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Contribution to the definition of Regions of Provenance for forest reproductive materials

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 2, Pages 198-206 (2005)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0293-0020198
Published: Jun 08, 2005 - Copyright © 2005 SISEF

Research Articles

Guest Editors: RI.SELV.ITALIA - MiPAF Project
« Shared Research Program on Silviculture in Italy »
Collection/Special Issue: Massimo Bianchi

Abstract

The study presents a proposal for ecological zoning of Italy, based on eco-pedological maps, as an aid for defining homogeneous zones for collecting forest propagation materials. The need is stressed for strong coordination among administrative regions, for common terminology and protocols.

Keywords

Regions of Provenance, Seed zones, Forest basic materials

Introduzione 

Molti paesi europei hanno definito regioni di provenienza per le specie forestali, come primo passo per la gestione delle risorse genetiche forestali. In Italia il Libro Nazionale dei Boschi da Seme contempla la descrizione delle singole popolazioni (boschi da seme), ma non una suddivisione territoriale complessiva, che possa costituire un quadro di riferimento per limitare l’impiego di materiale in aree troppo differenti.

L’esigenza di una suddivisione di questo tipo in Italia è diventata più attuale in base alla recente normativa europea (Direttiva 1999/105/CE, recepita dal DLgs. 386/2003; vedi ⇒ http:/­/­europa.eu.int/­eur-lex/­), che obbliga ad indicare la regione di provenienza per i materiali di base classificabili come ’Identificati alla fonte’ o ’Selezionati’, al fine di un controllo sui movimenti e sul corretto impiego del materiale. La stessa direttiva definisce per regione di provenienza un territorio soggetto a condizioni ecologiche sufficientemente uniformi sul quale si trovino soprassuoli o fonti di semi con caratteristiche fenotipiche o genetiche analoghe, tenendo conto dei limiti altimetrici, ove appropriato.

Nel delineare i confini delle regioni di provenienza si possono distinguere diversi percorsi metodologici ([2]). Nell’approccio di tipo partizionista ([8]), seguito per la definizione di regioni di provenienza, ad esempio, in Germania o in Norvegia, viene data molta importanza a criteri di relativa omogeneità ecologica. Si tratta di un approccio molto intuitivo, dove i limiti delle varie regioni sono riportati in base alle variazioni dei parametri presi in considerazione, scelti per lo più sulla base di considerazioni di carattere locale, come possono essere l’influenza dell’altitudine o della distanza dal mare. Seguendo un approccio associativo, invece, in Francia viene dato un maggior peso ai parametri genetici e le popolazioni (di una specie) che evidenziano una affinità genetica vengono raggruppati in una stessa regione di provenienza, è quindi necessario poter disporre di tali informazioni per tutte le specie. Per questi motivi, essendo nel nostro Paese le conoscenze genetiche ridotte a particolari specie forestali o gruppi di specie o parti del territorio, una suddivisione che contempli in primo luogo criteri di tipo ecologico appare in questa fase più opportuna.

In questo lavoro, riprendendo un precedente contributo ([8]) sull’argomento, viene elaborata una proposta di suddivisione del territorio nazionale al fine di discutere il concetto di ’relativa’ omogeneità ecologica nell’ambito di una regione di provenienza, in un paese come l’Italia che vede alternarsi in spazi molto ristretti una notevole variabilità ambientale. L’obiettivo più generale è quello di proporre un metodo non solo per la definizione di un quadro di unione nazionale delle regioni di provenienza, ma anche per il dettaglio maggiore, a livello regionale.

Materiali e metodi 

Punto di partenza dello studio è stata la cartografia di massima delle regioni ecologiche riportata in Pignatti & Ducci ([8]). Per la definizione dei confini di regione era stato dato un notevole peso, oltre a caratteristiche bio-climatiche (desunte da una cartografia proposta da [9]), anche a criteri riconducibili all’esistenza di eventuali barriere ai flussi di geni, come catene montuose, fiumi o laghi, aree antropizzate, azione di venti dominanti. In particolare era stato dato rilievo alle linee di spartiacque lungo i principali complessi montuosi (ad esempio lungo la dorsale appenninica) e al corso di alcuni fiumi principali, come il Po, l’Arno o il Tevere, che andavano a costituire il confine di alcune regioni.

