Abstract

Forest fires in 2017: a useful lesson. Forest fires, together with the decline of silviculture practice, are one of the most important natural disturbances affecting Mediterranean forests. The year 2017 is shaping up to be a record breaking fire season all around Southern Europe and especially in Italy for the sheer amount of hectares burned. Here we discuss about the importance of forest fire management, highlighting the role of prescribed burning and mechanical treatment (e.g., manual removal, thinning) in reducing the risk of high-intensity wildfires. We report on the successful applications of those fire management techniques on the pinewoods of Vesuvio National Park and Castel Fusano Natural Reserve. The information compiled in the present article aims to demonstrate the potential relevance and impact of forest resources management for fire hazard reduction and shows the necessity of strong interaction among not only the scientific community, but also forest managers, decision makers and the civic responsibility of society at large.

Keywords

Forest Fire, Forest Management, Silviculture, Prescribed Fire

 

Gli incendi costituiscono, insieme con la crisi delle attività selvicolturali, la principale causa di degrado dei boschi non solo in Italia, ma in generale nei paesi del bacino del Mediterraneo.

Il 2017 sarà certamente ricordato come un anno catastrofico in termini di superficie boschiva percorsa dal fuoco in diversi paesi del Mediterraneo con ingenti danni in termini di vite umane (in Portogallo si sono registrati più di 60 morti nell’incendio di giugno) ed economico-ambientali (si stima che in Italia gli ettari bruciati ad oggi superino i 75.000 ettari, come riportato da Legambiente nel “Dossier incendi 2017” del 27/07). Inoltre, mai come quest’anno, il fenomeno degli incendi estivi ha avuto grande risonanza mediatica perché abbiamo visto bruciare alcune zone simbolo del nostro paese: il Vesuvio in Campania, la riserva dello Zingaro in Sicilia, Castel Fusano nel Lazio. E così un appuntamento ormai fisso a cadenza annuale come quello degli incendi ha assunto una nuova connotazione che speriamo possa preludere ad una nuova coscienza socio-politica.

Gli incendi sono l’espressione di problematiche socio-economiche legate ad una complessa interazione di fattori predisponenti (condizioni climatiche, quantità e qualità di combustibile, caratteristiche territoriali) e cause determinanti (immissione di energia termica ad alto potenziale) e di fattori di innesco che, nella maggior parte dei casi, sono di origine antropica volontaria o involontaria. Eppure gli incendi forestali sono un fenomeno antichissimo, che ha caratterizzato e plasmato le foreste Mediterranee per secoli: numerose sono le testimonianze fossili e storiche che ricordano i vasti incendi del passato (Omero in ben 4 occasioni nell’Iliade parla di grandi incendi, spesso capaci di ardere per un anno intero) e che hanno modellato l’aspetto e le caratteristiche del paesaggio vegetale. Proprio per questo il problema degli incendi boschivi è da sempre in primo piano nella gestione selvicolturale ed è sempre stato il focus del mondo scientifico forestale. Così, accanto ad un quadro legislativo nazionale spesso caratterizzato da interventi frammentari e non coordinati, c’è stata la volontà di gruppi di tecnici e specialisti del settore che caparbiamente hanno ribadito in questi anni la necessità di ripensare gli attuali sistemi di monitoraggio e gestione selvicolturale, oltre che la necessità di una maggiore pianificazione e prevenzione per ridurre al minimo gli impatti sui servizi ecosistemici delle nostre foreste. Di fatto, stiamo assistendo ad un cambiamento del regime di incendi che richiede un cambio di strategie di governo del fenomeno ([5]). L’abbandono gestionale e l’incuria aumentano la vulnerabilità del territorio. La crisi delle attività selvicolturali, che porta spesso al proliferare di attacchi parassitari con il conseguente aumento del rischio incendio ([16]) e l’aumento dei boschi di neoformazione, interagendo con i cambiamenti climatici in atto, intensificano la probabilità di ricorrenza di incendi devastanti ([18]).

In questo quadro disarmante, vi sono tuttavia casi di successo in cui la buona e lungimirante gestione del territorio e delle foreste ha mitigato gli impatti degli incendi mostrandoci possibili soluzioni da adottare in futuro. Tutti abbiamo visto le pendici del Vesuvio o la pineta di Castel Fusano ardere per giorni interi e il messaggio finale che è arrivato nelle case dei cittadini è stato quello di una distruzione completa a cui sono seguite le solite interminabili polemiche e promesse. Ma quale lezione ci hanno lasciato le fiamme? Possono le pregresse pratiche di gestione selvicolturale mitigare gli impatti degli incendi?

