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Implementing the National Forest Strategy at the local level: an important opportunity, not easy to grasp

Forest@ - Journal of Silviculture and Forest Ecology, Volume 17, Pages 58-62 (2020)
doi: https://doi.org/10.3832/efor0057-017
Published: Jun 11, 2020 - Copyright © 2020 SISEF

Commentaries & Perspectives

Abstract

In Italy, the National Forestry Strategy (SFN) is being implemented: it is an important operational framework to be sized by Regional Governments to which the administrative competences in the forestry sector are delegated. We focus here on the main problems that have to be solved to promote SFN at the local level.

Keywords

Forest, Management, Region, Government, TUFF, Italy

 

Il 28 maggio 2020 si è conclusa la consultazione pubblica sulla Strategia Forestale Nazionale (SFN), il primo passo messo in atto con l’obiettivo di giungere nel modo più condiviso possibile all’approvazione di questo importante decreto attuativo del Testo Unico in materia di Foreste e Filiere forestali (vedi TUFF, D.Leg. 3 aprile 2018 n. 34, art. 6).

L’approvazione del TUFF e la stesura dei suoi decreti attuativi vanno a costituire un nuovo quadro operativo all’interno del quale impostare processi di sviluppo sostenibile basati sulla gestione delle risorse forestali. Per questo motivo, all’interno delle molteplici novità da essi introdotte, nel presente contributo si cercherà di porre l’attenzione su quelli che rappresentano i nodi imprescindibili da affrontare per favorire la declinazione della SFN a livello locale ed in rapporto ai quali, se non risolti, lo sviluppo del settore forestale potrebbe continuare a rappresentare un obiettivo difficilmente realizzabile.

Del processo messo in atto bisogna sicuramente apprezzare sia il metodo partecipativo adottato nella consultazione e sia lo sforzo fatto nel cercare di proporre un documento quanto più possibile snello, nonostante le molteplici questioni in esso contenute. Una serie di aspetti, noti agli addetti ai lavori, per i quali si sentiva l’esigenza di una sistematizzazione, prioritariamente all’interno di un quadro normativo di settore rappresentato dal TUFF forestale e poi in un documento organico di politica settoriale, dove fossero chiari gli obiettivi generali [1] e le azioni per dare applicazione a tali obiettivi e nei quali avesse centralità l’aspetto multifunzionale delle risorse forestali.

Queste, è ben noto, sono capaci di fornire beni di mercato ma anche servizi ecosistemici e per questo negli ultimi decenni sono state oggetto di attenzione in politiche tipicamente “esterne” a quelle di settore (quelle relative al paesaggio, alla tutela della biodiversità, allo sviluppo delle energie rinnovabili, al contenimento dei cambiamenti climatici, allo sviluppo del turismo sostenibile, ecc.), in relazione ad alcune delle quali il nostro Paese ha preso precisi impegni a livello internazionale. Basti pensare, fra gli altri, che alle foreste e alle attività forestali è riconosciuto un importante ruolo nella lotta ai cambiamenti climatici e al contenimento delle emissioni di gas serra - contribuendo agli obiettivi di riduzione prefissati per compensare le emissioni dei settori ESR (Effort Shering Regulation, vedi Reg. UE n. 842/2018 [2]) - ovvero che l’Italia è il primo Paese dell’UE in termini di diversità a livello di specie e di ecosistemi forestali (Strategia Nazionale per la Biodiversità e sua revisione di medio termine - MATTM 2010) e, pertanto, gli ecosistemi forestali italiani concorrono all’attuazione della Convenzione sulla Biodiversità [3] e del Piano Strategico per la Biodiversità [4].

Questa accresciuta importanza e trasversalità delle risorse forestali implica una visione programmatoria tipicamente multisettoriale e multilivello che, nella strategia forestale nazionale, trova centralità nei concetti di gestione attiva e, soprattutto, sostenibile delle risorse forestali (GFS).

Si cerca in pratica di coniugare lo sviluppo economico del settore forestale e delle aree montane, dove questo è particolarmente presente, con la sostenibilità sociale e ambientale dello stesso, da cui, nella SFN e nell’allegato 1, i diretti collegamenti agli SDG dell’Agenda 2030.

