Remembering a leading forest scientist: Ezio Magini
Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 17, Pages 42-47 (2020)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0060-017
Published: Apr 29, 2020 - Copyright © 2020 SISEF
Commentaries & Perspectives
Abstract
He passed away twenty years ago, but the memory of Prof. Ezio Magini is alive in Italian forest scientists. He was a distinguished professor of Silviculture at the University of Florence, pionieer of quantitative Forest Genetics and Forest Tree Breeding in Italy. Of high intellectual honesty and lovable personality, always willing to teach with patience to young people, he was a great example of methodological rigor, in terms of setting up clear hypotheses, sound experimental planning and data collection, in depth statistical analysis: a great guide for all of us. Thanks once again, Prof. Magini!
Keywords
Silviculture, Forest Genetics, Forest Tree Breeding, University of Florence, Italy
Sono passati venti anni da quando il Prof. Ezio Magini ci ha lasciato.
È con sincera commozione che ricordo e rivedo la sua figura, sento la sua voce. Mi considero non certo il suo primo allievo, ma il Suo allievo. Allievo di un Maestro di amplissima e insigne cultura, modello di limpido comportamento nelle relazioni umane. Lo vedo, ancor oggi, come esempio di universalità scientifica, studio e sapere. A tutto questo aveva dedicato la sua vita, con riservatezza: una scelta molto forte, di pienezza quasi esclusiva, ma trainante e governata da raziocinio, sensibilità, acume, riflessione. La semplicità, spesso quasi la modestia, con cui condivideva la vita quotidiana era manifesta anche nello studio, interpretazione e illustrazione dei fenomeni biologici, a ogni scala di organizzazione. Forse più di altri ho potuto usufruire, nella mia formazione, di una continuità di trasferimenti scientifici: idee, intuizioni, analisi, soluzioni, metodi sperimentali, sempre organizzati in modo semplice, seguendo percorsi lineari e di facile interpretazione.
Con assoluto merito, Ezio Magini è considerato tra i Maestri della Scuola forestale italiana ([2]). Laureatosi in Scienze Agrarie nel 1940, presso la Facoltà di Agraria di Firenze, Ezio Magini entra subito a farne parte come assistente supplente alla cattedra di Botanica sistematica, per passare poi ad assistente incaricato e quindi ordinario presso quella di Selvicoltura retta dal Prof. Alessandro De Philippis (Fig. 1, Fig. 2). È quindi titolare, per tredici anni, dell’insegnamento di Selvicoltura per gli studenti del Corso di Laurea in Scienze Agrarie. Nel 1958 consegue la libera docenza in Ecologia e Selvicoltura generale; vincitore di concorso a cattedra, dal 1963 al 1977 è Professore ordinario di Selvicoltura speciale per poi ricoprire, dal 1978 alla fine della sua carriera accademica, nel 1992, la Cattedra di Miglioramento genetico degli alberi forestali, insegnamento che lui stesso aveva inaugurato nel 1968.
Fig. 1 - Primi anni cinquanta, probabilmente. Il giovane Prof. Magini, primo a sinistra, in compagnia di altri docenti forestali, in occasione di una visita in bosco. Il primo alla sua destra, pantalone alla zuava ad ampio sbuffo, è il Prof. Alessandro De Philippis, allievo e continuatore dell’opera di Aldo Pavari, titolare per oltre 40 anni della cattedra di Selvicoltura a Firenze. A seguire, verso destra: il Prof. Generoso Patrone, per lunghi anni docente di Assestamento forestale, fondatore e poi Presidente “a vita” dell’Accademia Italiana di Scienze Forestali. A destra del Prof. Patrone, leggermente in secondo piano, un ispettore del Corpo Forestale, presumibilmente; quindi, con bonetto, il Prof. Ing. Manfredi De Horatiis, docente di Sistemazioni idrauliche forestali; l’ultimo a destra potrebbe essere, ma qui ci sono dubbi, il Prof. Cesare Sibilia, docente di patologia forestale. Le biografie di alcuni di questi Maestri forestali sono state sapientemente illustrate da Gabbrielli ([2]) [foto da archivio famiglia Magini].