Una risposta a questi interrogativi può essere fornita da due esempi di applicazione di selvicoltura preventiva condotti in entrambe le aree protette.

Nel primo caso si riporta l’esempio dell’applicazione sperimentale del fuoco prescritto, condotta nel Parco Nazionale del Vesuvio, dove questa tecnica ha evidenziato le sue potenzialità in una zona particolarmente vulnerabile. Abbiamo stimato a partire da immagini da satellite (Copernicus, situazione al 16 luglio 2017 - [19]) che l’area del Vesuvio percorsa dal fuoco è pari a 1549.8 ettari. Di questa superficie circa 1057.4 ettari di vegetazione (soprattutto pineta resa in molti punti più vulnerabile per l’infestazione da Toumeyella parvicornis - Cocciniglia tartaruga) risultano completamente distrutti, 305.8 ettari molto danneggiati e 186.6 ettari leggermente danneggiati.

Tra gli ettari leggermente danneggiati ci sono le parcelle che sono state trattate mediante interventi di fuoco prescritto attuati nel 2014 e successivamente nel 2016, nell’ambito di un programma promosso dalla Regione Campania e dalla società SMA Campania, con l’ausilio tecnico e scientifico di molti componenti del GDL “Gestione Incendi Boschivi” della SISEF.

In Fig. 1 e Fig. 2 sono riportate le foto scattate il 18 luglio 2017 nella Riserva Tirone del Parco Nazionale del Vesuvio, da cui si evince chiaramente che nelle aree non trattate i danni del passaggio del fuoco sono risultati maggiori rispetto alle parcelle trattate con fuoco prescritto. Infatti, nelle aree sperimentali i danni agli individui di pino, così come al sottobosco sono molto ridotti e, soprattutto, le chiome risultano poco intaccate. Essendo il sottobosco ripulito dagli interventi di fuoco prescritto, nel corso dell’incendio le fiamme si sono mantenute ad altezza contenuta rispetto alle aree non trattate, evitando di trasformarsi in un incendio di chioma e di assumere severità maggiore.

Fig. 1 - Riserva Tirone Alto Vesuvio. Area trattata con fuoco prescritto.

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Fig. 2 - Riserva Tirone Alto Vesuvio. Area non trattata con fuoco prescritto.

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La tecnica del fuoco prescritto consiste nella riduzione del carico di combustibile fine presente in bosco con l’obiettivo specifico, in questo caso, di ridurre il rischio incendi. Si tratta di una tecnica ben collaudata in altri paesi del Mediterraneo ([10]) e che in Italia trova ancora applicazione in poche regioni e a carattere prevalentemente sperimentale ([1]), fatta eccezione per la Toscana dove sono stati avviati i primi piani pluriannuali di fuoco prescritto. Il fuoco prescritto deve essere calibrato sulla base di obiettivi territoriali specifici (come prevenzioni incendi, conservazione di habitat e controllo di specie parassite), delle più idonee finestre operative e di una attenta analisi costi-benefici (biodiversità, emissioni di carbonio). Se da una parte è chiara la necessità di un forte impiego di pratiche gestionali volte al recupero, molto meno sappiamo sul corretto bilanciamento fra pratiche selvicolturali, trattamenti della biomassa, e fuoco prescritto ([12], [17]). In tale contesto, studi di monitoraggio ecologico a breve, medio e lungo termine degli effetti di tale tecnica sulle varie componenti dell’ecosistema forestale risultano di grande utilità e sono prioritari come fonti indispensabili per garantire una buona pianificazione dei sistemi forestali ([2], [3], [9])

Il secondo esempio significativo di utilità della selvicoltura preventiva è quello registrato nella pineta di Castel Fusano, situata a pochi chilometri dalla capitale e inserita nella “Riserva Naturale Statale del Litorale Romano”. A seguito del devastante incendio che il 4 luglio del 2000 ha colpito circa 270 ha di pineta ([8]), sono stati pianificati interventi selvicolturali allo scopo di ridurre la densità del pino e favorire la ripresa post-incendio delle specie più adattate al fuoco ([14], [6]). I trattamenti, nelle due Pinete (B e C riportate in Fig. 3) hanno riguardato la rimozione di alberi con finalità di riduzione dell’area basimetrica di circa il 35% nelle due tipologie strutturali, con un prelievo di un quarto della massa legnosa. Nella Pineta di tipo B l’area basimetrica è stata ridotta da 42.02 m2/ha a 27.14 m2/ha, mentre nella Pineta di tipo C da 36.86 m2/ha a 26.83 m2/ha. Tali interventi si sono rivelati utilissimi e, come ci mostra la Fig. 3, hanno limitato moltissimo l’estensione e i danni dell’incendio. Questo pone in evidenza il ruolo fondamentale delle pratiche di selvicoltura preventiva quali il decespugliamento, lo sfollamento, il diradamento, la potatura e la necessità di riportare in primo piano tali tecniche in una logica di buone pratiche di gestione delle risorse forestali ([7]), concetto spesso sacrificato a favore di una logica distorta di costi-benefici.