L’idea forza dovrebbe essere quella di gestire in modo attivo le foreste non solo per produrre assortimenti legnosi, ma per realizzare filiere diversificate e sostenibili, rendere i boschi più resilienti e capaci di fornire quantità sempre maggiori di servizi ecosistemici.

È chiaro che gli ambiti operativi per uno sviluppo sostenibile legato alla gestione delle risorse forestali possono essere molteplici, a seconda della reale vocazionalità del territorio, delle risorse naturali e delle risorse umane e sociali (gli operatori) in esso presenti.

Ad ogni modo, a nostro avviso questo può essere raggiunto solo affrontando una serie di questioni, fra le numerose inserite nella strategia, complementari fra di loro e dalle quali non è possibile prescindere:

  1. è necessario basare le scelte su una profonda conoscenza delle risorse in gioco nelle loro componenti ambientali e socioeconomiche e nella loro dinamica (ASt 1);
  2. è necessario favorire la diffusione della GFS e della certificazione forestale (AO B.1);
  3. bisogna favorire la nascita di filiere diversificate per le quali sia possibile giungere anche alla certificazione dei prodotti e all’attivazione di una economia verde (AO B3, B4 e B5);
  4. è necessario favorire la qualificazione degli operatori forestali e della capacità operativa delle imprese boschive (AO B.2);
  5. è necessario sviluppare la ricerca e favorire il trasferimento delle innovazioni tecnologiche dagli Enti di ricerca verso il mondo operativo (AO C2).

Per quanto riguarda il primo punto, è evidente come il successo di interventi a favore dello sviluppo territoriale risulti dipendente in larga parte dalla profonda conoscenza dello status quo delle risorse in gioco (la baseline), della loro struttura e della loro dinamica evolutiva. La conoscenza puntuale di tali fattori permetterebbe di individuare i target da raggiungere e calibrare gli interventi da mettere in atto. Questi devono essere definiti in base a criteri e indicatori facilmente misurabili per permettere un accurato monitoraggio dell’efficacia delle azioni intraprese. A tal fine, nello scendere da un livello nazionale ad un livello più locale (regionale o subregionale), la base dati su cui fondare le decisioni dovrebbe acquisire sempre maggiore dettaglio sia per quel che riguarda gli ecosistemi forestali e sia per quel che riguarda i settori produttivi ad esso collegati.

La strategia prevede la standardizzazione e omogeneizzazione delle fonti informative disponibili e l’implementazione di nuove banche dati periodicamente aggiornate (RAF, SIFOR, INFC, carta forestale nazionale e altre statistiche ufficiali - vedi ASt 1). Risulta chiaro come tali fonti possano rappresentare la base su cui costruire gli strumenti di pianificazione di area vasta, come ad esempio i piani forestali di indirizzo territoriale (PFIT), ma scendendo di livello la situazione si complica e la mancanza di informazioni dettagliate diventa un evidente ostacolo alla calibrazione delle ipotesi di sviluppo. Il problema è soprattutto di ordine finanziario, risorse non di tipo aggiuntivo come sarebbe auspicabile, ma che devono essere rinvenute nelle dotazioni ordinarie dei bilanci delle Amministrazioni centrali, regionali e delle Province autonome, ovvero nei fondi per lo sviluppo rurale e/o i fondi strutturali (vedi Allegato 1, ASt 1).

La gestione forestale sostenibile (AO B.1) rappresenta il fulcro centrale della strategia nazionale ed è il fondamento per l’attivazione di filiere sostenibili e per lo sviluppo di una bioeconomia legata alle risorse forestali. L’implementazione della GFS comporta un cambiamento radicale di atteggiamento da parte degli operatori pubblici e privati: dalla dilagante e generalizzata “non gestione” attribuibile ad una serie di problematiche diversificate, verso una gestione “attiva”. Per le proprietà pubbliche questo comporta sicuramente un diverso modo di costruire i piani a livello locale, facendo attenzione alla sostenibilità ambientale degli interventi selvicolturali previsti, ma anche alla loro sostenibilità economica e sociale. Per le proprietà private, oltre a quanto già detto, si rende necessario favorire forme di associazionismo (SAO B.1.1.a) che possano consentire, attraverso il conseguimento di economie di scala, la sostenibilità economica di una pianificazione forestale adeguata.