Fig. 2 - Sestriere, 1956. Il Prof. Magini (ultimo in piedi a destra) partecipa a una gita d’istruzione, insieme a colleghi italiani e francesi. All’estrema sinistra, in piedi, si riconosce il Prof. Fiorenzo Mancini, futuro Presidente dell’Accademia Italiana di Scienze Forestali. Per chi si dilettasse a cercarli, nella foto sono presenti anche altri docenti (o futuri docenti) della facoltà forestale di Firenze: Giovanni Bernetti, Guglielmo Giordano, Alberto Malquori, Piero Piussi, Livio Zoli [foto da archivio Prof. Piussi].
Conoscitore profondo della Selvicoltura, in ogni suo aspetto, Ezio Magini dedicò lo stesso interesse alla Genetica e al Miglioramento genetico degli alberi forestali, contribuendo a un deciso avanzamento dell’opera e delle ricerche inaugurate, in questo settore, dal Prof. Aldo Pavari, riconosciuto capostipite della Selvicoltura nel nostro paese.
Ma un ben preciso aspetto ha connotato, come una sorta di “cadenza”, il percorso scientifico di Ezio Magini: il grande rigore metodologico, la solidità nell’organizzazione sperimentale e soprattutto un uso raffinato della matematica e dell’analisi statistica. Ricordo bene i suoi continui contatti con il Prof. Gustavo Barbensi, insigne bio-matematico e statistico, il quale pubblicò nel 1965, per i tipi dell’Accademia Italiana di Scienze Forestali, il volume “Elementi di biometria applicati alle scienze forestali”, per il quale Ezio Magini fu uno dei principali revisori e “consigliori”. Da diverso tempo vedo poco citato questo testo, che per tanto tempo è stato valido ausilio per i ricercatori forestali. Oggi i testi di metodologia statistica sono numerosi e di alto livello e la ricerca fa sempre più ricorso a routines disponibili in rete per le analisi statistiche: inseriti i dati, a volte in modo automatico, in tempi brevissimi si ottengono i risultati circa la significatività o meno degli effetti dei fattori oggetto di studio. Ma dal Prof. Magini ho imparato quanto rimanga importante conoscere l’essenza delle procedure che sono sottese ad ogni calcolo!
Confesso che non era facile seguire il Prof. Magini nelle sue riflessioni ed espressioni matematiche, illustrate sempre con una chiarezza e una semplicità che potevano apparire disarmanti. La critica costruttiva verso i disegni sperimentali era giornaliera. I calcoli statistici venivano sviluppati non i con valori reali, ma attraverso l’impiego degli scarti dalle medie: non erano disponibili le odierne facilitazioni computazionali, per cui tutti i più ingegnosi “artifizi” dovevano essere impiegati per rendere possibili i calcoli con i limitati strumenti di allora, in molti casi solo una calcolatrice, priva di memoria, collegata a una primitiva stampante! Occorreva compenetrarsi nelle analisi della varianza, comprenderne il significato, fornire spiegazione degli effetti dei fattori di variazione. Con un foglio di carta e una penna, Ezio Magini sapeva tracciare le formule e le soluzioni più efficaci ai vari problemi. Ho avuto, in tutto ciò, un grandissimo insegnante capace di una comunicazione didattica straordinaria.
Ma come è nato questo mio rapporto con il Prof. Magini? Sono entrato nell’Istituto di Selvicoltura della Facoltà di Agraria come laureando, per condurre una tesina sperimentale sull’ecologia della germinazione del seme di abete bianco, e lo ebbi come relatore. Il tema si inseriva bene nell’attività di ricerca che veniva allora condotta in Istituto. Qui aveva infatti sede il “Laboratorio semi forestali” che svolgeva un ruolo decisivo nel processo di certificazione ufficiale dei lotti di seme impiegati nella produzione vivaistica forestale italiana. Intorno al Laboratorio, la cui responsabilità ricadeva sul Prof. Magini, si sviluppò un vasto campo di ricerca: dall’identificazione dei boschi da seme, al loro trattamento colturale, dalla valutazione della loro reale “superiorità genetica” alle procedure di raccolta, estrazione, lavorazione e conservazione del seme, alle tecniche vivaistiche di allevamento, alla valutazione della qualità delle piantine prodotte, il cosiddetto postime forestale. Per il profondo sapere acquisito in questo campo, negli anni sessanta Ezio Magini fu uno dei principali esperti consultati dal Ministero dell’Agricoltura per la regolamentazione della produzione e del commercio dei semi delle piantine forestali. Le grandi capacità di Magini consentirono anche l’inserimento del Laboratorio nel comitato ISTA (International Seed Test Association), di cui Magini fu presidente fra il 1971 e il 1974. I risultati delle ricerche in questo settore ebbero anche un risvolto didattico: Ezio Magini seppe infatti trasferirli, con maestria, in un manuale di vivaistica forestale che ancor oggi, dopo decenni, è esempio di precisione e chiarezza, unite a un’invidiabile concisione.