La cartografia così ottenuta è stata successivamente ridotta come complessità, seguendo l’esigenza di non frazionare eccessivamente il territorio (da 34 unità originarie, si è passati a 30), e riportata sulla base cartografica di un database eco-pedologico 1:250.000, prodotto nell’ambito di una convenzione fra Ministero dell’Ambiente ed Ufficio Europeo del Suolo e collegato ad una più ampia attività di cartografia pedologica ([6]).

In altri termini, i poligoni della cartografia ecopedologica (omogenei per Soil Region), sono stati, eventualmente frazionati in sub-poligoni, riclassificati sulla base della loro appartenenza a una delle 30 unità da noi precedentemente individuate e chiamate regioni ecologiche.

In ogni regione ecologica è stata calcolata la frequenza (in termini di percentuale rispetto alla superficie complessiva della regione) delle Soil Regions, come riportato nella Tab. 1. I dati di frequenza sono stati elaborati con PCA (Principal Components Analysis), una tecnica utilizzata per evidenziare particolari raggruppamenti in un set di dati. Più precisamente, esistendo una correlazione fra le variabili (Soil Regions) che descrivono ogni regione ecologica, con questo tipo di analisi è stato possibile individuare delle variabili sintetiche (componenti principali), che consentono di esaminare globalmente sia le relazioni fra le diverse unità individuate, che le caratteristiche di ognuna. Ciò è servito in definitiva a chiarire meglio il concetto della “relativa omogeneità” ecologica, all’interno di ogni regione.

Tab. 1 - Frequenze (% di superficie) delle diverse Soil Regions (18 in tutto, nelle colonne) della carta ecopedologica nelle regioni ecologiche (30 in tutto, nelle righe). La descrizione delle Soil Regions è riportata nella Fig. 1.

- 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18
1 54 8 31 - - - - 8 - - - - - - - - - -
2 20 2 77 - - - - - - - - - - - - - - -
3 - - 100 - - - - - - - - - - - - - - -
4 51 49 - - - - - - - - - - - - - - - -
5 5 95 - - - - - - - - - - - - - - - -
6 20 80 - - - - - - - - - - - - - - - -
7 17 41 41 - - - - - - - - - - - - - - -
8 1 72 28 - - - - - - - - - - - - - - -
9 1 49 49 - - - - - - 1 - - - - - - - -
10 - - 66 - - - - - 18 16 - - - - - - - -
11 - - 57 - 5 - - 8 3 23 - - - - - 4 - -
12 - - 72 - - - - 6 4 18 - - - - - - - -
13 3 17 - 6 27 - - 2 1 30 - - 2 1 - 9 - -
14 - - - - 54 - - 3 2 36 - - - 5 - - - -
15 - - - 4 34 - - - 26 - 15 - 11 - - 9 - -
16 - - 5 2 33 - - - 27 26 - - 1 6 - - - -
17 - - - 6 25 - - - 25 - 12 - 9 5 - 17 - -
18 - - - - 13 - 17 - 1 14 11 - 1 42 - 1 - -
19 - - - 7 36 - - - 38 2 14 - - 2 - - - -
20 - - - 4 21 - 3 - 6 - 27 - 24 2 - 11 - -
21 - - - 37 3 27 - - 6 - 8 - 19 - - 1 - -
22 - - - 11 - 16 2 - - - - 5 42 - 2 - 22 -
23 - - - 8 1 17 1 - 28 - 19 2 14 5 - - 2 3
24 - - - 7 - 5 - - - - - 71 1 - - - - 16
25 - - - 10 - 15 5 - - - - 21 28 - 2 - 19 -
26 - - - 1 - 15 - - - - - 41 8 - 12 1 22 -
27 - - - 6 - 14 - - - - - 54 8 - 8 - 10 -
28 - - - 7 - 14 - - - - - 34 3 - 8 - 35 -
29 - - - 6 - 19 1 - - - - 20 12 - 11 15 17 -
30 - - - 1 - 20 - - - - - 5 11 - 10 5 48 -