Ma i maggiori vantaggi della GFS in termini di attivazione di opportunità di sviluppo passa necessariamente attraverso la certificazione della stessa (SAO B.1.3), rispettando i principi e criteri dettati dagli schemi internazionali (PEFC o FSC). L’ottenimento di tali marchi permetterebbe di comunicare all’esterno le buone pratiche di gestione, mettendo in atto meccanismi di marketing territoriale che hanno rilevante importanza nella costruzione, ad esempio, di una filiera del turismo ambientale sostenibile incentrata sulle risorse forestali. Inoltre, tali meccanismi permetterebbero di poter quantificare gli effetti della gestione: si pensi ad esempio alla valutazione degli incrementi della capacità di sink di carbonio indotta dalla gestione sostenibile in vista della creazione di un mercato volontario locale dei crediti, ovvero nell’attestazione dell’incremento dei servizi ecosistemici erogati da una foresta anche in vista dell’attivazione dei pagamenti degli stessi (AO 2 e SAO 2.1.f), oppure alla opportunità di costruire delle chain of custody per determinati prodotti, legnosi e non legnosi, producibili dalle filiere attivate con la GFS.

Tutto questo comporta però la realizzazione di nuovi piani di gestione che, per rispondere ai dettati degli schemi internazionali, necessitano di ulteriori indagini di campo e la redazione di nuova documentazione non prevista nei precedenti piani di assestamento. I costi in questo caso aumentano di un 30-40% rispetto ai precedenti piani di assestamento.

A fronte di tali questioni, la Strategia nazionale Forestale si pone l’obiettivo di aumentare le foreste certificate di un 30% entro il 2025 rispetto alla situazione del 2005 (SAO B.1.1 e B.1.3), ma riporta anche che per far fronte ai fabbisogni finanziari le risorse devono essere rinvenute nelle dotazioni ordinarie dei bilanci delle Amministrazioni, ovvero nei fondi per lo sviluppo rurale e/o nei fondi strutturali.

Per quanto riguarda il terzo punto, la Strategia contempla ampiamente la diversificazione e lo sviluppo delle filiere forestali, sia nella parte introduttiva che in quella applicativa al momento della descrizione delle azioni: all’azione operativa B3 “Filiere Forestali locali” fa riferimento a quelle derivante dall’uso sostenibile dei prodotti legnosi e non legnosi, alla loro trasformazione e inclusione in prodotti tecnologicamente innovativi, rimandando la valorizzazione delle filiere derivanti dalla produzione di servizi ecosistemici, quelli legati alla funzione turistico-ricreativa ovvero a quella dei servizi terapeutici e culturali solo per citarne alcune, all’azione operativa B4 Servizi socio culturali delle foreste. Però, a nostro parere, questa divisione e separazione dal termine “filiera” di tutto ciò che può derivare dal flusso di servizi producibili dal bosco, potrebbe tendere a sminuire il potenziale esprimibile in termini di sviluppo economico per quei territori dove le attività produttive legate all’uso sostenibile di tali servizi potrebbero assumere carattere prioritario.

Le risorse necessarie ancora sono quelle riferibili ai fondi strutturali e al fondo per lo sviluppo agricolo e rurale, in particolare in quest’ultimo caso nell’ambito della misura 16 “Cooperazione”. Ma questo significa inserire il settore forestale con le sue potenziali filiere nel novero di quelle attivabili a livello regionale (zootecnia da carne, lattiero-casearia, cerealicola, per citarne alcune). Pertanto, facendo riferimento all’attuale quadro di programmazione dei fondi europei ed in prospettiva del prossimo, tale possibilità è vincolata alla risposta a due domande: in un ambito di scarsità di risorse, quale “peso” economico e, quindi, “politico” rappresenta il nostro settore rispetto agli altri del comparto primario? In quante regioni nell’ambito dei PSR in questi anni si è aperto alla costituzione di filiere forestali? È sufficiente dare uno sguardo alla banca dati della rete rurale relativa ai bandi regionali sul PSR (⇒ http:/­/­polaris.crea.gov.it/­psr­_2014­_2020/­bandiPSR.htm) per avere la risposta alle domande poste.

