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More on monitoring forest habitats: reply to Cutini et al. 2016 e Angelini et al. 2016

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 13, Pages 69-72 (2016)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0080-013
Published: Dec 01, 2016 - Copyright © 2016 SISEF

Commentaries & Perspectives

Abstract

More on monitoring forest habitats: reply to Cutini et al. 2016 e Angelini et al. 2016. The authors reply to the clarification notes by Angelini et al. ([1]) and by Cutini et al. ([4]) concerning the “Manuals for monitoring species and habitats of EC interest (Directive 92/43/CEE) in Italy: habitats” ([2]). They discuss about the role of ecosystem monitoring, the inclusive/exclusive feature of the 9210* habitat, the lack of information on forest spatial and chronological structure. The authors conclude fostering a synergic approach between vegetation and forest science experts in order to provide new and more advanced tools for monitoring, analysis, conservation and management of forest ecosystems in a changing environment.

Keywords

Apennine Beech Forests, Monitoring, Forest Structure, Habitat Conservation, Global Change

 

Ringraziamo la redazione per questa opportunità di replica ai contributi di Angelini et al. ([1]) e Cutini et al. ([4]), i quali in veste di autori e/o curatori del manuale in oggetto hanno precisato alcune posizioni sollevate nella nostra prima nota ([14]). Siamo favorevolmente sorpresi da questo vivace scambio di opinioni, che ci auguriamo possa condurre ad una efficace sinergia nell’ambito di una materia complessa e articolata come quella della conservazione della biodiversità forestale.

Le due repliche sono molto diverse nei toni e nel merito: Angelini et al. ([1]) apprezzano “l’estrema attenzione posta alla disamina dei contenuti del Manuale”, ribadiscono in linea di principio l’importanza dell’interazione con studiosi di matrice applicativa (forestale e agronomica), ma anche la necessità di un approccio guidato dalle scienze della vegetazione (geobotanica, fitogeografia, ecologia vegetale, fitosociologia) come più idoneo nella scelta del “modello cenologico di riferimento a cui avviare lo sviluppo del consorzio forestale”. Infine, essi affermano che il Manuale degli habitat e quello delle specie “rappresentano un punto di partenza, momento essenziale su cui costruire le attività future”.

Cutini et al. ([4]) invece replicano in modo più diretto (e forse infastidito) ai nostri commenti sull’habitat 9210 giudicati “pretestuosi” e/o “distorte estrapolazioni”.

In questa breve nota sono trattati, con alcuni approfondimenti, solo i seguenti aspetti: (a) il carattere inclusivo/esclusivo dell’habitat 9210*; (b) la struttura delle faggete appenniniche; (c) la loro condizione di abbandono colturale. Nelle conclusioni si accenna anche alla possibilità di un maggiore sinergia fra le discipline coinvolte.