Anche il sottoscritto, più tardi, ha avuto l’onore e l’onere della direzione del Laboratorio, la cui efficienza è stata sempre elevata, grazie alla fattiva collaborazione di colleghi e personale tecnico altamente qualificato. Oggi, non posso sottacerlo, di tutta questa attività poco rimane: solo una targa in ottone, alquanto opacizzata, appesa nella sede della Scuola forestale di Quaracchi a Firenze, resta a testimonianza del “Laboratorio semi forestali”. Negli ultimi venti anni le superfici rimboschite nel nostro Paese si sono praticamente annullate. La filiera della produzione vivaistica si è disciolta. L’impiego di postime forestale è limitato a rari casi in cui si è costretti a ricorrere alla rinnovazione artificiale, ai ripristini in caso di danni al soprassuolo per cause naturali, ecc. È curioso il fatto che recentemente sia apparso l’invito, quasi una moda, dettata da influencer molto tuttologi ed esposta con allarmante superficialità, a piantare miliardi (sic!) di alberi per favorire la mitigazione degli effetti dovuti ai cambiamenti climatici. Qualcuno ha fatto notare le varie difficoltà connesse a questa prospettiva, compresa quella di reperire le piantine da mettere a dimora! In effetti il materiale di propagazione si può acquistare presso i vivai all’estero (anche della provenienza desiderata, fornendo il seme): quali sono però i costi, per la comunità tecnico-scientifica, derivanti dalla perdita della conoscenza, dell’esperienza e del “mestiere” relativi alla produzione di un semenzale o di un trapianto da collocare in bosco?
Il lavoro in laboratorio rappresentava per Ezio Magini un’attività molto importante, ma che lui poneva sullo stesso piano di quello organizzato e portato avanti in bosco. A questo riguardo, mi piace ricordare gli studi sulla rinnovazione naturale dell’abete bianco (per me palestra formativa fondamentale) i cui risultati, riferiti in un lavoro del 1967, erano il frutto di una moltitudine di osservazioni e di numerosi rilievi in boschi puri e misti di questa specie, da Vallombrosa all’Appennino tosco-emiliano, dal Molise alla Calabria. I dati di questi studi furono analizzati e commentati per individuare i fattori di maggiore importanza nel determinare la presenza della rinnovazione naturale; successivamente la verifica dell’azione di questi fattori fu fatta attraverso prove sperimentali in bosco associate a quelle condotte in vivaio e in laboratorio. Le conclusioni diedero indicazioni, per tipologie di soprassuolo e ubicazioni, sul ruolo svolto dal tipo di substrato sulla germinazione del seme e sullo sviluppo dei semenzali e, soprattutto, dall’intensità luminosa. Con questo lavoro il Prof. Magini, riesce a trasferire qualcosa di più dei singoli dati sperimentali: vi è un invito al selvicoltore a osservare il dinamismo del bosco, a conservarne la visione nella mente e confrontarla con quella che sarebbe apparsa in occasioni temporali successive. Un invito a sviluppare la conoscenza e farla divenire supporto ragionato alla gestione del soprassuolo forestale.
Questo concetto Ezio Magini lo aveva già illustrato in altre precedenti ricerche. Mi riferisco ai risultati, certamente ancora attuali, comunicati durante il Congresso IUFRO tenutosi a Roma nel 1953. In questo studio Magini descrive la tipologia vegetazionale dei boschi di faggio in relazione alla “facilità” di insediamento della rinnovazione naturale. Sono descritte tre situazioni ben definite dal punto di vista eco-stazionale, strutturale e dendrometrico, che vengono associate alla presenza di specie “spia” del piano nemorale, e quindi all’insediamento della rinnovazione di faggio. Il Prof. Magini mi confessò che, al di là della novità dello studio (il primo in Italia su questo argomento), era particolarmente soddisfatto di questi risultati perché riteneva di aver fornito un aiuto pratico al selvicoltore, il quale poteva con una semplice, seppur attenta, ricognizione floristica decidere se procedere o meno con il taglio di sementazione: la sola necessaria premessa era che possedesse un minimo di conoscenza circa la sistematica della flora dell’area in cui operava. Lo stesso studio fu intrapreso anche nella foresta dell’Abetone con la collaborazione, in qualità di pedologo e di guida “motovespista”, del Prof. Giovanni Bernetti; i dati rimasero però nel cassetto, sia per la bassa propensione del Prof. Magini a scrivere, sia per la mancanza di una associazione chiara e ripetibile tra caratteristiche del popolamento e presenza di rinnovazione naturale la quale, in quella stazione, era diffusamente presente.