Il settore della produzione e utilizzazione forestale a livello locale si caratterizza spesso per la presenza di piccole e piccolissime imprese. Per tale motivo si rende necessario procedere con la riqualificazione degli operatori forestali e della capacità operativa delle imprese boschive (AO B.2). Questo può essere fatto attraverso la strutturazione di sistemi di formazione professionale per la qualificazione di base multidisciplinare. La strategia, ad esempio, prevede che a livello regionale vengano messi in atto percorsi formativi pubblici gratuiti su argomenti del tipo: tecniche di gestione dell’impresa, salute e sicurezza, macchine e attrezzature, tutela dell’ambiente, ecc. Naturalmente i percorsi potrebbero trattare argomenti diversificati e rivolgersi a utenze diverse (gestori ditte boschive, operatori forestali, ecc.) ed essere erogati da soggetti differenti (Enti di formazione con percorsi formativi continui, Università con corsi professionalizzanti, ecc.). È evidente come in questo caso la fonte di finanziamento sia rappresentato dell’FSE e tali corsi potrebbero essere inseriti nel catalogo della formazione regionale.

Strettamente legato al punto precedente è la necessità di spingere verso lo sviluppo della ricerca in campo forestale e favorirne il trasferimento delle innovazioni tecnologiche verso il mondo operativo (AO C2).

Dopo anni di continue contrazioni alle risorse messe a disposizione dal nostro Paese per scuola, università e ricerca, finalmente oggi, che ci apprestiamo ad affrontare quella che viene definita la fase tre di questa terribile pandemia, ci si è accorti dell’importanza degli investimenti in ricerca. È inutile ribadire come anche a seguito della crisi economica mondiale del 2008, mentre gli altri Paesi europei aumentavano gli investimenti in ricerca e sviluppo tecnologico, le reazioni del nostro Paese sono sempre state alquanto “tiepide” in questo ambito.

Le fonti finanziarie per la ricerca sono in massima parte rappresentate dai programmi Horizon2020 e altre iniziative comunitarie.

Che gli investimenti in ricerca e sviluppo tecnologico fossero la chiave per la soluzione ai problemi della crisi economico-ambientale era chiaro anche estensori della PAC dell’attuale programmazione, per i quali uno degli obiettivi principali era appunto “produrre di più a minor impatto ambientale”. Essi vedevano nella ricerca e nel progresso tecnologico la possibile soluzione per raggiungere tale obiettivo. Di qui l’inserimento di questo target nella misura 16 dei PSR regionali con la sottomisura 16.2 proprio dedicata allo sviluppo innovazioni di processo, di prodotto ovvero organizzative.

A fronte di ciò, le risposte generalmente dedicate dalle regioni a tale misura sono state modeste se rapportate all’entità finanziaria dei rispettivi programmi. Il quadro diventa ancor più deludente se si limita l’analisi ai finanziamenti attribuiti a progetti dedicati al settore forestale.

Naturalmente il progresso economico del settore e l’acquisizione di una posizione di vantaggio competitivo sul mercato da parte delle imprese non dipendono solo dagli investimenti in ricerca e sviluppo tecnologico a favore degli Enti di ricerca, ma soprattutto dalla capacità di questi ultimi di rispondere alla domanda di innovazione che viene posta dal mondo operativo. In questo ambito dobbiamo riconoscere un vulnus negli scarsi collegamenti generalmente esistenti fra mondo della ricerca e mondo delle imprese. La soluzione a tale problematica è stata rappresentata dalla creazione di ambiti operativi dove il mondo della ricerca e il mondo delle imprese e della società civile potessero collaborare a più stretto contatto. Tali ambiti sono rappresentati dai cluster tecnologici che oggi rappresentano una realtà a livello sia nazionale che in molti casi a livello regionale. È da sottolineare come il settore forestale nella sua più ampia accezione è interessato a diversi di tali cluster nazionali quali ad esempio quello della bioeconomia, quello della chimica verde e quello dell’energia.

La SFN va oltre e propone la costituzione di un cluster nazionale del legno (ASt 5), proprio per creare un ambito operativo “tutto forestale” dove domanda e offerta in ricerca e sviluppo tecnologico possano incontrarsi.