In ecologia il termine monitoraggio indica un processo periodico di raccolta ed utilizzo dei dati per informare decisioni gestionali. Il monitoraggio è un aspetto fondamentale nei progetti di conservazione di specie o habitat per garantire efficaci azioni d’intervento soprattutto in ottica adattativa ([12]). È fondamentale stabilire oggetto, obiettivi e modalità del monitoraggio al fine di ottimizzare quantità e qualità dei dati e soprattutto definire una baseline (ovvero una condizione di partenza) il più oggettiva e precisa possibile. Per il monitoraggio degli habitat della Rete Natura 2000 è di primaria importanza definire con estrema chiarezza l’oggetto dell’azione. Il manuale di interpretazione degli habitat italiani ([3] - ⇒ http:/­/­vnr.unipg.it/­habitat/­) definisce le Faggete degli Appennini con Taxus e Ilex (9210*) “un habitat composto da faggete termofile con tasso e con agrifoglio nello strato alto-arbustivo e arbustivo del piano bioclimatico supratemperato ed ingressioni nel mesotemperato superiore, sia su substrati calcarei sia silicei o marnosi distribuite lungo tutta la catena Appenninica e parte delle Alpi Marittime”. Il termine ingressioni sottende “incursioni” localizzate nel piano bioclimatico superiore in corrispondenza di particolari condizioni stazionali. Peraltro nelle note conclusive della scheda, senza specifiche giustificazioni, gli autori affermano “…che tutte le faggete appenniniche possano rientrare in questo habitat anche se il tasso e l’agrifoglio sono presenti solo localmente…” ([3] - ⇒ http:/­/­vnr.unipg.it/­habitat/­). L’argomento appare controverso all’interno della stessa comunità scientifica di settore. Di Pietro et al. ([6]) evidenziano incongruenze nel manuale interpretativo ed esprimono dubbi sull’opportunità di un approccio troppo inclusivo, foriero di “…una banalizzazione degli ambienti che si intende tutelare”. Essi auspicano “una più coerente definizione cenologica e sintassonomica” degli habitat per individuare “quelli che per valore naturalistico, storico e paesaggistico risultino oggettivamente meritevoli di tutela”. Scarnati et al. ([13]) in uno studio vegetazionale e strutturale nelle faggete dell’Italia centrale suggeriscono l’esistenza di due habitat distinti: uno a quote inferiori, più termofilo con Ilex aquifolium ed uno a quote superiori, più mesofilo con Taxus baccata. Quest’ultima specie sarebbe meno resistente alla presenza di nitrati nel suolo (indicatrice di maggiore presenza di pascolo) e la prima più intollerante alla copertura esercitata dal faggio. Ancora Di Pietro ([5]) afferma che la peculiarità dei caratteri geo-morfologici e bioclimatici degli Appennini si riflette in un assetto vegetazionale molto complesso non facilmente districabile in termini sintassonomici. In più zone dell’Appennino umbro-marchigiano è stata osservata una seriazione altitudinale di faggete (macroterme, microterme, rupestri, di basso versante o di vallecola) sintassonomicamente distinte ([15]). Tali condizioni di eterogeneità avrebbero potuto indurre, analogamente a quanto avvenuto per altri habitat, alla determinazione di sottogruppi all’interno dell’habitat 9210.

L’approccio inclusivo indicato nel manuale ha di fatto “sdoganato” in tutte le regioni il massimo allargamento del range dell’habitat diversamente da quanto indicato nelle linee guida europee che consigliano di non estenderlo eccessivamente ([7]). Il risultato tangibile è che la superficie globale attribuibile alle faggete 9210* è di 63.100 ha, addirittura superiore ai circa 60.000 ha di faggete appenniniche (boschi a dominanza di faggio) censiti dal secondo inventario forestale nazionale ([9]), a fronte di circa 4.300 ha (< 10% della superficie totale) in cui è stata verificata la presenza effettiva dell’habitat ([10]). Appare plausibile l’esistenza di qualche ragionevole dubbio sull’opportunità di questa scelta inclusiva, anche in considerazione degli effetti indotti in termini vincolistici e gestionali.