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Risultati 

Nella Fig. 2 è riportata la suddivisione dell’Italia in 30 regioni ecologiche, evidenziando le Soil regions della carta ecopedologica. Come si può notare, le regioni sono omogenee al loro interno solamente in termini relativi, essendo state privilegiate, preliminarmente, considerazioni riguardanti i versanti delle catene montuose principali e ai corsi d’acqua. Ciò comporta una certa aderenza, nei confini di alcune regioni, con limiti di carattere amministrativo (soprattutto quando è un fiume a determinare il confine fra due regioni amministrative), ma una notevole eterogeneità interna, a livello eco-pedologico. La Tab. 2 riporta infatti, in termini di frequenza, la superficie delle diverse Soil Regions nelle 30 regioni: l’eterogeneità riscontrabile all’interno di regioni anche di superficie limitata è conseguenza dell’elevata variabilità ambientale del nostro Paese, che tende a crescere passando dalle regioni alpine a quelle mediterranee.

Fig. 2 - Limiti delle 30 regioni ecologiche individuate e Soil Regions in cui sono suddivise al loro interno. I colori delle Soil Regions corrispondono a quelli riportati in Fig. 1.

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Tab. 2 - Descrizione sintetica e commenti sui gruppi individuabili sul diagramma PCA.

Regioni ecologiche
(per gruppi di aree affini)
Soil Regions (prevalenti) Descrizione sintetica e commenti
04, 05, 06 1, 2 Rilievi alpini a clima temperato montano, con materiale parentale definto da rocce sedimentarie calcaree o rocce ignee e metamorfiche. Le regioni 5 e 6 potrebbero essere unificate. Comprende, oltre all’Alto-Adige la parte più settentrionale di Veneto, Trentino e Lombardia, con le valli a clima più continentale.
02, 03, 07, 08, 09, 10 3, 2 (loc.), 1 (loc.) L’elemento unificante del gruppo è la Pianura padana (depositi fluviali e clima temperato suboceanico), anche se in maniera cospicua, in certe regioni, si presentano anche rilievi alpini a clima temperato montano, calcarei o silicatici. Il gruppo comprende l’area dal Veneto al Piemonte, Langhe comprese. La regione 03 è particolare, abbracciando l’arco adriatico più influenzato dal mare e dai venti di nord-est.
01, 11, 12 3, 10 e 8 (marginalmente) Gruppo piuttosto eterogeneo, con aree anche distanti geograficamente, affini per la presenza (marginale) della Soil region 8. Oltre alla presenza della Pianura padana padana (depositi fluviali e clima temperato suboceanico), vi sono rilievi collinari e di carattere prealpino, con rocce sedimentarie terziarie e clima temperato (montano, caldo-subcontinentale) o mediterraneo (oceanico-suboceanico). Emilia-Romagna e Friuli Venezia-Giulia.
13, 14, 16 5, 10 Elementi caratteristici sono le pianure alluvionali derivate da depositi fluviali a clima mediterraneo (oceanico-suboceanico) e i rilievi collinari a clima temperato caldo subcontinentale. Zone di rapida transizione, in Liguria, Toscana (interna e settentrionale) e Marche.
15, 17, 19, 20 5, 9, 11, 16 (loc.) Oltre alla presenza di pianure alluvionali derivate da depositi fluviali a clima mediterraneo (oceanico-suboceanico), sono importanti rilievi di tipo prealpino e appenninico con materiale parentale definito da rocce sedimentarie e clima mediterraneo oceanico-suboceanico parzialmente montano e montano. Localmente (Toscana, Lazio, Campania) sono importanti anche i rilievi vulcanici. Si tratta di regioni piuttosto eterogenee al loro interno.
18 14 e marginalmente 7, 10, 5 Elemento caratteristico sono i rilievi appenninici con materiale parentale definito da rocce sedimentarie calcaree e clima temperato caldo subcontinentale, assieme alle conche intermontane con depositi di origine glaciale: è la zona più elevata dell’Appennino centrale (Lazio-Abruzzo).
21, 23 4, 6, 13 Regioni eterogenee, con pianure costiere derivate da depositi quaternari marini o pianure di origine fluviale e rilievi calcarei a clima mediterraneo (da subtropicale a montano). Il gruppo comprende la Puglia settentrionale (Gargano) e Basilicata.
22, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30 12, 13, 6, 4, 17 Regioni eterogenee, caratterizzate da rilievi appenninici di origine sedimentaria, rilievi vulcanici e da pianure derivate da depositi quaternari marini o da depositi fluviali, con clima mediterraneo, da subtropicale a montano. Il gruppo comprende Calabria, Puglia centro-meridionale e le Isole.