La declinazione dei cluster tecnologici a livello regionale è stata ipotizzata in molte regioni nell’ambito delle Smart Specialization regionali (le cosiddette S3) finanziate nell’ambito dei POFESR regionali. Attualmente, sebbene le realtà regionali siano molto diversificate, non si è a conoscenza dell’esistenza di cluster legno nati nell’ambito delle S3 regionali. Sarebbe opportuno, per le regioni che scelgono di andare verso uno sviluppo del settore forestale e dove il settore della trasformazione e della commercializzazione dei prodotti a base di legno siano presenti, favorire anche la nascita di cluster del legno regionali in collegamento fra di loro e con il cluster nazionale.

Anche nell’ambito dei programmi per lo sviluppo rurale il trasferimento delle innovazioni tecnologiche rappresentava un punto importante della PAC. Non a caso sempre nella misura 16 era stata prevista la sottomisura 16.1 relativa all’attivazione dei Partenariati Europei per l’Innovazione (PEI) gestiti da Gruppi Operativi (GO) costituiti da enti di ricerca, imprese e altri attori locali, con lo scopo di favorire la diffusione della conoscenza relativamente alle innovazioni tecnologiche già presenti sul mercato e, per questo, definite “mature”, che potessero andare a rappresentare la soluzioni a problemi posti dal mondo operativo.

Anche in questo caso la dotazione finanziaria messa a disposizione è risultata piuttosto modesta e addirittura pochissimi sono stati i PEI “forestali” costituiti a livello regionale [5].

Le questioni fin qui esplicitate, benché sistematicamente dettagliate nella strategia e nell’allegato 1, dove lo sforzo di sistematizzazione delle azioni arriva fino all’elenco delle fonti finanziarie di riferimento, pongono una serie di difficoltà nella loro declinazione dal livello nazionale della Strategia a quello di programmazione locale.

Per la sua attuazione la Strategia evidenzia nell’Azione Operativa A1 due questioni principali: il potenziamento della programmazione integrata, attraverso la strutturazione dei Piani Forestali Regionali (PFR), e della pianificazione forestale, da attuarsi tramite i Piani Forestali di Indirizzo Territoriale (PFIT) ed i piani di gestione locali.

I Piani Forestali Regionali di cui all’art. 6 comma 2 del TUFF dovrebbero rappresentare la declinazione regionale della Strategia nazionale. Questi non sono una novità, in quanto in passato sono stati puntualmente redatti dalle regioni ed hanno sempre rappresentato lo strumento programmatorio regionale in materia forestale. Il più delle volte i loro contenuti, benché condivisibili, hanno rappresentato una sorta di intenti esortativi verso l’attuazione di una gestione delle risorse forestali e dello sviluppo del settore, tesi però più a giustificare, soprattutto nelle regioni meridionali, la consistente spesa in forestazione, che andava a dare risposta ad un fabbisogno sociale di lavoro in quelle aree interne dove le stesse Amministrazioni regionali non riuscivano a trovare soluzioni alternative, ma che nulla avevano a che fare con la gestione attiva delle risorse forestali.

La declinazione attuale, prevedendo al loro interno l’individuazione degli obiettivi, dei criteri e degli indicatori più idonei alla singola regione tra quelli contenuti nella Strategia forestale nazionale (vedi SFN SAO 1.1 - TUFF art. 6 comma 2), sottintende la possibilità di una azione di monitoraggio nel tempo dei risultati raggiunti. Questo fatto, unito alla necessità di dover anche recepire gli indirizzi della pianificazione paesaggistica, necessita una organicità e, soprattutto, una condivisione fra più settori della Amministrazione regionale, che in prima istanza potrebbe andare positivamente a limitare una redazione similare al passato.

La pianificazione forestale viene attuata a livello di area vasta attraverso i PFIT e, a livello locale, attraverso i Piani di Gestione.