Ho già sottolineato che l’interesse scientifico del Prof. Magini poneva sullo stesso piano la Selvicoltura e il Miglioramento genetico degli alberi forestali, sulla base di questa convinzione: chi si confronta, in senso stretto, con il secondo dipende dalle conoscenze che pervengono dalla prima (un concetto insito anche nell’attività di grandi personaggi delle Scienze forestali, come Pavari, Bouvarel, Stern, Schreiner, Faulkner, Toda, ecc.). Ritengo che, per il Prof. Magini, la spinta che favorì questo duplice interesse sia stata fornita dalla volontà di comprendere in profondità il funzionamento, riposto a livello di singolo albero e di popolazione, dei meccanismi fisiologici di adattamento e sopravvivenza; ma credo anche ci sia stato, da una parte, un notevole contributo dovuto ai contatti che aveva con Aldo Pavari, dall’altra le particolari circostanze che si erano create nell’ambito dell’attività scientifica dell’Istituto di Selvicoltura.
Negli anni ’50 del secolo scorso, presso l’Istituto, era iniziata una ricerca sugli effetti della resinazione sulla produzione legnosa dei pini mediterranei che prendeva in considerazione, nel caso del pino domestico, anche la produzione di coni e pinoli (il mercato di questo prodotto finale era molto vivace). La ricerca si concluse dopo circa un decennio: purtroppo i risultati furono resi noti quando quasi più nessuno era interessato in Italia alla produzione della resina! Il Prof. Magini aveva organizzato, a latere della ricerca, vari studi di particolare interesse come quelli relativi alla diffusione del polline dei pini domestico, marittimo e d’Aleppo. Il lavoro si estese successivamente al miglioramento della produzione di coni e pinoli in pino domestico con prove di discendenza, anche con incroci controllati; a un primo tentativo di selezione clonale attraverso l’innesto dei migliori fenotipi e anche a indagini sulla ereditarietà del guscio fragile dei pinoli. Nel pino marittimo vennero sviluppati studi sulla stima dell’ereditabilità di alcuni caratteri di pregio (dirittezza del fusto) e questo, nel 1969, è stato il primo studio condotto su questo tema in Italia.
È noto poi come il Prof. Magini fosse particolarmente affezionato allo studio delle tecniche d’innesto (omoplastico ed eteroplastico, anche tra generi sistematicamente distanti, come Pinus, Cedrus, Biota, Castanea, Alnus), che nella fase iniziale eseguiva lui personalmente con il suo coltello (affilato dal suo uomo di fiducia, il M.llo CFS Guido Barzagli) e con l’aiuto dei tecnici Anna Maria Proietti e Gianfranco Bianchi, i quali però avevano il solo scopo di “assistere”, portando la cassetta degli attrezzi, facilitando la vicinanza del soggetto, porgendo i rami da dove effettuare il prelievo della marza, terminando le operazioni finali quali la legatura e l’impiego dei prodotti per la copertura delle ferite da taglio, operazione assai lunga e tediosa questa. [Anna Maria Proietti, tuttora piena di interessi verso le foreste e l’ambiente, per oltre vent’anni è stata una preziosissima “assistente” del Prof. Magini, in ogni suo progetto di ricerca. Il Professore era particolarmente affezionato ad Anna Maria e il suo nome, invocato anche per soluzioni di rapido soccorso tecnico, echeggiava frequentemente nelle stanze dell’Istituto!]. Alcune di queste ricerche, come quelle sugli effetti della topofisi nel Cedro dell’Atlante (importanti per verificare la stabilità a maturità della marza nella differenzazione di micro e macrosporofilli), vedevano il coinvolgimento di ricercatori di varie discipline, a testimonianza di come il Prof. Magini apprezzasse lo studio interdisciplinare.