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L’elaborazione dei dati contenuti in Tab. 2 per mezzo della PCA, ha prodotto una classificazione delle 30 regioni in alcuni gruppi, contenenti unità con simili valori di frequenza, evidenziato in Fig. 4, e l’ordinamento riportato in Fig. 3 dove si può osservare lungo l’asse PCA1 ai valori minimi le regioni a maggiore impronta mediterranea (Isole, Calabria, Puglia centro-meridionale), in una posizione intermedia quelle centro-appenniniche dell’interno come della costa (da Liguria e Marche a Puglia settentrionale e Basilicata), ed infine ai valori massimi le regioni alpine e dell’Appennino settentrionale, versante emiliano e romagnolo. Una sommaria descrizione delle regioni ecologiche è riportata nella Tab. 1.

Fig. 4 - Regioni ecologiche colorate in base all’appartenenza ai raggruppamenti individuati dalla PCA (cfr. Fig. 3).

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Fig. 3 - Diagramma PCA, che riporta le prime due componenti (PCA1 e PCA2), che spiegano rispettivamente il 28 ed il 21% della variazione presente nei dati. I numeri si riferiscono alle regioni ecologiche, come riportate in Fig. 2, mentre le linee tratteggiate individuano i raggruppamenti principali.

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Un esempio sulla delimitazione di regioni di provenienza quando si disponga di dati genetici

Abies alba è una delle specie maggiormente conosciute nel nostro Paese e si presta quindi ad essere un esempio per verificare la bontà del metodo di costruzione di una carta delle regioni di provenienza con metodo misto.

Oltre ad un’abbondante letteratura sulla distribuzione e sulla variabilità intraspecifica dell’abete, soprattutto quello appenninico, verificata su caratteri fenotipici a partire dall’immediato primo dopoguerra, nel 1925 con la piantagione di una prima serie di prove comparative (Pavari & Morandini 1951, [3], [1]), si dispone oggi anche una buona quantità di dati sulle caratteristiche genetiche della specie. L’abete italiano, distribuito su circa 60.000 ha, è caratterizzato da variazione clinale secondo la latitudine da una serie di meta-popolazioni che, attualmente isolate, sono state ripetutamente a contatto nel corso di varie fasi interglaciali. In Italia sono iscritti attualmente al Libro Nazionale dei Boschi da Seme 26 abetine, in gran parte autoctone.

Vari autori hanno studiato le relazioni tra l’abete italiano e le diverse specie circum-mediterranee ([7], [10]) e a livello intra-specifico ([4], [7]) impiegando marcatori genetici neutri biochimici e DNA. Accumulando quindi anche informazione relativamente precisa.