I primi sono finalizzati all’individuazione, al mantenimento e alla valorizzazione delle risorse silvo-pastorali e al coordinamento delle attività necessarie alla loro tutela e gestione attiva, nonché al coordinamento degli strumenti di pianificazione forestale (vedi SAO 1.2 - TUFF art. 6 comma 3). È evidente come in questo caso essendo i PFIT degli strumenti operativi di pianificazione debbano poggiare la loro declinazione su di una base dati puntuale che non può limitarsi alla dotazione di informazioni sulle risorse forestali mediamente a disposizione. A questo punto però si pone il problema della dotazione delle risorse finanziarie necessarie alle Regioni per poter costruire tali piani che, necessariamente, devono essere trovate nei propri bilanci o nelle risorse finanziarie rinvenienti dai programmi operativi messi a disposizione dalla programmazione europea, dato che né il TUFF, né la SFN fanno riferimento a eventuali risorse aggiuntive.

A livello locale entrano in gioco i piani di gestione, che secondo la SAO 1.3 della strategia dovrebbero andare a costituire lo strumento per promuovere a livello locale la pianificazione forestale delle proprietà pubbliche e private, in linea con i principi e i criteri della GFS, e dovrebbero sostituire i precedenti Piani di Assestamento forestale (PA). Troppo spesso i PA sono rimasti inapplicati decretando l’assenza di gestione a livello locale per tutta la durata di validità del piano. Le motivazioni di tale situazione sono ascrivibili a cause diversificate, da forme di oligopsonio a livello locale da parte delle imprese di utilizzazione, alla lunghezza degli iter autorizzativi degli interventi annuali previsti e, soprattutto, alla scarsa attenzione alla sostenibilità economica degli interventi che, nel migliore dei casi, decretava il sovrasfruttamento delle aree a macchiatico più positivo e l’assenza di intervento nelle aree a macchiatico negativo. L’adozione di forme di GFS e certificazione dei piani comporta l’applicazione in toto dello stesso, pena la non ratifica della certificazione della GFS. Di qui la necessità di sottoporre gli stessi a valutazione della sostenibilità economica [6].

Ad ogni modo il trasferimento della strategia e dei suoi obiettivi a livello locale attraverso i programmi forestali regionali pone una serie di considerazioni sia operative che finanziarie.

Dal punto di vista operativo, visto quanto elencato in precedenza, è fuori dubbio che tali piani debbano contemplare obiettivi ed azioni/interventi che afferiscono per competenza a diversi comparti della pubblica amministrazione regionale, strettamente complementari fra di loro e la cui realizzazione in tempi sensibilmente diversi, ovvero la non realizzazione di parte di essi, potrebbe inficiare i risultati ottenibili.

Pertanto, vedo necessariamente l’esigenza di avere un coordinamento spinto alla strutturazione del Programma Forestale Regionale, in una realtà, dove spesso si manifesta una scarsa comunicazione fra i diversi assessorati. È evidente, come prioritariamente si renda necessario una decisione “politica” in cui sia palesemente sancito che le risorse forestali sono un asset su cui l’Amministrazione di una qualsiasi regione intende puntare per lo sviluppo locale.

Dal punto di vista finanziario la situazione si complica in quanto è palese che il successo dell’attuazione del PFR passi attraverso l’attivazione di una serie di misure che fanno riferimento a diversi fondi (PSR, POFESR, FSE, ecc.), pertanto lo stesso dovrebbe poggiarsi su una sorta di strumento plurifondo, la cui attuazione vedrebbe il coinvolgimento, il coordinamento temporale ed il controllo di differenti Autorità di Gestione (AdG).

In questa direzione potrebbero muoversi strumenti come gli Interventi Territoriali Integrati (ITI): uno strumento che consente agli stati membri di implementare programmi operativi in modo trasversale e di attingere a fondi provenienti da diversi assi prioritari di uno o più programmi operativi per assicurare l’implementazione di una strategia integrata per un territorio specifico.

Mi immagino in pratica una sorta di ITI forestale a livello regionale gestito da una autorità intermedia che andrebbe a colloquiare nella applicazione del programma forestale con le AdG dei diversi fondi regionali (Fig. 1).

Fig. 1 - Schema di raccordo fra la strategie territoriale regionale e le misure finanziarie attraverso un’autorità intermedia. I colori indicano diversi interventi finanziabili con specifici fondi di finanziamento.

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Infine, altre due questioni.