Fig. 3 - Immagine all’infrarosso, del 30 luglio 2017, dal satellite Sentinel-2A (10 m di risoluzione) della Pineta di Castel Fusano: l’area in rosso indica la vegetazione non percorsa da incendio, in verde l’incendio del 2017.

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Questi esempi ci inducono ad una serie di considerazioni,

  • in uno scenario di aumento del rischio incendio, dove si stima una crescita dall’ 1% al 5% degli incendi che non potranno essere spenti ([4]), diventa prioritaria una programmazione di governo degli incendi piuttosto che spegnerlo a tutti i costi;
  • i costi degli interventi di fuoco prescritto unito ad altri interventi di selvicoltura preventiva sono molto più bassi dei costi di lotta attiva (300-1500 euro/ha vs. 2000-8000 euro/ha - [11], [15]);
  • il monitoraggio e la cura di una foresta sono attività indispensabili per ridurre il rischio incendi: una foresta in buono stato (sia dal punto di vista fitosanitario che strutturale) è una foresta a basso rischio;
  • occorrono interventi di gestione integrata del fuoco, basati sulla pianificazione ed elaborazione di modelli operativi che comprendano valutazioni di carattere ecologico, sociale, economico e culturale, con l’obiettivo di minimizzare i danni e massimizzare i benefici del fuoco;
  • nel quadro della prevenzione dei rischi e pianificazione forestale è auspicabile creare una sinergia tecnica tra operatori del settore, in modo tale da integrare le diverse competenze e far sì che l’aspetto operativo degli interventi, non prescinda mai dalla valutazione degli effetti ecologici sulle diverse fitocenosi;
  • occorre esplorare le sinergie fra diverse pratiche gestionali, come l’uso sostenibile della biomassa, l’applicazione del fuoco prescritto, l’attuazione dei diradamenti boschivi, ecc.

Una buona gestione delle risorse forestali deve, quindi, tener conto di una chiara ed attenta pianificazione territoriale che individua le situazioni “non prorogabili" (ad esempio, contesti di elevato valore ambientale, di elevato rischio incendi, aree di interfaccia) e quelle “strategiche” che permettono di prepararsi all’estinzione individuando i punti del territorio dove è maggiore il leverage (rapporto fra la superficie risparmiata dagli incendi a seguito di interventi e l’area complessiva trattata - [13]) della selvicoltura nel mitigare il rischio incendi, rendendo le operazioni di spegnimento più efficaci e sicure. Questo ci porta ad affermare con forza, contro ogni logica del risparmio, che non serve gestire tutto il territorio forestale bensì pianificare gli interventi in modo scalare, efficace e continuo nel tempo. La continuità nel tempo dell’organizzazione incaricata alla gestione, il trasferimento dei compiti già pianificati, e delle competenze per svolgerli in un’ottica di lungo periodo è l’unico modo per avere una lotta agli incendi sostenibile ed efficace e, nello stesso tempo, per garantire la conservazione e salvaguardia del nostro patrimonio forestale. L’applicazione di una gestione territoriale di questo tipo con una riallocazione di costi a favore della prevenzione, rispetto al solo investimento in mezzi antincendio, si rivelerà estremamente vantaggiosa in termini di costi totali già nel breve e medio termine, senza considerare gli enormi vantaggi derivanti in termini di sostenibilità ambientale e riduzione del rischio.

La stagione del “rischio incendi” non si è ancora conclusa e abbiamo capito che diventerà sempre più una costante l’intensità con la quale il fuoco si esprimerà negli anni a venire. L’insegnamento più grande che possiamo e dobbiamo ricavare da questa grande e terribile lezione è che le conoscenze, le competenze e le tecnologie che abbiamo a disposizione, sia a livello locale che nazionale, non ci consentono di farci trovare impreparati. Bisogna quindi cercare di essere incisivi e lavorare con gli enti e autorità territoriali per evitare scollamenti e favorire azioni sinergiche. La sinergia tecnico-scientifica-politica ed economica, deve essere ancora più forte nella fase della ricostituzione post-incendio, fase delicatissima che non può essere gestita in emergenza. In questo senso, le numerose aree percorse dal fuoco ci offrono anche una opportunità per il futuro, in quanto, se attueremo una buona ricostituzione post-incendio, porremo le basi per la pianificazione forestale sostenibile dei prossimi anni e decenni.

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