Sottolineo ancora il grosso impegno dedicato al miglioramento genetico dell’ontano napoletano (il genere Alnus, a livello internazionale, veniva inserito nelle gruppo delle specie definite “strategiche” in quanto azotofissatrici) sviluppato attraverso prove di provenienze finalizzate alla valutazione della plasticità fenotipica a livello di popolazioni, congiuntamente a progeny test con discendenze ottenute in serra attraverso incroci di genitori allevati con innesto “a bottiglia”. La conoscenza dei valori di ereditabilità è indispensabile per definire i metodi di miglioramento genetico più idonei e a questo riguardo fu dedicata ampia attenzione ai caratteri fogliari: la dimensione della lamina fogliare e il numero delle foglie a livello di ramo o di porzione della chioma potevano rappresentare un buon indice di valutazione dell’efficienza fotosintetica (approccio già utilizzato in Svezia nell’ambito di studi sull’uso di poliploidia indotta in specie e ibridi di Populus tremula × tremuloides). Per diversi anni queste ricerche sono state poi proseguite da altri allievi del Professore, divenuti in seguito docenti presso l’ateneo fiorentino, Marco Paci e Andrea Tani.
Ricordo ancora il momento in cui fu concepita, coordinata e svolta, la ricerca sull’abete rosso dell’Alpe delle Tre Potenze presente nella Riserva Naturale di Campolino. Il Prof. Magini si dedicò in particolare alla caratterizzazione fenotipica della specie con indagini sulla forma della chioma, il portamento dei ramuli, il colore degli strobili, riscontrando grande polimorfismo all’interno dei soprassuoli inclusi nella Riserva. Concentrò poi l’attenzione sulla reale diffusione della picea come relitto vegetazionale e sulla sua posizione sistematica. Fece ricorso alle caratteristiche morfologiche delle squame degli strobili [Anna Maria osservò e classificò oltre 80.000 mila squame, altre 20.000 erano già state analizzate dall’allora laureando Fulvio Tonarelli, che in seguito divenne funzionario presso l’ufficio foreste della Regione Toscana] individuandone 24 tipi comprensivi di quelli ascrivibili alle varietà tipiche obovata, europaea, acuminata, e a diverse forme di passaggio. Attraverso le differenze dei confronti a coppie delle distribuzioni dei tipi dei popolamenti o gruppi di popolamenti, saggiate per mezzo del t di Student, del coefifciente di correlazione intraclasse e del T di Tschuprow, vennero localizzati otto popolamenti di picea autoctona all’interno del territorio della Riserva. L’ampliamento delle indagini a varie provenienze alpine, alcune provenienze norvegesi e una provenienza dei Monti Ròdopi (Bulgaria) metteva in evidenza forte somiglianza tra la picea di Campolino e quella delle Alpi, “…ed in particolare con la picea della Val d’Aosta”. Questo fatto indicava anche la via maestra da seguire per la comprensione del percorso di ricolonizzazione di questa specie dopo l’ultima glaciazione. La brillante intuizione del Prof. Magini, circa la possibile “scorciatoia” presa dall’abete rosso, attraverso il cordone collinare del Monferrato, durante i percorsi post-glaciali ha retto alla prova di ulteriori analisi, condotte sullo stesso materiale con metodi di analisi multivariata e, successivamente, con marcatori molecolari. Non si sbaglia certo a dire che Ezio Magini è stato pioniere degli studi, impostati con criteri quantitativi, sulla variazione geografica delle specie forestali in Italia.
Sento infine il dovere di ricordare l’ottima capacità didattica e di formazione del mio Maestro. Questa risultava efficace non solo per il modo in cui trasferiva le conoscenze dottrinali, ma anche per le notizie originali che ricavava sia dal proprio aggiornamento bibliografico sia dall’esperienza diretta dei risultati della ricerca che stava conducendo. Sono convinto che tutti gli allievi dei suoi quarant’anni di insegnamento riconoscano l’aiuto ricevuto nella propria formazione, e in particolare di aver compreso il ruolo che viene affidato al Selvicoltore nella gestione del soprassuolo boschivo. Le esercitazioni in bosco (Fig. 3), che erano preparate con meticolosità e ricchezza di documentazione (lo so bene, visto che per dodici anni ho avuto l’incarico di organizzarle) nascevano e si sviluppavano con lo scopo di far vivere la realtà degli interventi che sarebbero stati per molti l’oggetto del loro operare quotidiano. Di grande importanza ritengo sia stata l’idea, ripetuta per ciascuna esercitazione, di associare la simulazione in bosco, per aree ben definite, dell’intervento di gestione previsto in un determinato soprassuolo (i diradamenti, la modularità dei tagli successivi, il dirado nei boschi disetanei, gli interventi a favore delle conversioni dei cedui) con la compilazione di una relazione esplicativa relativa agli obiettivi che si volevano perseguire, e ai risultati raggiunti. Il Prof. Magini sottolineava spesso il fatto che la redazione della relazione non era da intendersi come un “dispetto” verso gli studenti, bensì un aiuto teso a rinnovare la loro capacità di espressione, di commento e di giudizio critico, non più esercitata dai tempi delle scuole superiori.