Il secondo punto riguarda la struttura attuale e pregressa delle cenosi di faggio 9210*, aspetto integrativo, ma fondamentale per la conservazione e la gestione sostenibile, in quanto esprime l’organizzazione spaziale (orizzontale e verticale) e cronologica delle fitocenosi. È sorprendente che, dopo decenni di analisi e valutazioni, nei diversi documenti e manuali prodotti a seguito dell’emanazione della Direttiva Habitat, non vi siano espliciti riferimenti all’assetto strutturale delle cenosi (ad es., origine gamica/agamica, assetto monocormico/policormico degli elementi arborei presenti, presenza/assenza della rinnovazione, ecc.). I dati dei due Inventari Forestali nazionali (1985 e 2005) e dei numerosi inventari regionali sono da tempo accessibili a tutti e facilmente integrabili alle osservazioni vegetazionali. Secondo l’INFC ([9]) le faggete appenniniche sono boschi cedui per il 53%, fustaie per il 34% (soprattutto nelle regioni meridionali) e strutture complesse non classificabili per il 13% ([8]). Ai fini gestionali e di conservazione è molto utile sapere che il 94% dei cedui di faggio si trova allo stato adulto (55%) e/o invecchiato (39%) e solo lo 0.1% è in fase di rinnovazione (erano il 6.3% nel 1985). Ciò conferma quanto già argomentato nella precedente nota ([14]), ovvero che l’abbandono colturale delle faggete è un processo in corso da alcuni decenni e che, in molti casi documentati, costituisce una criticità primaria per la conservazione di specie target come il tasso, l’agrifoglio ed anche l’abete bianco. Tale condizione, tipica di gran parte delle faggete appenniniche, non è mai annoverata fra i fattori di rischio elencati nel paragrafo “Criticità e impatti” della scheda del manuale di monitoraggio, nel quale si evidenziano “… gli elementi di minaccia o di rischio attuali e/o potenziali per l’habitat considerato di cui l’operatore deve tenere conto per valutarne lo stato di conservazione” ([4]). A tale proposito vorremmo porre l’attenzione su due aspetti: (1) il termine “criticità”, e (2) la prima posizione, fra i possibili impatti sull’habitat, assegnata alle inadeguate pratiche selvicolturali. Il significato di criticitàè molto chiaro ed indica una condizione che esprime per lo più un giudizio negativo ([16]). Un elenco numerato solitamente ha un valore ordinale, e non casuale come tendono a sottolineare Cutini et al. ([4]). Il luogo comune che la gestione forestale produca, sempre e comunque, effetti negativi sul bosco emerge anche dal manuale di interpretazione, nel quale la frammentaria e ridotta presenza di tasso e agrifoglio nelle faggete 9210* è attribuita, senza alcun dato di supporto, alla “… gestione forestale che nel corso degli anni ha pesantemente sfavorito le due specie” ([3] - ⇒ http:/­/­vnr.unipg.it/­habitat/­). È necessario anche precisare la differenza terminologica fra gestione e utilizzazione forestale; la prima è un processo di razionalizzazione degli interventi in bosco in relazione agli obiettivi desiderati ed alla/e funzione/i assegnate alle specifiche cenosi. La seconda indica un qualsiasi intervento di prelievo di massa legnosa (cure colturali o tagli di rinnovazione) a prescindere dall’esistenza o meno di un piano di gestione. Soprattutto in Appennino centrale, per lungo tempo e fino al secondo dopoguerra gran parte dei tagli boschivi è stata attuata con modalità consuetudinarie, determinate da esigenze di produrre legna da ardere o carbone vegetale, non solo per le popolazioni rurali e montane. Nel 1950 in Italia si producevano ancora 5.000.000 quintali di carbone e 40.000.000 quintali di legna da ardere ([11]).

Oggi la selvicoltura, soprattutto in Italia, è un’applicazione dell’ecologia forestale in grado di esprimere nuove formulazioni adattative, funzionali ad una gestione con obiettivi multifunzionali e non prioritariamente a carattere produttivo. Lo testimoniano i numerosi progetti LIFE Natura (e non solo) calibrati su interventi attivi in cenosi forestali, che costituiscono esempi di processi virtuosi e sinergici fra esperti di più discipline (vegetazionali, selvicolturali, agronomiche, faunistiche, ecc.).

Siamo convinti che la collaborazione interdisciplinare sia l’unica soluzione per un’efficace azione di analisi e di monitoraggio degli ecosistemi funzionale alla loro conservazione e gestione sostenibile. Il pregevole intento di sinergia dichiarato nell’introduzione del manuale e ribadito dalla replica di Angelini et al. ([2]), non sembra poi trovare attuazione nelle pagine del volume. In gran parte delle schede degli habitat forestali, nel paragrafo sulle Tecniche di Monitoraggio è infatti riportato che “… il monitoraggio dovrà coinvolgere necessariamente un esperto di flora e vegetazione e un esperto in fotointerpretazione, fotorestituzione e mappatura GIS (figure che possono coincidere in un unico operatore). A questi può eventualmente essere affiancato un forestale ed un esperto zoologo ove necessario”. In altri casi, sempre di habitat forestali, tali competenze “accessorie” scompaiono.

In conclusione non possiamo che concordare con le ultime frasi del commento di Angelini et al. ([1]) che stigmatizzano l’importanza dell’approccio interdisciplinare quale “… elemento di pregio che arricchirà le formulazioni future delle attività connesse al monitoraggio degli habitat di interesse comunitario in Italia”. Per sancire tale sinergia più che confronti indiretti sulle pagine di questa od altre riviste, saranno efficaci incontri fra rappresentanti qualificati dei diversi settori scientifici e delle amministrazioni coinvolte (Stato e Regioni). È necessario giungere alla formulazione di nuovi criteri e strumenti per le attività di analisi, censimento e monitoraggio delle risorse vegetazionali del paese sottoposte a sempre più complesse sollecitazioni naturali e antropogeniche. Siamo convinti che in questo modo si possa anche rafforzare il ruolo della Gestione Forestale Sostenibile quale strumento per il miglioramento strutturale e funzionale e la conservazione delle foreste.

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