L’esame comparato dei dati, essenzialmente distanze genetiche, ottenuti con le diverse tecnologie, permette di distinguere due grandi gruppi, uno settentrionale ed uno meridionale, quest’ultimo suddiviso a sua volta in 3 sottogruppi. La cerniera tra i due gruppi maggiori, sembra collocarsi all’altezza del Molise a circa 41° 40’ di latitudine. Questa zona potrebbe anche essere un antico punto di contatto tra abete del sud Italia e quello balcanico. Endemismi botanici sembrano confermare una simile ipotesi. Quanto è a Nord, pur nella diversità determinata da isolamento ed adattamento a condizioni stazionali, può essere considerato relativamente omogeneo, salvo una marcata differenziazione tra le popolazioni delle Alpi marittime Cozie e Graie (Val Pesio, Val Maira, Val Nervia ecc.), che mostrano relazioni con popolazioni del versante francese, e popolazioni orientali. Per i materiali alpini, tuttavia l’informazione non è molto numerosa in quanto meno studiate sotto questo punto di vista, mentre per i meridionali è più abbondante. Man mano che si procede verso Sud i livelli di variabilità aumentano, come anche la differenziazione tra gruppi di popolazioni. Queste sono sufficientemente estese e numerose per garantire il mantenimento di variabilità e livelli di polimorfismo sufficienti. In Calabria, antico rifugio durante i periodi glaciali, è possibile osservare grande variabilità, distinguendo almeno 4 regioni genetiche di provenienza: Pollino (di transizione tra le popolazioni molisano-campane e quelle calabresi), Sile, Serra S. Bruno (ben nota per il suo vigore, che quasi potrebbe essere considerata come un ecotipo), ed Aspromonte.

In Italia centro settentrionale, soprattutto in Toscana, sono ingenti anche gli apporti di materiale non autoctono, di incerta origine centro europea o di altra provenienza. Simili casi pongono il problema della gestione delle risorse genetiche, sia selvicolturale che di programmazione delle attività relative a nuove eventuali piantagioni che dovrebbero essere finalizzate alla tutela della diversità autoctona, ben più ricca di quella settentrionale, lungo tutto l’Appennino.

La delimitazione di regioni di provenienza, sovrapponendo l’informazione genetica a quella ecologica, consentirà di attuare questa gestione; tuttavia la delimitazione non dovrebbe essere tassativa soprattutto per i confini amministrativi in quanto possibili sovrapposizioni tra aree vicine possono consentire i flussi di geni tra popolazioni limitrofe necessari a mantenerne equilibrata la struttura genetica.

Discussione e considerazioni conclusive 

L’aggregazione in gruppi derivata dalla PCA (Fig. 3, Fig. 4, Fig. 5) riflette una importante suddivisione biogeografica della penisola italiana, che vede il passaggio fra la zona temperata e quella mediterranea correre lungo la dorsale appenninica settentrionale. Più in dettaglio, questo passaggio si ha fra le regioni ecologiche n. 13, 14, 16 (più settentrionali) e 15, 17, 18 e 19 (più meridionali), che sul diagramma si inquadrano come regioni di transizione (gruppo intermedio, rispetto ai due estremi dell’asse PCA1, interpretabile come gradiente di natura prevalentemente climatica).

Fig. 5 - Sovrapposizione della distribuzione dell’abete bianco in Italia con le regioni ecologiche e dell’informazione genetica della specie.

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Dal punto di vista forestale, molte formazioni boschive dell’Appennino settentrionale (ad esempio, vari tipi di faggeta) si riallacciano come corologia e fitosociologia a quelle dell’Europa centrale e delle Alpi. Sull’Appennino settentrionale poi ci sono i relitti più consistenti di boschi di carattere boreale, dove è presente l’abete rosso. Più a sud le influenze mediterranee sono più evidenti, e, per esempio, le faggete perdono progressivamente le specie più caratteristiche ad areale boreale ed europeo. Si tratta di un passaggio graduale e non brusco, favorito dall’andamento orografico ed idrografico che non presenta improvvise e ampie interruzioni (vallate di grandi fiumi) andando dalla costa tirrenica a quella adriatica, che garantisce una notevole potenzialità di movimento nord-sud e viceversa alle popolazioni delle specie forestali.