Fig. 3 - Primi anni settanta, un periodo di contestazione studentesca in Italia: lo si intuisce dalle capigliature e dalle barbe dei ragazzi. Probabilmente a Pian di Novello, in vicinanza dell’Abetone. Il Prof. Magini, con il suo megafono, fa la lezione propedeutica all’esercitazione in bosco. Alle sue spalle, occhiali e cappello alla pescatora, compare il Prof. Mario Cantiani, valoroso docente di Assestamento forestale, con alla destra il suo assistente, dott. Luigi Hermanin De Reichenfeld, per molti anni poi docente a Firenze. Si trattava di esercitazioni multidisciplinari in cui i temi della selvicoltura e dell’assestamento venivano congiuntamente trattati con riferimento a specifici casi di studio: occasioni di grande efficacia didattica e apprendimento, alla scuola di grandi Maestri. Il Prof. Magini era molto apprezzato dagli studenti anche per le sue profonde conoscenze botaniche: continue erano le domande che gli venivano rivolte per aver lumi su questa o su quella specie. Precise e puntuali erano le risposte e le spiegazioni, non limitate agli aspetti sistematici ma estesi al significato ecologico delle specie e alle indicazioni che ne potevano derivare sotto l’aspetto selvicolturale. Spesso, con il dialogo, ricorreva al procedimento maieutico, e allora anche lo studente doveva dimostrarsi all’altezza delle domande che faceva [foto da archivio famiglia Magini].
Sono ben convinto che questo tentativo di sintesi sull’opera e sulla figura del Prof. Magini, da ricordare anche per i suoi alti valori di civismo e per la grande amabilità personale (Fig. 4 e Fig. 5), non sia scevro di lacune. Ho cercato di ricordare, sottolineandoli e condensandoli, alcuni dei momenti più significativi del grande impegno da lui dedicato alla didattica, alla formazione, allo sviluppo delle conoscenze. Quest’ultimo impegno è stato sempre svolto attraverso un lavoro che seguiva un percorso di altissimo rigore metodologico. A favore della Genetica, dell’Ecologia forestale, della Selvicoltura ci ha consegnato una significativa ricchezza di dati e di materiale vivente che è a disposizione nostra e dei nostri nipoti. In questo senso si identifica bene il concetto di sostenibilità. Le prove comparative di provenienze, i progeny test, le collezioni clonali sono una grande offerta di materiale di base di grande valore in relazione ai tempi, non brevi, dei cicli forestali. Perché non possono diventare materiale per le nuove ricerche (resistenza, resilienza, adattabilità) sull’effetto dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi forestali? Alcune discendenze fruttificano e sono pronte per fornire una nuova generazione! Le nuove super tecnologie di sequenziamento di DNA e RNA hanno consentito a Craig Venter di creare il primo genoma sintetico realizzando, attraverso tecniche di biologia digitale, l’idea lanciata nel 1943 dal Nobel Erwin Schrodinger durante le sue lezioni, tenute a Dublino, su Che cos’è la vita? Bravissimo, davvero! Ma non sono convinto che gli studi di genetica possano progredire senza disporre del susseguirsi di nuove generazioni, in particolare nel campo degli alberi forestali. I dati rimasti nei cassetti (forse anche quelli delle squame di abete rosso), le planimetrie delle aree sperimentali fino a quando saranno consultabili?
