccellente fonte di vitamine A e C e di calcio, come quelle presenti in Balanites aegyptiaca appartenente alle Zygophillaceae (37 mg/100g), di fiocina (8.1 mg/100 g) in Baobab (Andasonia digitata della famiglia delle Bombaceae, il cui nome arabo “Buibab” significa albero dai molti semi), e di ferro in Leptadenia hastata (95 mg/100g di ferro), appartenente al genere Danaus, diffusa dall’Africa, all’Indonesia, all’Australia. Le foglie, secondo le specie, possono essere consumate fresche, conservate, disseccate o fermentate.

Semi e noci forniscono olio, proteine, energia come, ad esempio, i semi fermentati di Parkia che contengono 26-47 g/100g di proteine e 517-618 chilocalorie.

In alcune regioni del Ghana, oltre la metà dei cibi contengono Parkia fermentata, mentre nelle zone aride l’aggiunta di gomma arabica aumenta l’intensità di sintesi delle vitamine ed aiuta a mantenere un’appropriata flora intestinale.

In Bangladesh, sono stati rilevati sintomi di malnutrizione in alcuni villaggi che disponevano di maggior quantità di riso e di grano rispetto a quelli che consumavano più foglie e più frutti, poiché durante l’anno il contenuto di sostanze minerali e di vitamine era risultato superiore nell’alimentazione tradizionale, praticata da questi ultimi.

In molte regioni asiatiche ed africane, i frutti di bosco vengono mescolati al riso, quale valida sorgente proteica.

Nello Swaziland, 12 specie di frutti vengono consumate regolarmente due volte la settimana da adulti e da bambini, da oltre metà della popolazione come integratori alimentari.

L’incremento della richiesta dei prodotti non legnosi del bosco è quindi probabilmente legata al fatto che l’immigrazione recente in molti paesi europei ha ravvivato l’interesse per i sapori ed i gusti delle rispettive tradizioni alimentari.

Il problema del rifornimento delle derrate è complesso, poiché alcuni prodotti devono essere consumati freschi, per evitare la perdita della loro efficacia ed anche la riduzione del loro prezzo, con il passare del tempo.

Per le specie ad elevato valore nutritivo o medicinale, si fa quindi ricorso al trasporto aereo, che ha raggiunto nel caso di “bush plums” (Dacryodes edulis) e di “eru” (Gnetum africanum e Gnetum buchholzianum), oltre 100 tonnellate che vengono esportate da Camerun, Gabon, Congo per le etnie africane che vivono in Francia ed in Belgio e che ammontano a decine di migliaia di persone, compresa la popolazione studentesca.

Nelle grandi città, come Parigi e Bruxelles, i centri di vendita dei prodotti del bosco sono organizzati secondo gli standards africani e cioè il mercato all’ingrosso, conosciuto con il nome di “zandu”, e quello al minuto o di quartiere noto come “ouenzè”.

A Parigi, il punto di maggiore concentrazione dei grossisti a cui ricorrono i dettaglianti, è situato alla fermata della metropolitana Ch’teau Rouge, nel 18° municipio,dove oltre alla vendita di generi alimentari, si svolgono anche altre attività commerciali, riguardanti stoffe, vestiti, oggetti lignei ecc.

Nella capitale del Belgio, Bruxelles, l’organizzazione del mercato è analoga a quella francese e si svolge a Matangué, nome che è stato dato alla piazza di Nemurs dal nome di un quartiere di Kinshasa, dove è stato ricreato un ambiente tropicale a cui partecipano anche le etnie asiatiche, sudamericane e delle Antille.

In complesso su 45 specie vegetali commercializzate, 13 appartengono alla flora spontanea, 26 a quella coltivata, 6 miste, come Dacryodes edulis.

Un aspetto innovativo è dato dalla crescente richiesta di prodotti trasformati o surgelati e destinati al mercato biologico, come le foglie di Manihot esculenta (“sake sake”) e di Vernonia (“ndolé”), i bastoni di manioca imballati nelle foglie di Marantaceae (“miondo”).