La prima: dall’allegato 1 della strategia si evidenzia come i fondi per lo sviluppo rurale siano la fonte finanziaria principale a cui fare riferimento per il finanziamento delle azioni a livello locale. Però viene da chiedersi, visto l’ammontare delle risorse necessarie, quante regioni daranno priorità al finanziamento delle misure forestali nei propri PSR? Ed inoltre, in un quadro in evoluzione dove nella prossima programmazione della politica agricola comune è sicuramente prevista una contrazione delle disponibilità finanziarie, potrebbe verificarsi uno spostamento di risorse dal II al I pilastro e dove probabilmente non ci saranno più programmi regionali di sviluppo rurale a favore di un piano strategico nazionale, come saranno contemplate le necessità finanziarie a livello locale per il settore forestale?

La seconda: è indubbio che le risorse forestali siano ampiamente coinvolte nel soddisfacimento degli impegni che il nostro Paese ha assunto a livello internazionale. Ma è etico pensare di assolvere a tali impegni usando politiche (e fondi) regionali senza che il Paese metta a disposizione risorse nazionali almeno finalizzate a coprire quelle tipologie di intervento per le quali non si riesce a trovare priorità nei programmi regionali?

Le questioni poste non sono facilmente superabili senza una chiara volontà a livello locale di voler puntare sullo sviluppo del settore forestale e sulle sue filiere. Nonostante ciò la SFN determina un quadro operativo di estremo interesse per il nostro settore, un’opportunità da cogliere da parte delle Regioni che rappresentano l’Ente delegato in materia forestale. È indubbio però, che se non si affronteranno tali questioni difficilmente la strategia potrà essere declinata con successo a livello locale.

[1]
La strategia forestale nazionale individua tre obiettivi generali: (i) favorire la gestione sostenibile e il ruolo multifunzionale delle foreste; (ii) migliorare l’impiego delle risorse forestali per lo sviluppo sostenibile delle economie delle aree rurali, di quelle interne e urbane del Paese; (iii) sviluppare la conoscenza e la responsabilità globale delle foreste. La strategia individua ben 29 azioni derivanti dagli obiettivi generali, di cui 16 operative (AO), 8 specifiche (AS) e 5 strumentali (ASt).
[2]
All’Italia sono stati assegnati dalla Commissione europea 11.5 milioni di tonnellate di CO2 generabili dal settore Land Use, Land Use Change and Forests (LULUCF) e utilizzabili nel periodo 2020-2030. Inoltre secondo lo stesso regolamento il bilancio delle emissioni da foreste, agricoltura, pascoli e aree umide non dovrà generare emissioni (no debit rule).
[3]
Le Nazioni Unite nel 1992 hanno redatto la cosiddetta Convenzione Internazionale sulla Biodiversità (Convention on Biological Diversity, CBD), aperta alla firma il 5 Giugno 1992 ed entrata in vigore il 29 Dicembre 1993. Ad oggi, ci sono 193 Parti. La CDB è stata recepita a livello nazionale con la L.n. 124 del 14 febbraio 1994.
[4]
Nell’ottobre 2010 si è tenuta a Nagoya, in Giappone, la COP10 della CBD, nel corso della quale ed è stato rivisto il Piano Strategico per il periodo 2011-2020. Questo comporta una nuova visione per la biodiversità della CBD, da conseguire per il 2050, ed una nuova missione per il 2020, con 5 obiettivi strategici e 20 obiettivi operativi (vedi COP 10 Decision X/2 Strategic Plan for Biodiversity 2011-2020).
[5]
L’unico Gruppo Operativo forestale di cui si è a conoscenza è l’INNForestGO della Basilicata nato nell’ambito della misura 16.1 (⇒ https:/­/­innforestgo.tabsrl.com/­home).
[6]
È evidente la necessità che la redazione dei piani di gestione contemplino contemporaneamente la sostenibilità ambientale e quella economico e sociale degli interventi previsti, sia perché a livello locale la gestione delle risorse forestali è trasversale a molteplici settori economici (zootecnia e turismo solo per citarne alcuni) e sia per evitare la non applicazione parziale o totale. Questo era chiaro al Serpieri che nel R.D.L. 3267 del 1923, “Riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi e di terreni montani”, dettava che le risorse forestali appartenenti ai Comuni e altri Enti dovevano essere sottoposti a Piano Economico di gestione, in quanto favorire lo sviluppo nelle aree montane significava anche “riportare l’economia” in bosco.
 
 
 

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