Fig. 4 - Siamo, presumibilmente, nella seconda metà degli anni settanta. Il Prof. Magini è a Palazzo Vecchio, in occasione di un congresso o di una cerimonia. Era molto riservato Ezio Magini, le occasioni pubbliche non erano momenti a lui congegnali, e lui non le ricercava, a differenza di molti colleghi che, ieri come oggi, ambivano ai “riflettori”. Lo sguardo intelligente, una signorile compostezza, l’interiore concentrazione, un sorriso trattenuto: questa è l’impressione che suscita nella circostanza. Su cortese informazione del nipote, dr. Glauco Magini, sappiamo di una peculiare circostanza che lo vide a Palazzo Vecchio: quando, nel 1947, ricevette, a nome del Maresciallo Alexander, comandante generale delle forze alleate in Italia durante la II guerra mondiale, l’attestato di gratitudine per l’aiuto dato nel corso del conflitto. Durante la guerra ci fu un episodio significativo: nel 1944 Magini era sfollato a Quota, una frazione montana del Comune di Poppi, in provincia di Arezzo. L’11 di luglio di quell’anno, i nazisti fecero un rastrellamento e pianificarono una rappresaglia, come monito al paese per il presunto sostegno al movimento partigiano in occasione di un attacco subito, il precedente 9 luglio, al Ponte delle Lame, da parte della XXIII Brigata Garibaldi. Fatta irruzione nel paese, prelevarono a caso 30 uomini, con l’intenzione di fucilarli. Ezio Magini leggeva e parlava un po’ il tedesco - allora per gli studiosi forestali era importante conoscere la lingua in cui era scritta gran parte della letteratura scientifica -: insieme alla maestra Giovannuzzi, fece una trattativa con gli ufficiali tedeschi per convincerli a non mettere in atto il feroce proposito. Riuscirono a salvare 25 persone, cinque uomini furono comunque fucilati (cf. [1], pp. 80-82). Una stele commemorativa dell’eccidio si trova lungo la strada che da Quota sale verso il Pratomagno, in località La Lama. Tante volte il Prof. Magini passò di lì con i suoi collaboratori, mai ne parlò in modo esplicito, stando ai ricordi di Marco Paci e Anna Maria Proietti. Abbiamo notizia che, nel settembre 2019, il Comune di Poppi ha collocato, nella sua sede, una targa a ricordo dell’episodio [foto da archivio famiglia Magini].
Fig. 5 - Negli ultimi anni della sua carriera accademica, forse anche dopo. Ride contento, il Prof. Magini. Si tratta, in questo caso, di un’occasione familiare, ma anche all’Università erano frequenti queste espressioni di genuina contentezza: quando c’era da condividere un positivo risultato con i collaboratori, quando un allievo incappava in qualche “strafalcione” che lui metteva in risalto con piacevole amabilità, quando l’esperimento confermava la sua ipotesi, quando si terminava un lauto pranzo con un buon ammazza-caffè. E, sicuramente, quando vinceva a scopone scientifico, su questo il Prof. Magini però non scherzava troppo, il suo compagno doveva essere all’altezza e non poteva sbagliare gli “sparigli”, altrimenti piovevan critiche e motteggi: “ma insomma, lei oltre alla statistica ha bisogno di studiare anche le regole di Chitarrella!” [foto da archivio famiglia Magini].
Viviamo un momento molto difficile di insicurezza e precarietà in cui si associano sempre più cause devastanti, che alcuni ipotizzano sicuramente ripetibili a breve se non in continuum. Siamo circondati da una nebbia caratterizzata da una sempre maggiore intensità di inconcludenza delle decisioni “a giornata” e ristrette a confini di “potere”, non certo dirette verso uguaglianza e globalità eugualitaria. La stessa Scienza viene posta in discussione. Ma la Scienza si materializza nella conoscenza: il suo ampliamento è stato ciò che il Prof. Ezio Magini ha perseguito nella sua vita, ricca di studio e sapere, e in questo riconosciamo un contributo di speranza.
Ringraziamenti
Le fotografie (tranne quella di Fig. 2, messa a disposizione dal Prof. Piero Piussi) sono state fornite dal dr. Glauco Magini, affezionato nipote del Professore: lo ringraziamo sentitamente per la grande cortesia con cui ha interloquito con noi e per l’interesse che ha dimostrato per questa nostra iniziativa. Il Prof. Marco Borghetti, che negli scorsi anni ottanta ha lavorato presso la Cattedra di Miglioramento genetico degli alberi forestali a Firenze, e ha conosciuto bene il Prof. Magini pur non essendone allievo diretto, ha scritto le didascalie delle figure; il Prof. Ervedo Giordano e il Prof. Luigi Hermanin gli sono stati d’aiuto per l’interpretazione della Fig. 1 e della Fig. 3, rispettivamente.
References
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