La maggior parte dei prodotti non deperibili vengono importati per nave, mentre i rimanenti per via aerea.

Le compagnie specializzate provvedono, talvolta, anche ad organizzare le reti di raccolta nei paesi di origine, ed alla distribuzione in Germania, Olanda, Svezia, Inghilterra, Svizzera. Inoltre gli importatori occasionali sono molto attivi e numerosi, specialmente nelle aree di immigrazione recente.

L’incremento costante delle etnie provenienti dai paesi asiatici ha portato a nuove forme di distribuzione, grazie alla capacità imprenditoriale e commerciale di Indiani e Pakistani che rapidamente prendono possesso del commercio ambulante, ma che hanno anche aperto drugstores in molti mercati rionali, dove sono disponibili spezie, e pasti cotti conditi con aromi delle erbe del bosco.

Questa maggiore attenzione alle diete etniche è positiva, poiché offre sicurezza ai paesi produttori in Africa ed in Asia, per far fonte alle esigenze del mercato e favorisce il passaggio dalla semplice fase di raccolta delle piante o di parte di esse, alla propagazione e coltivazione diretta.

Tuttavia, la diffusione dei prodotti non legnosi del bosco provenienti da altri continenti in Europa non è priva di rischi. Mentre in passato la raccolta delle piante necessarie alla sopravvivenza dava raramente luogo all’eccessiva utilizzazione, attualmente molte comunità rurali in Africa, in Asia e nell’America centro-meridionale devono affrontare la scomparsa di specie alimentari che vengono tagliate, sradicate e trasportate in altri mercati, grazie all’apertura di nuove vie di comunicazione.

La distruzione di vaste aree forestali tropicali provoca la perdita di specie di cui non si conoscono ancora le caratteristiche tassonomiche, biologiche, nutrizionali, le modalità di propagazione e le interazioni ecologiche.

Vi è quindi necessità di un maggior controllo, soprattutto per quelle che vengono impiegate dalle popolazioni locali per superare i periodi di crisi in occasione di calamità naturali ed in rapporto alla siccità ed all’andamento stagionale.

La gestione sostenibile delle foreste deve comprendere anche le specie che forniscono i prodotti non legnosi, che dovrebbero venire tenute in considerazione mediante appositi rilevamenti durante gli inventari forestali, poiché, a volte, la loro presenza in rapporto alle condizioni climatiche ed ai tipi di vegetazione risulta sovrastimata.

L’impiego delle immagini fotografiche o da satellite può portare a valutazioni errate, poiché sotto una copertura delle chiome apparentemente continua, le specie del sottobosco più utilizzate e più vulnerabili possono essere assenti e dar luogo alla “foresta vuota”.

Il ricorso alla conservazione delle specie più rare nelle aree protette e la propagazione delle specie commerciali richieste dal mercato rappresentano due aspetti significativi dei prodotti non legnosi del bosco.

Per quanto riguarda le specie presenti nella flora spontanea del nostro paese, sono stati compiuti sensibili progressi da quando dalle singole iniziative individuali si è passati a forme di raccolta, di produzione e di commercializzazione cooperativa. Un esempio di particolare rilevanza è costituito dalla Cooperativa Sant’Orsola, che opera a Pergine, in Trentino.

Il modello italiano può, quindi, essere di grande utilità oltre che per i paesi in via di sviluppo, anche per quelli industrializzati come gli Stati Uniti, dove la popolazione di origine ispano-latina rappresenta ormai il 28% di quella totale, con conseguenti modifiche nell’alimentazione tradizionale e l’uso generalizzato di specie provenienti dall’America meridionale.

Nello scenario futuro dell’Europa multietnica l’impiego dei prodotti non legnosi del bosco è destinato a proseguire e se la loro gestione verrà effettuata in maniera razionale, alla multifunzionalità del bosco si verrà ad aggiungere quella nutritiva, finora poco conosciuta.

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