Un secondo elemento di cambiamento si ha più a sud, con la transizione (in questo caso meno graduale) fra le regioni appenniniche meridionali ancora collegate a quelle centrali (n. 21 e 23) e quelle di impronta più decisamente mediterranea (n. 22, 24 e successive). In questo caso gli elementi caratterizzanti tale situazione sembrano riconducibili a barriere di natura geografica come, per le isole, i tratti più o meno cospicui di mare, o per la Calabria, l’isolamento verso nord determinato dal massiccio del Pollino, oppure, per la Puglia centro-meridionale, i fattori bio-geografici (massima collocazione occidentale). Si tratta di regioni che, pur assai eterogenee al loro interno, anche grazie all’importanza che hanno avuto in passato come rifugio nei periodi glaciali, oggi presentano un notevole numero di endemismi (basti pensare all’Abies nebrodensis in Sicilia) o specie relativamente rare nel contesto italiano (fragno e vallonea in Puglia) o particolarità genetiche attestate da certe specie (ad es., nel caso delle popolazioni di Abies alba in Calabria).

In definitiva, mentre la suddivisione in 30 regioni riflette variazioni locali collegabili all’andamento dei versanti montuosi e dei principali corsi d’acqua, le affinità o differenze fra regioni vicine trovano un riscontro in fenomeni più ampi di natura climatica (come le differenze fra versante tirrenico ed adriatico), geo-pedologica e anche bio-geografica, che condizionano la distribuzione delle specie forestali.

Nell’ambito di ogni regione, come si è visto, le unità eco-pedologiche possono essere diverse, più o meno collegate. Ne deriva che ogni regione è suddivisibile in unità a maggiore omogeneità che, presumibilmente, potrebbero essere più utili (delle unità superiori) per individuare le regioni di provenienza per il materiale forestale, come previsto dalla recente normativa. Dal punto di vista della nomenclatura, ogni regione di provenienza potrebbe essere individuata da una sigla di quattro cifre, le prime due indicanti la regione ecologica, le seconde la Soil Region e verrebbero recepiti i due livelli di classificazione.

Nel processo di definizione delle regioni di provenienza in base a quanto specificato dalla normativa europea, un ruolo non marginale sarà svolto dalle amministrazioni regionali. In questo contesto, considerando anche l’autonomia in materia forestale, sembra improbabile che tutte le Regioni seguano lo stesso percorso metodologico, disponendo anche di mezzi molto differenziati, ad esempio a livello cartografico, per definire le regioni di provenienza. Questo fatto non contrasta, in generale, con la necessità di disporre di un quadro di unione nazionale di raccordo per le diverse iniziative, se, dal punto di vista metodologico, vengono soddisfatte alcune condizioni: in primo luogo, la costituzione di un archivio di dati georeferenziati, relativo alle varie delimitazioni decise a livello regionale.

In definitiva, l’individuazione delle regioni di provenienza per le varie specie forestali potrebbe essere realizzata in maniera autonoma, ma dovrebbe essere garantita una compatibilità fra i dati attraverso la realizzazione di un archivio comune, basato, ad esempio, sull’utilizzo della carta ecopedologica per caratterizzare le regioni e di una nomenclatura omogenea e condivisa a livello nazionale. Il processo di definizione delle regioni di provenienza non va del resto interpretato come statico, ma soggetto a variazioni e perfezionamenti dovuti anche al miglioramento graduale delle conoscenze sulla genetica delle specie forestali.

Ringraziamenti 

Lavoro svolto dagli autori in parti uguali, nell’ambito del progetto Ri.Selv.italia, sottoprogetto 1.1 “Biodiversità e produzione di materiale forestale di propagazione”.

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