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Desertification, drought, forest and research

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 2, Pages 256-257 (2005)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0299-0002
Published: Sep 21, 2005 - Copyright © 2005 SISEF

Editorials

 

La desertificazione è uno dei più allarmanti processi di degradazione ambientale a scala globale: interessa oltre il 25% delle terre emerse e minaccia la salute e i mezzi di sussistenza di più di un miliardo di persone. Ogni anno, desertificazione e siccità causano una perdita di produzione agricola stimata sui 42 miliardi di dollari. La grande portata di questa emergenza e la necessità di una maggiore consapevolezza in merito hanno indotto l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a proclamare il 2006 ’Anno Internazionale dei Deserti e della Desertificazione’. In questo ambito, particolare rilevanza viene assegnata al ruolo delle coperture forestali.

L’Italia e i paesi europei mediterranei (Paesi dell’Annesso IV della Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla siccità e alla desertificazione, UNCCD, firmata a Parigi nel 1994) sono direttamente interessati al fenomeno della desertificazione, trovandosi in un contesto di problematiche legate a: prolungati periodi di siccità (come verificatosi anche questa estate); presenza di suoli con marcata tendenza all’erosione; alta frequenza di incendi boschivi; condizione diffusa di ritiro dalla produzione di seminativi con relative conseguenze (a esempio, erosione del terreno, propagazione degli incendi) derivanti dall’abbandono delle pratiche agronomiche e dal progressivo deterioramento delle sistemazione agrarie tradizionali (a esempio, terrazzamenti); sfruttamento eccessivo delle risorse idriche; concentrazione delle attività economiche lungo le fasce costiere con conseguenze negative (a esempio, salinizzazione delle falde) che si ripercuotono in tutto l’ecosistema mediterraneo.

In questo quadro, si stima che circa il 52% del territorio italiano sia esposto al rischio di potenziali processi di degradazione del suolo (v. Atlante Nazionale delle aree a rischio di desertificazione, elaborato a cura dell’Istituto Sperimentale per lo Studio e la Difesa del Suolo - CRA), territorio largamente coincidente con le regioni climatiche di tipo mediterraneo.

Per l’attuazione della Convenzione UNCCD, il Governo italiano ha provveduto, con Deliberazione CIPE 299/1999, all’emanazione del Programma d’Azione Nazionale (PAN) per la lotta alla siccità e alla desertificazione. In tale ambito, lo sviluppo dei programmi di ricerca viene propugnato quale strumento primario (art. 3, comma b). La protezione del suolo e la gestione sostenibile delle risorse naturali sono indicati quali temi di prioritario interesse (art. 2, comma a).

In questa prospettiva e con riferimento alla situazione ambientale italiana e dei paesi del bacino mediterraneo, caratterizzati da un’antica e intensa antropizzazione, particolare rilevanza assumono i metodi di rimboschimento e di creazione di alberature e frangiventi. La lotta la desertificazione ha sempre visto le misure forestali come strumento fondamentale. Anzi, è stato affermato che le pratiche forestali (gestione razionale dei boschi, difesa dagli incendi, rimboschimenti) siano nate proprio dall’osservazione che l’utilizzazione incontrollata delle risorse boschive si è tradotta inesorabilmente in processi degradativi che, in zone aride e subaride, hanno come esito l’avanzata del deserto.

Determinate configurazioni di fattori fisici predisponenti (aridità, siccità, erosività della pioggia, morfologia, orografia, suoli altamente erodibili derivanti da rocce calcaree o da formazioni sedimentarie argilloso-sabbiose) hanno ampliato in estese aree del nostro Paese (Sicilia, Sardegna, Calabria, Puglia, Basilicata, ecc.) gli effetti dei processi di degrado innescati dai fattori di pressione antropica. I principali impatti sono stati la semplificazione strutturale e compositiva delle cenosi, l’aumento a scala di bacino dell’erosione reale media annua e, nel lungo periodo, la potenziale desertificazione, almeno nelle zone climaticamente più sensibili.

Dall’incrocio dai dati dell’Atlante Nazionale delle aree a rischio di degradazione in Italia con quelli del IV° livello di Corine Land Cover 2000 risulta che circa il 25% di queste aree è coperto da vegetazione forestale: le formazioni più diffuse sono, nell’ordine, i boschi a prevalenza di querce caducifoglie, i boschi a prevalenza di querce sempreverdi, la macchia bassa e le garighe, le pinete di pini mediterranei (p. d’Aleppo, p. domestico, p. marittimo).

La capacità di protezione esercitata dai soprassuoli forestali è molto fragile quando sono soggetti all’esposizione congiunta, frequente e reiterata a fenomeni di pressione antropica quali incendi, sovrapascolamento, sovrasfruttamento delle produzioni legnose, ecc., come è avvenuto e non di rado ancora avviene in molte aree mediterranee. Peraltro, va evidenziato che i sistemi forestali mediterranei sono coevoluti con tali perturbazioni, sviluppando strategie adattative, al punto che, entro certi limiti, i fattori perturbativi sono entrati far parte delle dinamiche naturali e degli stessi processi di rigenerazione (a esempio, azione fuoco nella rinnovazione delle pinete mediterranee, coinvolgimento degli animali al pascolo nella dispersione dei semi e dei frutti e nella germinazione dei semi). In ogni caso, il degrado della vegetazione e del suolo può risultare limitato se l’intensità della pressione da parte dei fattori di degrado non supera la intrinseca resilienza degli ecosistemi.

In condizioni bioclimatiche quali quelle italiane, la desertificazione (sensu lato) non è dunque una conseguenza ineluttabile dell’attuale fenomeno dei cambiamenti climatici: essa si è storicamente verificata, e tuttora si verifica, soprattutto in particolari congiunzioni tra fattori ambientali predisponenti e pressioni antropiche sulle risorse naturali, e comunque mai in assenza di quest’ultime.

La UNCCD riconosce un ruolo di primaria importanza alla scienza e alla tecnologia nella lotta alla desertificazione. Epperò, in Italia, sebbene lo stesso PAN abbia prefigurato opportunità di ricerca in merito e l’Unione Europea abbia investito importanti risorse finanziarie sul tema, si registra ancora un gap di studi. Sotto questo profilo, occorre: da un lato, favorire ulteriori iniziative di ricerca da parte di soggetti italiani al fine di attivare competenze autonome e massa critica di studi; dall’altro, legare più strettamente tali iniziative a risultati operativi strategici sotto il profilo delle soluzioni gestionali.

Da sottolineare, infine, l’opportunità che le relazioni funzionali sottese ai processi di degrado vengano studiate in modo integrato e le ricerche siano raccordate ai programmi di monitoraggio permanente dei fenomeni considerati e di verifica degli auspicati interventi di mitigazione. In questa prospettiva, è, a esempio, di particolare attuale interesse la messa a punto di indicatori operativi per la valutazione comparata del potenziale sinergico dei progetti di cosiddetta afforestazione e riforestazione, non solamente in termini di fissazione di carbonio atmosferico ai sensi della Deliberazione CIPE 123/2002, ma congiuntamente proprio anche ai fini di lotta alla siccità e alla desertificazione (oltre che di conservazione della biodiversità): potrebbe così essere reso disponibile uno strumento di particolare efficacia ai fini decisionali di incentivazione finanziaria dei nuovi impianti da parte degli Enti competenti.

 
 
 

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